L’ultimo spicchio della presidenza francese dell’Unione europea, che coincide con le elezioni legislative del 12-19 giugno, vede il presidente Emmanuel Macron sfornare idee che potrebbero animare il dibattito dei prossimi mesi e forse dei prossimi anni. È un Macron più sicuro di sé quello che muove i primi passi del suo secondo mandato quinquennale, agevolmente conquistato con le elezioni presidenziali del 10-24 aprile. Il suo orizzonte politico interno si è rasserenato grazie al trauma delle opposizioni moderate di destra e soprattutto di sinistra, ancora ko dopo il loro disastroso risultato delle presidenziali.
Un clima politico favorevole
La crisi politica e identitaria di neogollisti da un lato e socialisti dall’altro ha spostato verso le ali estreme il baricentro dell’opposizione; col risultato di scoraggiare molti elettori moderati (ormai pronti all’astensione) e di spingerne altri alla conversione macronista. Marine Le Pen da un lato e Jean-Luc Mélenchon dall’altro sembrano avviati verso un risultato deludente a paragone delle loro aspettative.
Il 12 e il 19 giugno, i francesi eleggeranno i 577 membri dell’Assemblea nazionale definendo così il volto del potere dei prossimi cinque anni. Macron pregusta un risultato che qualche mese fa non osava neanche sperare.
Nuove e vecchie idee in campo: la CPE
È dunque un Macron felice e vincente a tirare oggi i fili dell’Unione. Eccolo sfornare, nel suo discorso del 9 maggio al Parlamento europeo, un’idea che potrebbe lasciare il segno (anche se il condizionale è assolutamente d’obbligo). Si tratta della Comunità politica europea (CPE), in cui – stando a quanto si può ragionevolmente immaginare – confluirebbe chi sogna l’ingresso nell’Unione senza averne tutti i requisiti. Una specie di limbo, di cui si sente talvolta la mancanza. Nel limbo starebbero, senza limiti di tempo, i Paesi candidati e altri che non vogliono o non possono esserlo.
L’occhio di Macron va in primo luogo a uno Stato a cui nessuno può oggi dire di no, ma a cui l’Europa non può neanche rispondere “sì” su ogni argomento: l’Ucraina. L’ingresso nella CPE, basato più su una convergenza di valori che su complessi criteri di convergenza (compresi quelli economici), consentirebbe all’Ucraina di mettere fin d’ora un piede in Europa. Un passo avanti sulla strada di Bruxelles.
Rilanciando una vecchia idea di François Mitterrand (che risale alle eccitanti settimane di fine 1989, quando lo slogan sembrava essere “l’immaginazione al potere”), Macron ridisegna uno schema europeo fatto di cerchi concentrici. La CPE, il più esterno, potrebbe persino avere una quarantina di membri (compresi Ucraina, Moldavia, Macedonia, Albania, Serbia, Montenegro, Norvegia, Gran Bretagna e magari Turchia, anche se ci vorrebbe una bella immaginazione per pensare un’identità di valori con Erdogan).
Nel gioco delle ‘matrioske’ ci sarebbe poi, all’interno, l’Unione con i suoi attuali membri (che 27 sono e, nella logica francese, è bene che 27 continuino almeno per ora ad essere). Si arriverebbe così alla ‘matrioska’ dell’Eurozona, con i suoi attuali 19 membri. La ‘matrioska’ più interna, nucleo duro dell’intero sistema, esiste senza poter essere ufficializzata: sta nelle convergenze tra i quattro Paesi (Germania, Francia, Italia e Spagna) che esprimono insieme la maggioranza della popolazione e del Pil dell’Unione. Precipitandosi a Berlino a incontrare il cancelliere Scholz, Macron può aver dato l’impressione di credere – come i suoi predecessori – all’esistenza di un’ultima ‘matrioska’, quella franco-tedesca.
La riforma dei Trattati
Tra gli altri punti citati da Macron a Strasburgo, c’è la riforma dei Trattati, che, alla luce dell’esperienza, provoca parecchie perplessità in Europa. Nessuno, o quasi, pensa che i trattati non andrebbero riformati. Ma sono tanti a ricordare che non c’è stato bisogno di riscrivere la Bibbia per decidere che sia la Terra a ruotare intorno al Sole. Anche senza bisogno di dirlo o di ripeterlo, si ritiene che, secondo il proverbio, «il meglio è nemico del bene» e, come hanno dimostrato le vicende legate alla lotta al Covid, l’Europa può fare passi avanti anche senza passare per un iter politico-istituzionale pieno d’insidie oltre che terribilmente dispendioso in termini di tempo.
Tra le cose che si possono concretamente fare c’è la ricerca di nuove convergenze nei settori di cui la crisi Ucraina ha rivelato (semmai ce ne fosse bisogno) l’importanza: la politica estera, la sicurezza, l’energia, la garanzia di risorse legate alla nostra alimentazione. Macron parla di riforma dei trattati, ma è a questi problemi immediati e drammatici che pensa oggi in primo luogo.
Foto di copertina EPA/CHRISTIAN HARTMANN / POOL MAXPPP OUT