Questo lo slogan che campeggia sui manifesti, approvati dal governo, che tappezzano Budapest per convincere gli elettori a votare no a quattro quesiti referendari anti-LGBTI.
Il manifesto ritrae una donna di circa trent’anni che guarda intensamente mentre abbraccia una bambina, anch’essa con lo guardo rivolto al pubblico. Il bianco è il colore dominante, come a evocare la purezza dell’infanzia e dell’amore materno (è interessante notare la totale assenza del padre della bambina) che “la follia gender”, come l’ha definita il primo ministro ungherese Viktor Orbán in un comizio elettorale, metterebbe a rischio.
La battaglia della società civile in Ungheria
Eppure, lo stratagemma non ha funzionato. La campagna della società civile, volta a far votare scheda nulla, con lo slogan “a domande invalide si risponde invalidando la scheda elettorale”, ha avuto successo: nessuno dei quattro quesiti ha raggiunto il quorum, che in Ungheria richiede il 50% dei voti validi (quindi le schede nulle non contano, a differenza di quanto avviene da noi in Italia).
I numeri parlano chiaro: oltre il 20% degli elettori, una percentuale notevole sebbene inferiore a quella del 28% presa dalla coalizione Uniti per l’Ungheria, ha annullato la scheda. Si tratta di oltre 2 milioni di persone che, sommate al 36% di coloro che non si è recato alle urne, hanno reso possibile il mancato quorum.La polarizzazione non funziona a senso unico: molte delle persone prima indifferenti ai diritti LGBTI si sono mobilitate per fermare la campagna d’odio contro le persone LGBTI.
Questi quesiti dovevano essere il centro della campagna elettorale di Fidesz, il partito di Orbán, non fosse stato per l’invasione russa dell’Ucraina, che ha permesso al primo ministro ungherese di usare la contrapposizione tra guerra e pace come tema ancora più forte, soprattutto in uno Stato confinante con il Paese invaso. La campagna referendaria è passata quindi in secondo piano, ma non è stata affatto abbandonata, soprattutto in provincia, e persino la nuova Presidente della Repubblica, Katalin Novak, si è spesa sul tema fino agli ultimissimi giorni.
Un referendum scritto per dare ragione al governo
Il referendum, ma sarebbe meglio chiamarlo plebiscito, è stato annunciato dopo l’avvio della procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea contro una legge anti-LGBTI, approvata nel giugno 2021, che vieta i contenuti LGBTI ai minori di 18 anni, nelle scuole e in televisione prima delle 22. Una legge molto simile alla famigerata legge contro la cosiddetta “propaganda omosessuale” approvata in Russia nel 2013. Non a caso, la battuta che circola tra i giovani ungheresi è che la donna del manifesto sarebbe russa.
Ma questo è solo l’ultimo di una lunga serie di provvedimenti volti a usare i diritti LGBTI come strumento di polarizzazione sociale e di consolidamento del proprio potere: nel 2020 Orbán aveva reso illegale cambiare il proprio sesso di nascita sui documenti, impedendo così alle persone trans di adeguare i documenti al proprio genere. Poco dopo si era reso de facto impossibile adottare per le coppie gay.
L’operazione è puramente politica e inserita nella crescente tensione tra Budapest e Bruxelles: di fronte alla fermezza dell’Ue, il primo ministro dell’Ungheria voleva dimostrare di avere il pieno sostegno popolare. Inoltre, l’esperienza della Polonia gli aveva insegnato che questo era il tema perfetto, dopo aver esaurito quello dell’immigrazione, per compattare il suo elettorato e mobilitarlo in vista delle elezioni politiche. Che si trattasse di un’operazione strumentale, si evince anche dalla vaghezza manipolatoria dei quesiti che non avevano un ancoraggio normativo alla legge del giugno 2021 e invitavano chiaramente a rispondere no. Vediamoli:
- Vuoi che venga insegnato l’orientamento sessuale nelle scuole ai minorenni senza il consenso dei genitori?
- Vuoi che le terapie di riassegnazione del sesso siano promosse ai bambini?
- Vuoi che i bambini siano esposti illimitatamente a contenuti mediatici sessualmente espliciti che possono influenzare il loro sviluppo?
- Sei a favore della diffusione di contenuti mediatici sul cambio di sesso ai minorenni?
E ora cosa succede?
Probabilmente Orbán cercherà di presentare anche questa sconfitta come una vittoria, facendo leva sul fatto che tra il 92% e il 95% di coloro che hanno espresso un voto valido hanno votato no. D’altronde, nel 2016, quando un altro plebiscito contro la ricollocazione dei migranti dell’Unione europea non ha passato il quorum, il Primo ministro ungherese continuò le sue politiche anti-migratorie. Ma allora tre distinte campagne – per il no, per il boicottaggio e per l’annullamento delle schede – si erano tenute. Il risultato, quindi, fu meno netto.
Come ripetono ininterrottamente da ieri i rappresentanti di Amnesty International Hungary e dell’associazione LGBTI Háttér: il Parlamento deve abrogare immediatamente la legge sulla propaganda adottata lo scorso giugno.
Ma non sarà facile e quindi l’Ue dovrà accelerare sulla procedura d’infrazione e continuare a fare pressione. Insomma, la battaglia per i diritti Lgbt in Ungheria continua.
Foto di copertina EPA/JEROEN JUMELET