Il diritto umanitario, inteso come corpo di norme che regola i conflitti armati, pare assente dal conflitto ucraino. Per l’evacuazione dei feriti di Azovstal si è chiesta ad esempio una garanzia internazionale, quando invece esistono norme ben precise sulle cure mediche che i belligeranti devono garantire ai prigionieri di guerra avvalendosi magari dell’assistenza del Comitato internazionale della Croce Rossa.
Sia la Federazione Russa che l’Ucraina sono infatti Stati parte delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dei due Protocolli aggiuntivi del 1977.
Tante sono le lacune di queste ostilità che si svolgono in una dimensione estranea al diritto. Unica eccezione, le azioni per avvio di procedimenti volti a portare i crimini internazionali commessi dalle forze russe davanti alle Corti ucraine o alla Corte Penale Internazionale (o, eventualmente, ad un Tribunale ad hoc).
Tra le questioni che sono rimaste irrisolte, forse anche per lo stallo dell’azione del Consiglio di sicurezza, c’è il dramma dei circa quattro milioni di tonnellate di grano ammassate nei silos ucraini che attende invano di essere esportato.
Il blocco dei porti ucraini
Da marzo il Mar Nero è in una situazione di guerra. Il traffico mercantile è ridotto ai minimi termini. Dopo lo scoppio delle ostilità, decine di mercantili sono rimasti imbottigliati nei porti russi e ucraini finché l’Organizzazione marittima internazionale non ha chiesto alla Russia di creare dei corridoi marittimi sicuri, liberi da mine ed altre minacce, in cui i mercantili potessero navigare per uscire dal Mar Nero.
La Russia, pur avendo subito gravi perdite con l’affondamento di due unità da guerra, continua a bombardare dal mare la zona di Odessa causando danni indiscriminati alla popolazione civile ed ai beni architettonici.
Per effetto del minamento delle acque ucraine e della presenza di unità russe, i traffici commerciali sono quasi fermi. Di fatto la Russia ha così realizzato una sorta di chiusura delle coste dell’avversario, pur non avendo proclamato un vero e proprio blocco navale conforme ai canoni della guerra marittima che postulano lo stazionamento continuo di navi avversarie davanti alle coste nemiche per impedire sia rifornimenti di armi che altre forme di sostegno logistico.
Secondo l’art. 54.1 del primo Protocollo di Ginevra del 1977 è però vietato il blocco volto ad affamare la popolazione civile o a negarle assistenza sanitaria.
Doppia catastrofe umanitaria
L’Ucraina è in deficit sia di cibo che di medicinali. Com’è noto l’Ucraina è tuttora il granaio del mondo. Un danno particolare è causato a Kyiv dalla perdita di un intero raccolto di grano che giace nei silos costieri.
Ma il danno maggiore è causato a quegli Stati che sono indifesi rispetto alle speculazioni correlate alla scarsità di grano ucraino. Si tratta principalmente dei Paesi africani e del Medio Oriente con basso reddito pro capite, in primis la Tunisia, nei quali le tensioni per la mancanza di pane rischiano di trasformarsi in rivolte sociali.
Di qui i tentativi della Comunità internazionale di aggirare il blocco costiero russo trasportando il grano via terra verso i Paesi Ue.
Corridoi marittimi umanitari
Se si guarda alla disposizione del primo Protocollo del 1977 che vieta di “far soffrire la fame alle persone civili” una via d’uscita appare possibile. Chiaramente, si tratta di interpretare evolutivamente la norma, riportando al centro della scena il negletto diritto umanitario. Perché non attenuare il blocco chiedendo alla Russia di creare corridoi marittimi umanitari dove mercantili possano trasportare il grano ucraino?
Detta così l’iniziativa appare utopica, ma diverse sarebbero le cose se le Nazioni Unite assumessero un ruolo attivo con il Programma alimentare mondiale (PAM) della FAO impegnandosi ad acquisire il grano ucraino e facendolo trasportare su navi noleggiate per l’esigenza verso i Paesi bisognosi di aiuto.
L’operazione richiederebbe il coinvolgimento della Turchia quale principale referente dello status quo del Mar Nero. Ankara potrebbe essere lo Stato garante nei confronti della Russia delle reali finalità umanitarie da perseguire.
Foto di copertina EPA/YAHYA ARHAB