La visita a sorpresa del primo ministro Kishida Fumio a Kyiv – la prima dal dopoguerra di un capo di governo nipponico in terreno di guerra – e l’incontro con Volodymyr Zelensky sono un ulteriore segno degli stravolgimenti politici in corso in Giappone. Come testimoniato dai documenti strategici pubblicati da Tokyo lo scorso dicembre, i quali sottendono ad una svolta militare dell’arcipelago, il governo giapponese aspira a un ruolo di primo piano sullo scacchiere internazionale.
Alleanze e rivalità di Tokyo
La visita fa seguito a una serie di incontri istituzionali nel mese in corso, partendo dalla visita del Ministro della Difesa Guido Crosetto e Ben Wallace per incontrare l’omologo giapponese e suggellare i dettagli della collaborazione tecnologica sul caccia di nuova generazione, passando per la distensione nippo-coreana suggellata dal summit Kishida-Yoon, quindi la visita di Olaf Scholz con ben cinque ministri al seguito per suggellare il partenariato strategico con la Germania. Infine, la scelta di Kishida di visitare Kyiv subito dopo l’incontro al vertice con Narendra Modi e durante la visita di stato di Xi Jinping a Mosca è spia della sottaciuta rivalità nei confronti della Cina. Se Pechino preferirebbe una tregua che eviti una sconfitta cocente al partner strategico russo – tenendo quindi occupati Europa e, soprattutto, Stati Uniti – il Giappone potrebbe preferire, insieme a Washington, il risultato opposto.
La presidenza di turno del G7 a guida Giappone ha favorito l’attivismo diplomatico del governo Kishida. Forte dell’affiatamento riscontrato dopo l’invasione dell’Ucraina (nonché degli interessi di Washington a fare perno sugli alleati), il G7 ha goduto di nuova vita come il più efficace meccanismo “minilaterale” nell’agone internazionale. Seppure un meccanismo informale che manca di segretariato permanente, regolari consultazioni tra le burocrazie del G7, se non tra ambasciatori degli stessi paesi in sedi estere, lo rendono la più prossima approssimazione del cosiddetto “occidente”.
Arginare la Cina, investire nell’Indo-Pacifico
L’agenda del G7 di quest’anno è particolarmente ricca. In primis, la necessità di rimarcare l’unione tra i cosiddetti teatri dell’Indo-Pacifico e dell’Euroatlantico, unione da intendersi in senso politico piuttosto che militare. Del resto, il governo giapponese e quello statunitense hanno insistito sulla (fallace) associazione tra l’imperialismo russo in Ucraina e l’irredentismo cinese nei confronti di Taiwan, nonché sull’imminenza – tutta da verificare – di un attacco cinese sull’isola entro la decade. Molti di tali pronunciamenti sono serviti a legittimare cambi di dottrina militare ed il dispiegamento di nuovi armamenti lungo la prima catena di isole. Sul solco dell’affiatamento in seno al G7, il 2023 testimonierà un’accresciuta presenza militare di paesi like-minded nella regione con esercizi militari congiunti che coinvolgeranno anche l’Italia, impegnata con il dispiegamento anche sul versante Pacifico dell’Indo-Pacifico del pattugliatore multi-servizio Morosini e separatamente di un gruppo da battaglia di scorta alla Cavour che farà tappa in Giappone. Se l’Italia è l’ultimo paese del G7 ad inviare asset militari attraverso il Mar Cinese Meridionale, Kishida è stato l’ultimo dei capi di governo G7 a visitare l’Ucraina.
In secondo luogo, il summit del G7 si preoccuperà di includere il c.d. Sud del Mondo per varare e annunciare investimenti congiunti, o perlomeno coordinati. Le iniziative di connettività aspirano ad arginare l’influenza cinese nei paesi c.d. in via di sviluppo, negando a Pechino una potenziale sfera di influenza e favorendo i propri campioni nazionali: dall’immediato vicinato nel sudest asiatico, alle isole del Pacifico, quindi all’Asia Meridionale e via dicendo. L’inclusione di India, Corea del Sud, Brasile, Indonesia, Comoros e Isole Cook nel summit di Hiroshima e l’annuncio di Kishida a Nuova Delhi di 75 miliardi di investimenti nella regione indo-pacifica rientrano in tale logica. Tale iniziative aspirano a passare quindi il testimone all’India, paese presidente del G20 e in competizione con Pechino come leader del sud globale.
In funzione di rivalità tra blocchi si inserisce anche il maggior coordinamento sulla sicurezza economica tra i paesi G7, con la messa in sicurezza delle catene di approvvigionamento globali e il potenziale coordinamento in funzione di una crisi attraverso lo stretto di Taiwan in cima all’agenda.
Infine, il governo Kishida farà buon uso del carisma acquisito dall’attivismo diplomatico lungo il 2023 per evitare sconfitte al Partito Liberal Democratico durante le elezioni locali in programma nella primavera e, forte di un potenziale successo al G7, addirittura considerare lo scioglimento delle Camere per scongiurare l’indebolimento della sua premiership.
Foto di copertina EPA/SERGEY DOLZHENKO