Il 26 marzo a Cuba si terrà l’elezione dei membri che formano l’Assemblea Nazionale del Potere Popolare. Questo organismo fa parte del sistema politico unicamerale dell’isola e sarà composto per la prima volta da 474 membri con un mandato quinquennale. Il numero dei membri eletti dell’Assemblea è stato ridotto con l’approvazione di una nuova legge elettorale nel novembre del 2019. Le modifiche al sistema elettorale hanno seguito l’entrata in vigore della nuova costituzione, approvata con l’86% dei voti dopo un referendum popolare nel febbraio dello stesso anno.
Cosa significa “eleggere” a Cuba
Espressioni come “elezioni” e “membri eletti” assumono un significato particolare in un Paese come Cuba. Infatti, le nomine dei candidati all’Assemblea sono stabilite per il 50% dalla Commissione Nazionale delle Candidature, un’istituzione dipendente dal Partito Comunista Cubano (PCC), unico partito ammesso nell’isola, che raccoglie le nomine dalle principali organizzazioni sociali del Paese, anch’esse legate al PCC. La seconda metà dei candidati viene invece raggruppata secondo le indicazioni dei governatori municipali.
Per ogni seggio si presenta un solo candidato, il quale viene dichiarato eletto una volta superata la soglia di voti del 50% per il proprio posto. Qualora un/a candidato/a non dovesse raggiungere la soglia minima, il seggio rimarrà vuoto fino alla prossima elezione. Il voto è obbligatorio, come nella maggioranza dei Paesi dell’America Latina, anche se a Cuba la soglia dell’obbligatorietà si abbassa ai maggiori di sedici anni. Tutti coloro che hanno fatto domanda per l’emigrazione rimangono esclusi dalla possibilità di voto.
A causa della mancanza di elezioni libere e del monopartitismo, il regime dell’attuale presidente Miguel Díaz-Canel viene definito ancora oggi come non democratico. Secondo i think-tank più riconosciuti che valutano il tasso di democraticità dei Paesi, come il The Economist Democracy Index, Freedom House e Varieties of Democracy (V-Dem), Cuba rimane tra i Paesi con i peggiori indicatori democratici della regione assieme a Nicaragua, Venezuela e Haiti. Da V-Dem, progetto dell’università di Gotemburgo che raccoglie centinaia di indicatori politici e sociali, l’isola caraibica viene descritta come “un’autocrazia chiusa”, la peggior categoria possibile.
Dalle elezioni municipali alla riconferma di Díaz-Canel
Le elezioni dell’Assemblea di marzo 2023 fanno parte di un più ampio ciclo elettorale iniziato lo scorso novembre con le elezioni municipali e che terminerà con la designazione del presidente da parte dell’Assemblea verso fine anno. La conferma di Miguel Díaz-Canel per un secondo mandato sembra certa grazie alla possibilità di rielezione stabilita dalla costituzione del 2018. Le ultime elezioni municipali del novembre 2022 hanno portato all’elezione di più di 11mila rappresentanti municipali, i quali si occupano di raccogliere lamentele e svolgere funzioni di vigilanza nelle diverse comunità. Grazie a questo sistema capillare, che si dirama in ogni quartiere, il PCC riesce a esercitare un controllo totale su ciò che accade nell’isola.
Tuttavia, le ultime elezioni municipali hanno evidenziato quella che potrebbe diventare una problematica non indifferente per il regime di Díaz-Canel, ancor più dell’opposizione: l’astensionismo. A novembre, solo il 68,58% degli aventi diritto si è presentato alle urne, in un paese dove il voto è obbligatorio e che ha storicamente goduto di tassi di partecipazione altissimi, superiori al 90%.
Si tratta del dato più basso dal 1976, anno in cui è stato introdotto l’attuale sistema elettorale. Ciò si aggiunge a un complesso contesto economico e migratorio che ha spinto la popolazione a un “voto di castigo”, come ha riconosciuto lo stesso presidente. Anche l’opposizione cubana, dichiarata illegale nel Paese, ha sollecitato la popolazione all’astensionismo facendo leva sulle attuali crisi dell’isola.
Crisi economica, migratoria ed energetica
L’esodo migratorio cubano ha raggiunto livelli storici. Lo scorso anno, circa 250mila persone hanno lasciato l’isola, la maggior parte diretta verso gli Stati Uniti. Si tratta di una cifra che supera l’Esodo di Mariel e la ‘Crisis de los Balseros’ messi insieme, due episodi storici che hanno segnato la storia migratoria tra Cuba e gli Stati Uniti. L’ondata migratoria ha facilitato la riapertura dei servizi consolari di Washington a L’Avana, ripresi all’inizio di quest’anno. Questo passo fa parte di una più ampia, anche se ancora molto limitata, politica di re-engagement dell’amministrazione Biden con Cuba.
Tra le principali cause della migrazione c’è sicuramente la situazione economica dell’isola che affronta una delle sue peggiori crisi dal periodo post-caduta dell’URSS negli anni Novanta. Le inchieste di The Guardian e The Conversation illustrano le conseguenze drammatiche dell’inflazione galoppante, della mancanza di provviste, medicine e benzina.
Allo stesso tempo, il deterioramento del sistema energetico dell’isola causa continui blackout anche negli orari di punta. Il governo cubano ha annunciato che si prevede una media di tre ore di interruzione di corrente al giorno fino a maggio. La crisi energetica continua dal 2022: buona parte del Paese è stata colpita da blackout che hanno raggiunto le dodici ore giornaliere.
Il ruolo delle donne e degli afrodiscendenti
Nonostante la natura non democratica di Cuba e l’attuale contesto complicato, le elezioni dell’Assemblea Nazionale evidenziano da tempo un dato interessante. Secondo il World Economic Forum, la media delle donne nei congressi nazionali si attesta solo al 26%. A Cuba, invece, più della metà dei componenti dell’Assemblea Nazionale sono donne, il 53%, rendendolo uno dei congressi più paritari del mondo. Cuba, assieme alla Bolivia e al Cile (nella sua Assemblea Costituente), rappresenta quindi un esempio di inclusività per il resto dei governi latinoamericani, la cui media regionale si attesta attorno al 34%.
L’inclusività dell’Assemblea non si limita alla questione di genere. Infatti, si allarga anche alla questione etnica, considerando che più del 40% dei membri è afrodiscendente o di etnia mista (termine che include i ‘mulatos’, in parte europei e in parte afrodiscendenti). Il problema del razzismo nell’isola rimane comunque ben lontano dall’essere risolto, come sottolineano alcuni accademici cubani. Da evidenziare è anche la questione generazionale: più del 90% dei rappresentanti infatti è nato dopo la rivoluzione del 1959.
La composizione eterogenea dell’Assemblea cubana è da elogiare, specialmente se comparata con altri parlamenti o congressi nazionali nel resto del mondo. Tuttavia, inclusività non è automaticamente sinonimo di democrazia. I membri dell’Assemblea che saranno eletti il 26 marzo si limiteranno a seguire le indicazioni del partito e a rappresentare, ma anche controllare, le comunità a cui saranno assegnati.
Cuba affronta un momento difficile di crisi economica e migratoria che mette a dura prova la tenuta del regime. Come avvenuto lo scorso anno, il governo potrebbe nuovamente usare la repressione delle dissidenze e delle proteste per mantenere saldo il proprio controllo sull’isola.
Articolo a cura di Andrea Colombo, caporedattore della redazione Centro e Sud America de Lo Spiegone
Foto di copertina EPA/YANDER ZAMORA