Tempo di “ershida” in Cina. Chiuse le celebrazioni per l’anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese (Rpc), il prossimo 16 ottobre si apriranno i lavori del ventesimo Congresso nazionale – abbreviato in cinese come “ershida” – del Partito comunista cinese (Pcc).
Il XX congresso nazionale
Si tratta dell’evento politico e istituzionale più importante degli ultimi cinque anni e 2296 delegati arriveranno a Pechino con il compito di eleggere i membri del Comitato centrale del Pcc. Questi, a loro volta, eleggeranno i componenti dell’Ufficio politico (Politburo), del suo Comitato permanente e infine il Segretario generale del Pcc.
Al momento, i membri del Comitato permanente del Politburo sono sette: (in ordine di importanza) Xi Jinping, Li Keqiang, Li Zhanshu, Wang Yang, Wang Huning, Zhao Leji, Han Zheng. In questa struttura a matrioska, in teoria, i delegati del Congresso nazionale eleggono i componenti degli altri organi; nella pratica, però, la selezione dei membri è un processo altamente controllato e pianificato dal centro.
Una delle principali regole che hanno scandito gli avvicendamenti alla dirigenza del partito e del paese dagli anni Ottanta ad oggi è il limite di età: per tutti coloro che hanno compiuto o stanno per compiere 68 anni, infatti, è previsto il ritiro. Non è chiaro, però, se tale limite si applichi anche al segretario generale: Hu Jintao, infatti, ha lasciato il potere a 69 anni, ma Jiang Zemin a settantasei.
Xi Jinping, quindi, potrebbe decidere di seguire le orme del suo predecessore Hu oppure quelle di Jiang. Alcuni fattori – un emendamento costituzionale approvato nel 2018, la mancata designazione di un successore e la campagna propagandistica intorno alla figura di Xi – fanno presagire che l’attuale leader non abbia alcuna intenzione di lasciare le posizioni apicali del Partito-Stato.
Alcuni si spingono fino a vociferare che Xi potrebbe rafforzare ulteriormente il suo potere diventando una sorta di “Secondo grande timoniere”, un riconoscimento simbolico più che pratico, ma dalle implicazioni politiche importanti. Non a caso, di recente, sulle pagine online di quotidiani vicini al Partito si leggono metafore di tipo navale con riferimento a Xi Jinping, come “timonare la Cina”. Gli altri componenti, invece, hanno già raggiunto o stanno per raggiungere i limiti d’età e quindi si prevede che si ritireranno dalla loro carica. Sebbene le speculazioni sui successori designati siano iniziate da qualche tempo, non è ancora chiaro chi siano.
Oltre a scandire il rinnovamento della leadership cinese, il Congresso nazionale è anche il momento in cui vengono esposti gli obiettivi realizzati nel corso dei cinque anni precedenti e quelli da raggiungere nel quinquennio successivo. Tali obiettivi sono perlopiù presentati nel rapporto politico pronunciato dal segretario generale in carica che funge quindi da “sintesi” – si fa per dire, visto che la lettura del rapporto politico al XIX Congresso è durata oltre tre ore – dei successi ottenuti e di quelli da compiere.
Il caso “Southern Weekly” e il bilancio della dirigenza Xi
All’inizio del 2013, alcune settimane dopo l’insediamento di Xi Jinping, il Southern Weekly, settimanale di Guangzhou noto per il suo giornalismo di inchiesta, preparava un editoriale intitolato “il sogno cinese, il sogno del costituzionalismo”, riprendendo uno slogan lanciato proprio dal neo-eletto segretario generale del Pcc. L’editoriale lasciava intravedere speranze di una maggiore apertura politica negli anni della nuova dirigenza, che desse maggiori diritti ai cittadini, soprattutto rafforzando la libertà di espressione. Il pezzo però non ebbe nemmeno il tempo di vedere la luce. Le autorità imposero modifiche sostanziali e strutturali, eliminando ogni riferimento alle riforme costituzionali auspicate e alla questione dei diritti dei cittadini e lo trasformarono così in un altro canale “portavoce” del Pcc, a mo’ di quelli che si trovano sul Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Partito.
Quello del 2013 non era certo il primo editoriale o articolo critico nei confronti delle autorità pubblicato dal Southern Weekly, che al contrario era sempre stato una spina nel fianco del Dipartimento di propaganda cinese incaricato di sorvegliare e “guidare” il dibattito pubblico. Tuttavia, mai si era vista un’imposizione così incisiva dall’alto. La pesante censura a cui fu sottoposto il settimanale scatenò ben presto l’indignazione pubblica con centinaia di manifestanti scesi nelle strade di Guangzhou per reclamare il diritto di espressione da parte di una delle voci giornalistiche più influenti del paese. L’editoriale però fu poi pubblicato solo nella versione autorizzata dalle autorità che, anche a distanza di anni, non hanno mai allentato la morsa.
