Lo scorso 23 giugno, sulla scorta del parere positivo della Commissione europea, la massima istanza politica dell’Unione europea (il Consiglio europeo) ha dato il via libera al riconoscimento dell’Ucraina e della Moldova come Stati candidati ad essere membri dell’Ue. Compie, dunque, un passo decisivo, ma non conclusivo, il processo che da più parti e per molteplici ragioni è stato definito “storico”.
Con il riconoscimento dello status di Paese candidato è stata data concreta soddisfazione alla volontà di questi Stati dell’Europa orientale, attualmente minacciati dall’aggressione armata russa, di aderire al processo di integrazione europea ed alla – più o meno concreta – protezione geopolitica che deriva dall’essere membri dell’Unione europea. Nel contempo è stato inviato un chiaro messaggio alla Russia circa la ferma volontà dell’Unione europea e dei suoi Stati membri di essere al fianco degli Stati e delle popolazioni aggredite, senza timori di ritorsioni.
L’esclusione della Georgia
Quanto deciso, non senza alcune fatiche, dai Capi di Stato e di Governo nell’ultimo Consiglio europeo, è stato preceduto, come richiede l’art. 49 del Trattato sull’Unione europea, da una serie di pareri formulati dalla Commissione, funzionali a verificare la sussistenza di taluni criteri formali (meglio conosciuti come clausole economiche, politiche e sociali) che costituiscono un primo raffronto tra la situazione generale interna agli Stati desiderosi di far parte dell’Unione europea e i valori fondanti il processo di integrazione europea (dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti alle minoranze).
Proprio una non piena maturazione delle condizioni necessarie ad assicurare il rispetto dei predetti criteri ha comportato che lo status di candidato non sia stato riconosciuto alla Repubblica di Georgia. In particolare, sebbene il Consiglio abbia preso atto che la Georgia ha compiuto numerosi progressi dal punto di vista politico e di governance interna, sono comunque emerse alcune perplessità, che hanno indotto il Consiglio europeo a rinviare la decisione dopo il soddisfacimento di alcune condizioni preliminari poste dalla Commissione.
Un lungo e non scontato processo di adesione
Tornando allo status di Paese candidato oggi riconosciuto all’Ucraina e alla Moldova, va chiarito che tale status non rappresenta garanzia di adesione all’Unione europea, che non è facile prevedere quando potrà essere effettivamente realizzata.
Come ben sanno Macedonia del Nord (candidata dal 2005), Montenegro (candidato dal 2010), Serbia (candidata dal 2012), Albania (candidata dal 2014), Kosovo (accordo di stabilizzazione e associazione firmato nel 2016), Bosnia-Erzegovina (domanda presentata nel 2016), il processo di adesione all’Unione europea non è semplice, non è immediato e, soprattutto, non è scontato.
Il Paese candidato deve, infatti, concretamente dimostrare – coadiuvato e controllato dalla Commissione europea – la sua capacità di soddisfare i c.d. “Criteri di Copenhagen”, che sono:
- la presenza di istituzioni stabili a garanzia della democrazia, dello stato di diritto, dei diritti umani, del rispetto e della tutela delle minoranze;
- un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione europea;
- la capacità di accettare gli obblighi derivanti dall’adesione, tra cui la capacità di attuare efficacemente le regole, le norme e le politiche che costituiscono il corpo del diritto dell’Unione europea (il c.d. ‘acquis’), nonché l’adesione agli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria.
Al di là di dell’iniziale entusiasmo, anche l’Ucraina e la Moldova dovranno dimostrare di rispettare i predetti criteri.
Peraltro, già con l’accordo di associazione del giugno 2014 – in un contesto diretto a facilitare gli scambi economici fra Ucraina e Stati membri dell’Unione europea – l’Ucraina aveva assunto l’impegno di procedere ad alcune riforme economiche, giudiziarie e finanziarie assimilabili ai Criteri di Copenaghen, ora inevitabilmente bloccate da una guerra di cui non si vede la fine e che presumibilmente ritarderà il perfezionamento del processo di adesione.
Adelante, Pedro, con juicio, si puedes
Se la guerra con la Russia ha indotto la Commissione e il Consiglio europeo a concedere con indubbia maggiore flessibilità lo status di Paese candidato all’Ucraina e alla Moldova, è oggi proprio la guerra il principale ostacolo all’avvio e al completamento di quelle riforme che sono necessarie per rispettare i Criteri di Copenhagen e completare il processo di adesione.
Non appare, infatti, che gli attuali Stati membri dell’Unione europea (specie alcuni fra loro) siano disposti a fare concessioni sotto questo profilo (forse anche avendo un occhio rivolto a quanto accade in Ungheria e Polonia in relazione ai casi di mancato rispetto di alcuni dei valori fondanti il processo di integrazione europea). Come si evince chiaramente dalle conclusioni del Consiglio europeo del 23-24 giugno, a fronte delle proteste e dei rumoreggiamenti di alcuni fra i paesi candidati da lungo tempo, al di là della puntuali considerazioni esplicitate per ciascuno di essi e di una generica affermazione della necessità di una accelerazione nel processo di adesione di questi Stati, resta fermo il principio per cui “The progress of each country towards the European Union will depend on its own merit in meeting the Copenhagen criteria, taking into consideration the Eu’s capacity to absorb new members” (par. 14).
Sicché, pur nel giusto plauso ed entusiasmo per la concessione dello status di Paese candidato a Ucraina e Moldova, che probabilmente trascinerà con sé una accelerazione nel processo di adesione di altri Stati da tempo sulla soglia dell’Unione europea, l’attuale fase del processo di allargamento può ragionevolmente essere riassunta nella manzoniana affermazione del Gran Cancelliere Ferrer: “Adelante, Pedro, con juicio, si puedes”.
Foto dicopertina EPA/OLIVIER HOSLET