Negli ultimi mesi del 2021 la crisi ucraina ha visto nuovi sviluppi militari, con una mobilitazione russa tutt’ora in corso e senza precedenti e che dovrebbe vedere il suo culmine nella seconda metà di febbraio 2022. Nonostante sussistano dubbi sulle reali intenzioni di Mosca, la crisi in corso è sicuramente la più pericolosa per la sicurezza europea dal 1989 ad oggi, al punto che i timori di un’invasione parziale dell’Ucraina da parte di Mosca o comunque dell’esplosione di un conflitto sono divenuti reali e sono considerati come opzioni realistiche in tutta Europa.
Conflitto di potenza e risorse economiche
La crisi russo – ucraina è un conflitto geopolitico di lungo termine che si trascina dalla dissoluzione dell’Unione sovietica ed ha come principale dimensione la definizione delle sfere di influenza economiche tra Europa e Russia e di quelle di potenza tra Usa e Russia nella regione euroasiatica. La complessità strategica del conflitto è dovuta proprio all’intreccio di interessi di natura diversa tra Europa, Russia, Ucraina e Usa e sul differente peso che la dimensione della sicurezza economica e quella della sicurezza militare hanno per ciascuno di questi attori. Situazione che è divenuta ancora più complessa dopo la Brexit, con Londra che si è messa alla guida dei Paesi europei più favorevoli ad un’ulteriore compressione della sfera geopolitica russa.
Nonostante la guerra del 2014 abbia comportato un cambio di classe del confitto inserendo la dimensione dello scontro militare diretto, lo scontro economico-energetico resta una delle dimensioni chiave del conflitto ed offre buona parte della grammatica del confronto. La guerra economica attorno all’Ucraina si è combattuta ben prima del 2014 ed è probabilmente stata una delle cause precipitanti degli eventi del 2013-2014. Essa ha come obiettivo l’orientamento del commercio internazionale del Paese, la provenienza dei flussi di investimenti diretti esteri, il futuro dei debiti dello Stato, la sua rendita di posizione nel controllo dei transiti di gas verso l’Europa.
Un confilitto a più dimensioni
Anche dopo che il conflitto militare è esploso, il carattere di conflitto ibrido rimane piuttosto evidente negli obiettivi e anche nei mezzi con cui esso è combattuto: embarghi reciproci, distruzione degli assetti industriali, ricatti energetici, conflitti finanziari e sanzioni bilaterali ed internazionali.
Se il conflitto militare si era progressivamente stabilizzato lungo la linea di cessate il fuoco del 2015 la dimensione di guerra economica tra Russia ed Ucraina e tra i Paesi che sostengono Kiev contro Mosca è invece proseguita a pieno ritmo in tutti questi anni. Ucraina e Russia, in particolare, si sono avvitate in una radicale guerra economica senza esclusione di colpi mentre Europa e Stati Uniti hanno deciso di impiegare le sanzioni economiche come strumento di ritorsione contro le azioni sul campo di Mosca.
Le sanzioni dopo l’affaire Crimea
Alla dimensione di guerra economica bilaterale si è poi aggiunta la questione delle sanzioni adottate contro la Russia da Usa e Europa per condannare l’annessione russa della Crimea e come strumento di pressione su Mosca per condizionarne la volontà e la strategia. Queste sanzioni hanno avuto un effetto sull’economia russa non trascurabile ma non decisivo. Gli economisti sono divisi sul valutare l’impatto delle sanzioni sull’economia russa, anche perché si sovrappongono alle oscillazioni del prezzo del greggio e del gas. L’effetto economico potrebbe essere stato marginale ma, in assenza della volontà di un confronto militare con la Russia, le sanzioni hanno probabilmente avuto l’effetto di limitare l’ampiezza del conflitto al Donbass e l’entità del coinvolgimento russo.
Appare sostanzialmente che le sanzioni del 2014 sono state concepite nella loro funzione retributiva e come base di deterrenza per sconsigliare avventure militari più ampie e non come strumento per modificare i rapporti sul terreno. Di fatto, esse hanno accompagnato l’accettazione dello status quo, ponendo un piccolo/medio costo su Mosca ma minacciando una potenziale escalation se il conflitto non fosse stato congelato. Attorno al binomio Crimea / Donbass vs sanzioni occidentali si è così costruito un instabile equilibrio che non poteva mantenersi a lungo in presenza di un deterioramento dei rapporti politici tra le parti.
La nuova strategia delle sanzioni
Mosca ha tuttavia preso molto seriamente le sanzioni economiche e finanziarie, perché esse hanno messo il dito su alcune vulnerabilità del suo sistema economico-finanziario e nei rapporti con l’Occidente. Integrazioni che la Russia ha in questi anni operato per ridurre, avviando una strategia di progressivo isolamento della sua economia per aumentare la resistenza del proprio sistema finanziario ed industriale da future sanzioni. L’efficacia delle sanzioni del 2014 è così progressivamente andata a decrescere, anche per le divisioni nel campo occidentale sul loro mantenimento. L’attuale crisi ha riportato però le sanzioni al centro del dibattito della strategia di confronto con Mosca ma in assenza di una strategia comune, di cui le sanzioni debbono essere uno strumento, esse rimangono sostanzialmente uno strumento divisivo ed incompreso e a rischio di inefficacia.
Occorre aver ben chiaro che l’efficacia delle sanzioni non è un fatto tecnico ma politico ed è in ultima analisi legato alla volontà di pagare un prezzo economico per avere in cambio un vantaggio in termini di sicurezza. Le sanzioni efficaci sono un atto di coercizione economica come alternativa ad un conflitto militare. La loro efficacia è connessa al fatto che esse devono essere accompagnate da una sincera volontà di un negoziato politico, ma anche inserite in una strategia complessiva che non esclude l’ipotesi di un conflitto militare. Sono l’alternativa liberale alla guerra ma devono essere utilizzate con una logica a metà tra quella diplomatica e quella militare. L’uso delle restrizioni economiche in un conflitto deve infatti essere concepito come l’anello mancante tra l’insufficienza della diplomazia e l’eccessività del conflitto militare.
Foto di copertina ANSA/SERGEY DOLZHENKO