Il caso del Southern Weekly preannunciava tempi bui per la società civile cinese e metteva ben in chiaro che la dirigenza di Xi Jinping non aveva alcuna intenzione di promuovere un’apertura, men che meno riforme politiche in senso democratico. Sin dai primi cinque anni di governo di Xi, la società civile è stata oggetto di ripetuti attacchi. Estrema durezza è stata dimostrata nei confronti delle voci cosiddette liberali che auspicano una trasformazione sistemica delle istituzioni politiche, ma non ha risparmiato nemmeno quelle “da sinistra” a sostegno della classe operaia e degli strati meno abbienti che generalmente non ambiscono a riforme politiche radicali. Alla repressione si è affiancata una pressante campagna ideologica atta a porre di nuovo al centro l’ideologia politica, seppur nella sua attuale conformazione frutto della commistione di etica confuciana, moralità socialista ed eredità maoista.
A livello istituzionale, alcune riforme sono state implementate, ma non di certo quelle auspicate dal Southern Weekly nel 2013. Nel 2018, infatti, un emendamento costituzionale ha eliminato il limite dei due mandati presidenziali, che erano stati introdotti all’inizio degli anni Ottanta con il fine di evitare l’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di un solo uomo. Di fatto, la riforma della costituzione ha spianato la strada a Xi Jinping per rimanere al vertice del Partito e dello Stato, visto che le altre cariche da lui coperte – segretario generale del Pcc e presidente della commissione militare centrale, non hanno limiti temporali.
È su queste premesse che si aprirà a giorni il XX Congresso nazionale del Pcc, destinato — con molta probabilità, a costituire un momento storico cruciale nella storia del paese.
Il rapporto politico: le nuove parole di Xi
Il giornalista e studioso cinese Qian Gang, per alcuni anni a capo proprio del Southern Weekly, definisce il rapporto politico pronunciato al Congresso nazionale del Pcc come il “lessico generale del partito” che stabilisce le formulazioni autorizzate, ossia ciò che è consentito dire e il modo in cui farlo. Quelle utilizzate all’interno di questo documento, quindi, non sono soltanto parole: esse cristallizzano concetti politici che fungono da guida dell’azione di governo e possono anche dare conto di equilibri di potere all’interno del Partito.
Ad esempio, al XIX Congresso, il rapporto politico aveva dimostrato appieno lo sbilanciamento del potere a favore di Xi Jinping, con l’ingresso del suo “contributo ideologico” (“il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”, abbreviato in “il pensiero di Xi Jinping”) nel pantheon comunista cinese. Xi Jinping è stato il primo segretario generale del Pcc dopo Mao e Deng ad avere il suo nome specificato nella formulazione dottrinale e a vedere quest’ultima inserita nel preambolo dello statuto del Pcc e della costituzione della Rpc mentre è ancora in carica.
Il forte marchio di Xi sull’ultimo rapporto si evince anche dal fatto che compaiono e vengono citati più volte tutti i suoi concetti chiave, siano essi legati alla politica interna, come il già citato “sogno cinese”, o a quella estera, come ad esempio la Belt and Road Initiative. Sarà quindi interessante osservare quali parole verranno mantenute e quali invece lasceranno il posto a nuove formulazioni nel rapporto politico che verrà letto in occasione del XX Congresso. Alcuni analisti, ad esempio, presagiscono che Belt and Road Initiative (di cui recentemente non parlano granché gli organi di stampa ufficiale, soprattutto quando rivolti all’estero) lascerà il posto a Global Development Initiative, nuovo cavallo di battaglia.
C’è invece da aspettarsi di trovare “nazione cinese”, che ha fatto il suo ingresso in occasione del XIX Congresso, segnalando come l’identità nazionale sia diventata un elemento politico cruciale sotto Xi. Un’identità nazionale che viene celebrata sempre più a scapito delle specificità culturali locali, come dimostrato dalla repressione a danno delle nazionalità non-Han nella regione del Xinjiang o il recente divieto di utilizzare la lingua cantonese su Douyin, la versione cinese della piattaforma di video-sharing TikTok.
Foto di copertina EPA/XINHUA/XIE HUANCHI