La Dichiarazione di Dakar, diffusa in chiusura del nono Forum Mondiale dell’Acqua tenutosi nella capitale senegalese dal 21 al 26 marzo, richiama gli impegni internazionali a garantire il diritto all’acqua per tutti, e invita a rafforzare approcci cooperativi per una gestione equa delle risorse idriche transfrontaliere.
L’applicazione di tali principi alla controversia sul progetto idroelettrico Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) e alle più ampie tensioni sulla gestione del fiume Nilo è però irta di sfide. La disputa decennale, iniziata nel 2011 con l’avvio unilaterale della costruzione della diga da parte dell’Etiopia, è stata caratterizzata da approcci fermamente stato-centrici, e l’impossibilità di Egitto, Sudan ed Etiopia di raggiungere un compromesso per un’equa condivisione del Nilo ha minato lo spirito di cooperazione.
Stallo diplomatico sul Nilo
La controversia riguardante la GERD è stata caratterizzata da rivendicazioni di diritti naturali e storici sulle acque del Nilo ai sensi del trattato anglo-egiziano del 1929 e di quello tra Egitto e Sudan del 1959. Accordi che attribuiscono al Cairo un potere di veto sui progetti di altri stati rivieraschi sul fiume e ripartiscono la totalità del flusso del Nilo tra Egitto e Sudan, ignorando le esigenze dei paesi a monte. Poiché l’Egitto dipende dal Nilo per oltre il 90 per cento del suo fabbisogno idrico, qualsiasi interferenza con il fiume è affrontata in chiave securitaria, e pertanto, la decisione unilaterale dell’Etiopia di costruire la diga per favorire l’emancipazione socioeconomica nazionale e regionale ha incontrato l’immediata opposizione egiziana.
Tuttavia, dopo l’ascesa al potere di Al-Sisi, Egitto, Sudan ed Etiopia hanno ripreso il dialogo e, nel 2015, hanno firmato la Dichiarazione dei Principi (DoP) che impegna le tre parti a non causare danni significativi e a utilizzare in modo equo e ragionevole le acque del Nilo. Sebbene la DoP abbia rappresentato un punto di svolta nel percorso negoziale, la validità legale del documento è tuttora contestata. Mentre Egitto e Sudan ne sostengono il carattere vincolante, l’Etiopia la interpreta come uno strumento non obbligatorio, che non impedisce al Paese di portare a termine la costruzione della diga e di generare elettricità. Negli anni successivi i negoziati si sono svolti sotto l’egida della Banca Mondiale, degli Stati Uniti, e dal 2020, dell’Unione Africana (Ua), senza però riuscire a concludere con successo un accordo vincolante che regoli il riempimento e il funzionamento della GERD.
Lo scorso 20 febbraio l’Etiopia ha azionato le turbine della GERD, senza alcuna consultazione con Egitto e Sudan, segnando di fatto l’avvio della fase di produzione della diga e costituendo l’ennesima espressione del perdurante primato dell’unilateralismo e della sovranità sullo spirito di compromesso e di cooperazione in questa crisi.
Nonostante la recente disponibilità a riprendere i colloqui guidati dall’Ua espressa dall’Ambasciatore etiope a Washington, è ormai un anno che i negoziati sono in un’impasse e il deterioramento delle relazioni tra i tre stati, con le ricorrenti minacce di ricorso alla forza militare, è chiaramente motivo di preoccupazione. Allo stesso tempo, la mancanza di consultazioni e di processi decisionali inclusivi in Etiopia, così come nei vicini stati, ha portato la società civile e gli attivisti locali a lanciare un allarme sugli impatti sociali e ambientali della GERD e sulla sua complementarità con gli obiettivi delineati dall’agenda 2030, resi ancora più urgenti dall’attuale emergenza climatica.
Sicurezza umana e condivisione equa delle acque del Nilo
Secondo gli osservatori, il confronto sul Nilo può essere letto come uno scontro tra la dottrina di assoluta sovranità territoriale dell’Etiopia – meglio nota come Dottrina Harmon, secondo cui gli stati possono utilizzare liberamente l’acqua presente nel proprio territorio, senza considerare le esigenze degli altri stati rivieraschi – e le rivendicazioni egiziane e sudanesi di assoluta integrità territoriale – secondo cui ogni stato detiene il diritto al flusso naturale dei sistemi fluviali che attraversano il suo confine. Questo confronto a somma zero non tiene conto di fattori riguardanti il diritto all’accesso all’acqua e quello allo sfruttamento delle risorse ai fini dello sviluppo nazionale, di ciascun paese coinvolto.
Pertanto, un approccio incentrato sulla sicurezza umana consentirebbe di comprendere il Nilo come una risorsa inscindibile, sottolineando i vantaggi reciproci che deriverebbero da un’efficace gestione transfrontaliera ed evidenzierebbe al contempo l’interdipendenza dei bisogni umani delle popolazioni di tutti gli stati rivieraschi. L’urgenza di un tale approccio è giustificata anche dall’esponenziale crescita demografica che caratterizza il contesto regionale, insieme alle crescenti esigenze di consumo energetico, al cambiamento climatico e alla scarsità di acqua.
