Donald Trump colleziona rinvii a giudizio – il terzo è in arrivo, il quarto sarebbe imminente – ma resta saldamente in testa alla corsa per la nomination repubblicana per le elezioni del 2024; e ci sono sondaggi che lo danno vincente in un eventuale match con il presidente Joe Biden. Ma la strada di qui al voto è ancora lunga quasi 500 giorni: in vista delle primarie, ci saranno, a partire da agosto, vari dibattiti fra gli aspiranti alla nomination repubblicana: si comincia il 23 agosto a Milwaukee.
La terza incriminazione per Trump
Intanto, i tentativi, andati a vuoto, di Trump e dei suoi sodali di rovesciare l’esito delle presidenziali nel 2020 e di restare fraudolentemente alla Casa Bianca stanno per sfociare in un’incriminazione, la terza. Il procuratore speciale nominato per indagare sulla vicenda, Jack Smith, ha infatti informato per iscritto il magnate ex presidente che è oggetto di un’indagine penale.
Gli sforzi di Trump di alterare l’esito del voto, che lui diceva essere frutto di frodi mai provate, condussero all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021: migliaia di facinorosi suoi sostenitori, che lui aveva aizzato con un discorso sulla spianata retrostante la Casa Bianca, invasero e devastarono il Congresso. Ci furono cinque vittime e numerosi feriti; decine di persone sono state già condannate per quella sommossa, fra cui molti esponenti di movimenti suprematisti.
L’indagine del procuratore speciale coinvolge anche quanti, nella cerchia di Trump, collaborarono con lui per alterare l’esito delle elezioni.
L’intreccio dei casi giudiziari
Quando il rinvio a giudizio anticipato nella lettera di Smith, dopo oltre due anni di indagini e interrogatori, diventerà effettivo, sarà il terzo per il magnate ex presidente, che, però, continua imperterrito la sua campagna per la nomination repubblicana a Usa 2024. Anzi, Trump sembra quasi trarre spinta dalle disavventure giudiziarie. La sua tesi è che le sue incriminazioni sono tutte “politicamente motivate”: l’Amministrazione Biden vorrebbe ‘fare fuori’ per vie giudiziarie l’antagonista più temibile per il presidente in carica, che si candida a essere rieletto.
Trump è sotto processo a New York per avere comprato in nero il silenzio di una pornostar con cui aveva avuto una relazione sessuale: non ne doveva parlare durante la campagna elettorale del 2016 –le udienze dovrebbero iniziare a marzo –; e in Florida per avere sotratto alla Casa Bianca e illegamente tenuto nella sua dimora di Mar-a-lago centinaia di documenti classificati – le udienze, che dovevano iniziare prima della fine dell’anno, sono già slittate a data da destinarsi. La giudice che gestisce il procedimento, Aileen Cannon, nominata da Trump, potrebbe provare a farle slittare dopo il voto del 2024 (se condannato, Trump rischia anni di carcere).
L’indagine del Dipartimento della Giustizia sui fatti del 6 gennaio 2021, sollecitata dalle conclusioni di una commissione d’inchiesta della Camera, s’avvicina, dunque, alle conclusioni: gli inquirenti, negli ultimi mesi, si sono soprattutto concentrati su una caotica riunione alla Casa Bianca, dove venne, fra l’altro, evocata la possibilità di mettere sotto sequestro i macchinari per il voto elettronico e di bloccare il processo di trasferimento dei poteri da un’Amministrazione all’altra.
Inoltre, sono stati recentemente sentiti testimoni su frodi compiute, o progettate, da persone vicine all’ex presidente per iscrivere nelle liste elettorali di Stati vinti da Biden con stretto margine schiere di falsi elettori repubblicani. Nel Michigan, dove Biden s’impose con largo margine, 154 mila voti, 16 persone sono appena state rinviate a giudizio per otto reati, che includono falso e cospirazione per commettere il falso. Fra di loro c’è Meshawn Maddock, un alleato di Trump, all’epoca dei fatti co-presidente del Partito repubblicano del Michigan.
