22 Dicembre 2024

Usa 2024: le inchieste saranno trampolino di lancio per Trump?

Il suo nuovo avvocato, Christopher Kise – pagato tre milioni di dollari per tirarlo fuori dai guai – gli consiglia un approccio meno conflittuale con i magistrati inquirenti, ma lui, Donald Trump, ex presidente oggetto di plurime inchieste e magnate sotto scacco per frode, preferisce sempre dare ascolto a chi lo incoraggia allo scontro, a costo di mettersi in rotta di collisione con il Dipartimento della Giustizia. Eppure, nel suo team di legali –  che Kise ora dovrebbe coordinare e dove il turnover è altissimo – tre rischiano di essere deferiti per ostruzione alla giustizia e per avere dichiarato il falso alle autorità federali.

Donald Trump tira dritto

Come al solito, il magnate ex presidente nega tutto e tira dritto. Negli ultimi giorni, ha fatto il tifo per ‘Tropical Trump’ – come lo chiama lui – il Trump dell’altro emisfero, cioè il presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro, il leader che quando lui era alla Casa Bianca lo chiamava più spesso. Avevano un sacco di cose in comune: la mancanza di rispetto per la verità, il negazionismo di fronte alla pandemia, la fiducia mal riposta nella idrossiclorochina e l’avere contratto il Covid-19 in forma pure grave.

Archiviate le elezioni brasiliane, Trump tornerà a fare campagna per i suoi sodali, in vista del voto di midterm dell’8 novembre. Anche se, in realtà, lui fa sempre e solo campagna per sé stesso, tenendo il pensiero rivolto alle presidenziali 2024. Checché ne dica l’avvocato Kise, lui non è uomo da strategie difensive: va sempre all’attacco.

Tutte le inchieste e i capi d’accusa

Eppure, le inchieste sul suo operato lo stanno assediando. E non sempre troverà un giudice federale distrettuale da lui nominato disposto ad aiutarlo, come sta facendo in Florida Aileen M. Cannon, che ha deciso di affidare a un esperto ‘super partes’ l’esame dei documenti sequestrati a casa sua dall’Fbi l’8 agosto e che fa di tutto per frenare l’inchiesta su quel materiale.

Sull’ex presidente, le inchieste si sommano e s’intrecciano: il dipartimento della Giustizia indaga sulla sottrazione di documenti dalla Casa Bianca, centinaia dei quali confidenziali. Trump ne avrebbe anche distrutti, quand’era ancora in carica, scaricandoli nel water. In Georgia si valutano le pressioni da lui esercitate per alterare il risultato delle elezioni nello Stato. La Camera sta vagliando sue eventuali responsabilità nella sommossa del 6 gennaio 2021 intesa a ribaltare l’esito del voto – la commissione ‘ad hoc’ intende concludere i lavori entro la fine della legislatura.

Infine, la procura di New York scava fra i sospetti di evasione fiscale e pratiche d’affari illegali della Trump Organization, la holding di famiglia. E una corte federale avalla la richiesta – finora sempre respinta – di rendere pubbliche le dichiarazioni fiscali del magnate: la vertenza, probabilmente, finirà alla Corte Suprema, dove l’ex presidente si sente in una botte di ferro, perché, grazie alle sue nomine, i giudici conservatori sono in larga maggioranza (sei a tre).

Appello al V emendamento

Lui parla di “caccia alle streghe”: dice di non avere commesso illeciti. Convocato a New York, si presenta in procura, ma si rifiuta di rispondere alle domande. Come i cattivi dei film di Hollywood, che hanno qualcosa da nascondere e un buon avvocato, Trump tace e invoca il V emendamento della Costituzione americana per eludere le domande del procuratore dello Stato Letitia James, che da anni passa al setaccio le dubbie pratiche della Trump Organization. Il V emendamento consente all’indagato, o al teste, di non deporre, se le sue risposte potrebbero esporlo a essere incriminato.

Nell’inchiesta di New York, Allen H. Weisselberg, il ‘super-ragioniere’ della Trump Organization, incriminato per reati fiscali, ha già patteggiato la sua condanna con la procura di Manhattan, senza però offrire collaborazione nelle indagini sul magnate, che si sono ora estese anche ai tre figli maggiori, Donald jr, Ivanka ed Eric.

In Georgia, l’avvocato di Trump Rudolph Giuliani, l’ex ‘sindaco sceriffo’ di New York, è comparso davanti a un Gran Giurì: è indagato per le pressioni esercitate dopo il voto dall’allora presidente sulle autorità statali perché alterassero l’esito delle presidenziali. Altri suoi legali e/o collaboratori vengono ascoltati.

Davanti alla commissione d’inchiesta della Camera, sfilano in diretta tv teste spesso imbarazzanti per l’ex presidente, mentre alcuni suoi sodali, come Steven Bannon o Roger Stone, affrontano arresti e condanne, pur di non ‘tradirlo’. C’è chi racconta di momenti di panico alla Casa Bianca, quel 6 gennaio 2021, quando anche la figlia Ivanka chiedeva al padre presidente di richiamare all’ordine i facinorosi dal Campidoglio, dove il suo vice Mike Pence temeva per la propria vita; e, invece, c’è chi continua a credere ai brogli, come la moglie del Giudice Supremo Clarence Thomas, Ginni, una oltranzista trumpiana.

Un fronte repubblicano a favore di Trump

Le polemiche sulla perquisizione in Florida innescano minacce contro gli agenti dell’FBI ovunque negli Usa. Sobillati dal magnate, proprio come era avvenuto il 6 gennaio 2021, i suoi sostenitori vogliono passare all’azione; e talora lo fanno.

La raffica di iniziative anti-Trump stimolano la solidarietà dei repubblicani verso l’ex presidente. Anche chi nel partito lo critica e molti che nelle primarie hanno preferito candidati non appoggiati da lui intravvedono nel cumulo di azioni quello che noi chiameremmo un ‘fumus percecutionis’ o una ‘giustizia ad orologeria’. Ma c’è chi pensa che, in chiave elettorale, verso il voto di midterm dell’8 novembre e le presidenziali del 2024, i repubblicani e il magnate possano persino trarne vantaggio. A meno che non ne risultino misure che interdicano l’ex presidente dai pubblici uffici (resta, però, da vedere se sarebbero valide, in caso di elezione alla presidenza).

Foto di copertina EPA/JOSE JUAREZ

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