Gli agricoltori egiziani percepiscono la diga come ragione di maggiori disuguaglianze, in quanto un limitato flusso d’acqua del Nilo dovuto al funzionamento della diga potrebbe costringerli a vendere le loro terre o a passare dal mercato del riso a quello meno redditizio degli ortaggi. Per di più, l’insicurezza alimentare egiziana associata allo stress idrico e ora esacerbata dall’attuale calo delle importazioni di grano dall’Ucraina e dalla Russia dovuto alla guerra, rende cruciale la cooperazione incentrata sui bisogni delle popolazioni nella gestione del fiume.
Per quanto concerne il lato sudanese invece, in circostanze di coordinamento tripartito, la popolazione del paese potrebbe beneficiare dal potenziale della GERD nel limitare l’intensità delle inondazioni che storicamente devastano le comunità agricole lungo il fiume. Tuttavia, le decisioni unilaterali dell’Etiopia di procedere al funzionamento della diga e la mancanza di consultazioni con gli stati a valle rendono le cose più complesse. Nel caso in cui Addis Abeba decidesse unilateralmente di rilasciare parte del bacino e le dighe sudanesi a valle fossero già sature, è probabile che le strutture sudanesi collassino, provocando vaste inondazioni e danni irreversibili ai mezzi di sussistenza.
Oltre a ciò, un approccio incentrato sulla sicurezza umana consentirebbe all’Egitto e al Sudan di riconoscere la legittimità delle esigenze etiopi per lo sviluppo socioeconomico nazionale e regionale, nonché per garantire un più ampio accesso all’elettricità alla popolazione, contribuendo al contempo a definire un possibile compromesso con gli altri stati rivieraschi che fanno anch’essi affidamento sulle acque del Nilo.
La necessità di maggiore inclusività e partecipazione della popolazione
Altro punto centrale alla disputa sulla GERD viene sottolineato dalla dichiarazione di Kampala della Nile for Peace Initiative, adottata e approvata nell’aprile 2021 da 14 Ong africane, secondo cui “i cittadini e la società civile dovrebbero essere al centro e sufficientemente informati sulle opportunità e le minacce della GERD, in modo da poter contribuire positivamente al dialogo e ai negoziati riguardanti il progetto”. Intraprendere un processo negoziale più inclusivo e partecipativo favorirebbe soluzioni durature di cooperazione e coordinamento tra gli Stati rivieraschi, oltre a contribuire all’evoluzione di strategie di mitigazione e adattamento per affrontare i cambiamenti climatici, agevolando anche lo sviluppo di forme di giustizia climatica e di condivisione degli oneri tra gli attori regionali e internazionali.
Sebbene un ruolo attivo delle Ong nella questione della GERD sia arduo da garantire, date le restrizioni imposte alle associazioni indipendenti in Egitto, Sudan ed Etiopia, l’Ua, l’Ue e gli Stati Uniti potrebbero essere fondamentali nell’incoraggiare forme più inclusive di “idrodiplomazia” incentrate su esigenze e rischi delle popolazioni. Un impegno più esteso di questi attori internazionali potrebbe vedere il loro contributo nella creazione e nel finanziamento di meccanismi di compensazione per sopperire a danni o a perdite economiche tra gli Stati rivieraschi. Ciò potrebbe tradursi in una misura di compensazione delle perdite etiopi quando, in tempi di grave siccità, si richiedono riduzioni coordinate della produzione idroelettrica della GERD, e nella fornitura di fondi per il rischio idrologico e schemi di assicurazione delle colture a sostegno delle comunità vulnerabili in caso di eventi idrologici estremi.
Traiettorie future
Malgrado lo stallo dei negoziati, Addis Abeba ha da poco annunciato che nelle prossime settimane procederà al terzo riempimento della diga. Mentre il continente africano è minacciato da gravi problemi di sicurezza alimentare, ulteriormente aggravati dal conflitto in Ucraina, la crisi del Nilo richiede un’urgente e concertata iniziativa diplomatica per evitare ulteriori escalations che possano destabilizzare il contesto regionale.
Progressi su questo fronte rappresentano una necessità per gli stati rivieraschi del Nilo e, più in generale, per l’Africa e il Medio Oriente, poiché potrebbero fungere da modello per affrontare altre questioni di interesse esistenziale legate all’ambiente e alle risorse transfrontaliere. Inoltre, in vista della prossima Conferenza sul clima (Cop27) che si terrà in Egitto, una pronta e duratura risoluzione della controversia sulla GERD rinnoverebbe uno spirito di compromesso, fondamentale per consentire agli Stati dell’area, e a livello internazionale, di prepararsi ad affrontare le minacce esistenziali derivanti dall’attuale emergenza climatica, che sta già colpendo pesantemente queste regioni.
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