I risvolti sulla campagna elettorale e il fattore Ucraina
C’è consenso sul fatto che l’essere sotto processo non impedisca a Trump di essere candidato e fare campagna elettorale. Non c’è invece unanimità, fra i giuristi, se il fatto di essere condannato gli potrebbe impedire di essere candidato o di essere eletto. Ma il New York Times anticipa che Trump e i suoi sostenitori progettano, se faranno ritorno alla Casa Bianca, una forte espansione dei poteri del presidente su quelli di tutti gli altri rami del governo, Congresso e giustizia compresi.
Nelle ultime ore, la guerra in Ucraina è tornata ad avere echi nella campagna elettorale repubblicana per Usa 2024: Biden dovrà tenerne conto, specie se il conflitto non si risolverà entro fine anno. Trump, alla Fox, ha ribadito: “Se fossi presidente metterei fine al conflitto in 24 ore”. Il magnate, che incontrava nello Iowa i suoi sostenitori, ha spiegato: “Conosco Zelensky molto bene, conosco Putin molto bene. Direi loro di trovare un’intesa: voglio solo porre termine all’uccisione di migliaia di persone”.
Invece, il maggiore rivale di Trump per la nomination, il governatore della Florida Ron DeSantis, insiste che, per lui, la guerra in Ucraina è “un problema secondario”. “La minaccia principale – dichiara alla Cnn – per noi viene dalla Cina (…) Dobbiamo guardare il Mondo non più con l’Europa al centro delle nostre preoccupazioni, com’è giustamente stato dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’Asia-Pacifico dev’essere per la nostra generazione quello che l’Europa è stata per la generazione della Seconda Guerra Mondiale”.
Le mine vaganti dei Grand Jury
È stato lo stesso Trump ad annunciare sul suo social ‘Truth’ di avere ricevuto la lettera di Smith che gli anticipa il rinvio a giudizio. Ma esperti giudiziari spiegano, sui media Usa, che la vicenda resta complessa: la lettera non è, di per sé, un rinvio a giudizio, ma è una specie di avviso di garanzia e viene insieme all’invito a Trump a comparire di fronte a un Grand Jury per testimoniare (cosa che l’ex presidente, secondo quanto un suo consigliere ha detto al Washington Post, non intende fare).
L’inchiesta si concentra su tre interrogativi: la campagna di Trump commise frodi raccogliendo denaro con affermazioni che le elezioni erano state truccate, sapendo che non era vero?; l’allora presidente sapeva dei falsi elettori repubblicani negli Stati in bilico?; in che modo e in che misura Trump e i suoi sodali esercitarono pressioni sul vice-presidente Mike Pence perché rovesciasse l’esito del voto? Dopo il rifiuto di Pence, che quel 6 gennaio 2021 presiedeva la sessione congiunta del Congresso, di prestarsi a quello che sarebbe stato un vero e proprio colpo di Stato, i sostenitori di Trump diedero l’assalto al Campidoglio e invasero il Congresso. Pence, dal canto suo, ha già deposto di fronte al Grand Jury.
I guai giudiziari di Trump, però, non finiscono qui. Un Grand Jury convocato ad Atlanta in Georgia deve decidere a breve se l’ex presidente e i suoi sodali commisero reati nel tentativo di rovesciare l’esito del voto nello Stato, dove Biden vinse con un margine di poco più di mille suffragi. Secondo fonti giudiziarie, Trump, che in una telefonata chiese in modo esplicito alle autorità repubblicane dello Stato di “trovare i voti” per dargli la vittoria, rischia un rinvio a giudizio per estorsione, reato che, in caso di condanna, comporta anni di carcere.
Foto di copertina EPA/CRISTOBAL HERRERA-ULASHKEVICH