Vaccini, migrazioni, transizione energetica: sono questi alcuni dei temi attorno ai quali hanno faticato di più gli estensori della dichiarazione finale del summit Ue-Ua tenutosi il 17 e 18 febbraio a Bruxelles, a cinque anni dal precedente. Celebrato in ritardo a causa della pandemia, con l’obiettivo di consolidare le relazioni tra i due universi complessi di Europa e Africa, è stato segnato da una sorta di esortazione degli europei verso gli africani: trust us, credete ancora in noi. A denunciare il timore che la fiducia verso gli europei si logori, mentre avanza con imponenza sul terreno africano la presenza di concorrenti come Cina e Russia.
La questione aperta dell’accesso ai vaccini
Se l’Ue preferiva annunciare una “nuova alleanza” con l’Africa, l’Ua invece – consapevole del poco tempo trascorso dall’ultima proclamazione di un’ “alleanza alla pari” – puntava sull’espressione di “partnership rinnovata” tra Africa ed Europa. E su questo hanno vinto gli africani: la loro preferenza è entrata nella dichiarazione congiunta definitiva, al fine di “cogliere e affrontare sia opportunità e sfide immediate che possibilità di lungo periodo”.
Tra queste in prima istanza i vaccini. Nelle bozze preparatorie la UE spingeva per tutelare i diritti della proprietà intellettuale dei vaccini, mentre la UA chiedeva di mettere davanti agli interessi della case produttrici la tutela della vita delle persone. Si è cercato un compromesso tra posizioni diverse: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha difeso la “necessità di proteggere la proprietà intellettuale dei vaccini”, ma ha anche sostenuto l’importanza di discutere – e lo si farà in primavera – delle licenze obbligatorie, in modo da favorire la produzione dei vaccini nei Paesi che non ne hanno la capacità.
“La produzione di vaccini non è soggetta al tema della proprietà intellettuale, ma al trasferimento di tecnologia” sosteneva il presidente francese Emmanuel Macron. Si è approdati a una terza via: nella versione finale del documento conclusivo del summit non si parla né di licenze obbligatorie né di brevetti, ma di sostegno a “una piena sovranità sanitaria dell’Africa” e di un’”agenda comune per produrre vaccini, farmaci, strumenti di diagnostica, terapia e prodotti sanitaria in Africa”. L’Ue si è impegnata a fornire almeno 450 milioni di dosi per l’Africa entro metà 2022, ricordando che con gli Stati membri ha già assegnato 3 miliardi di dollari a Covax e 450 milioni di euro per accelerare le vaccinazioni in Africa.
Migrazioni e clima
Sulle migrazioni invece la distanza si misurava tra l’Ue che intendeva spingere sulla prevenzione della migrazione irregolare, mentre l’Ua puntava soprattutto sull’ampliamento dei percorsi legali. Hanno vinto gli europei: nel testo finale si evidenziano come obiettivi la prevenzione della migrazione irregolare, il miglioramento della cooperazione contro il traffico di esseri umani, il sostegno al rafforzamento della gestione delle frontiere, e il miglioramento sul fronte dei rimpatri, riammissione e reintegrazioni. Mentre sul fronte della migrazione legale si legge che saranno affrontate le cause della migrazione irregolare e che “nel rispetto dei bisogni e dei sistemi legislativi nazionali, saranno sviluppati dei percorsi per opportunità di migrazione legale tra i due continenti e all’interno dell’Africa”.
Altra materia di discussioni notturne è stata l’energia connessa alla protezione del clima: gli europei insistevano per il passaggio dell’Africa alle rinnovabili e l’abbandono delle fonti fossili, mentre gli africani chiedevano di non far pagare loro le responsabilità dell’inquinamento provocato dai Paesi sviluppati, e quindi di non imporre loro strozzature energetiche che possono bloccarli ora che finalmente stanno crescendo. Ebbene nella dichiarazione finale si promette il sostegno “all’Africa nella sua transizione per favorire percorsi equi e sostenibili verso la neutralità climatica”. Al netto dei dibattiti e delle tensioni, i passi sono stati compiuti e i fondi stanziati: l’UE ha confermato un piano di investimenti per l’Africa di 150 miliardi di euro entro il 2030 destinati anche alla trasformazione digitale, alle grandi infrastrutture, al sostegno delle piccole e medie imprese, alla formazione e all’istruzione.
Coinvolgere le società civili
Ora resta un compito fondamentale, per l’azione: coinvolgere le società civili dei Paesi investiti da questi impegni. Finché i vertici – ed è accaduto di nuovo a Bruxelles – non si paragonano e non si mettono all’ascolto della società civile, rischiano di viaggiare a un livello separato dalla realtà dell’ultimo miglio, quella che si conosce sul terreno. Questo spazio decisivo è percorso quotidianamente da chi opera nelle organizzazioni della società civile che, per il loro profilo specifico, sono in grado di conoscere i bisogni reali delle persone più vulnerabili, delle loro comunità, insieme anche alle risorse che sono in grado di offrire.
Questa conoscenza si traduce nel saper investire quei fondi messi a disposizione dai grandi donatori e rendicontarli con trasparenza; nell’essere in grado di misurare se avviene un cambiamento in meglio nella vita delle persone, di valutare in generale l’impatto di un’azione nel tempo, anche a distanza di anni; nell’evitare l’approccio top down fallimentare dei programmi di sviluppo; nel coinvolgere dal basso come protagonisti del loro sviluppo i beneficiari stessi dei progetti, mettendo in rete istituzioni private e statali, e tutti i soggetti diversi che solo insieme possono favorire uno sviluppo sostenibile, equo e duraturo.
Foto di copertina EPA/JOHN THYS / POOL