26 Dicembre 2024

Sanzioni contro la Russia: Bruxelles, abbiamo un problema

Nella politica europea sulle sanzioni, c’è un paradosso. Un paradosso che abbiamo potuto tralasciare fino ad oggi, ma con il quale dovremo fare i conti. Lo illustra chiaramente un sondaggio, pubblicato la settimana scorsa, sulle opinioni dei cittadini europei sulla guerra in Ucraina.

Secondo la Flash Survey di Eurobarometro, l’85% degli europei si dichiara d’accordo con l’affermazione “l’Ue dovrebbe ridurre la propria dipendenza da gas e petrolio russi il prima possibile”. Allo stesso tempo, l’86% concorda con l’asserzione secondo cui “i crescenti prezzi dell’energia hanno un impatto significativo sul mio potere d’acquisto”.

Tradotto: Bruxelles, abbiamo un problema. Perché l’effetto della guerra e delle sanzioni comincia a farsi sentire in Europa. E anche se il sostegno alle sanzioni da parte dei cittadini europei sembra essere ancora molto elevato, potrebbe bastare poco perché cominci a diminuire; per diversi motivi.

Le sanzioni e l’opinione pubblica: tre fattori per capire

C’è innanzitutto il fattore temporale. L’invasione è avvenuta oltre due mesi fa e, con il trascorrere dei giorni, il bombardamento quotidiano di notizie sulla guerra rischia progressivamente di sfumare in rumore di fondo. Accade sempre così, con tutti gli shock che subiscono gli esseri umani (guerre incluse): ci si abitua, ci si adatta, si va avanti. È difficile continuare a prestare la stessa attenzione di prima, soprattutto quando si tratta di eventi stressanti.

Paradossalmente, ci troviamo in questa situazione di guerra protratta (o, quantomeno, più lunga del previsto) proprio a causa dell’inatteso successo della resistenza ucraina. Il ritiro delle truppe russe dai dintorni di Kyiv e il loro riposizionamento nell’est del Paese fanno apparire la situazione meno tragica di quanto effettivamente sia, e in qualche modo più distante. Un conflitto che sembra andare verso lo stallo, che sembra allontanarsi anziché avvicinarsi, non è adatto a convincere i governi europei che si debba “fare presto”.

Il secondo fattore riguarda lo stato dell’economia europea. La guerra e le sanzioni, assieme al duro lockdown in Cina e alle politiche monetarie sempre più restrittive per frenare l’inflazione galoppante, stanno causando una frenata dell’economia mondiale. Frenata molto accentuata soprattutto in Europa: nel primo trimestre 2022 l’Eurozona ha fatto segnare un misero +0,2% rispetto al trimestre precedente (“misero” considerando che ci troviamo ancora in piena ripresa post-pandemia), e l’Italia addirittura un -0,2%. Con gli effetti economici della guerra che diventano man mano tangibili e i consumatori europei già sotto pressione da mesi anche a causa degli alti prezzi dell’energia è sempre più difficile difendere la ratio economica – pur sempre esistente – delle sanzioni.

Il terzo fattore riguarda la forza delle sanzioni. Arrivati al sesto round, le sanzioni iniziano a fare sensibilmente più male anche a chi le impone. L’Europa ha già colpito i bersagli facili, adesso restano quelli molto complicati. Come le sanzioni sul settore energetico, in discussione proprio in queste ore.

Mentre sembra infatti più vicino l’accordo sul pacchetto che includerà l’embargo alle importazioni di petrolio greggio e prodotti petroliferi russi, è sufficiente qualche calcolo per capire che per massimizzarne l’impatto su Mosca ma minimizzare quello sugli europei occorrerebbe un attento disegno delle sanzioni e una gradualità che sul piano pratico sono di difficile realizzazione. La politica deve dare un messaggio, tornare a ribadire la volontà di punire il Cremlino per le sue azioni e per farlo non può dare l’impressione di volere attendere, anche quando potrebbe essere preferibile farlo. E sempre la politica, per chiarezza del messaggio e per la natura “a step” dei negoziati in Europa, preferisce un interruttore on/off a una gradualità che implica un costante monitoraggio e un periodico tornare sulle proprie decisioni.

L’embargo sul petrolio russo, che rappresenta il 27% delle importazioni totali europee, dovrebbe essere approvato nel corso dei prossimi giorni o settimane e potrebbe determinare aumenti di prezzo non ancora scontati dai mercati. In particolare, la previsione di sei mesi per il raggiungimento dell’indipendenza dal greggio russo e di un anno per i prodotti raffinati potrebbe ridurre le quantità esportate verso l’Europa ma determinare un aumento dei prezzi soprattutto in questo periodo transitorio, con la conseguenza che la Russia potrebbe addirittura arrivare a guadagnarci (o non perderci tanto quanto oggi, con le auto-sanzioni) mentre l’Europa potrebbe perderci anche molto (sia in termini di prezzo che di volumi).

Sanzioni, inflazione, economia

Affinché le sanzioni siano efficaci, dovrebbero colpire in modo netto la controparte, riducendo al minimo gli effetti “collaterali” per chi le impone. Se questo non avvenisse, o se avvenisse il contrario, le sanzioni perderebbero la loro giustificazione primaria. Se, inoltre, i costi per gli europei dovessero aumentare troppo, diventando insostenibili per la società civile e per il tessuto produttivo, non potrebbe che crescere il dissenso nei confronti di tali misure, Si attiverebbe un circolo vizioso le cui conseguenze sono spesso difficili da controllare soprattutto in un contesto come quello attuale in cui la corsa dell’inflazione e i pacchetti di sostegno alle economie stanziati già a partire dalla crisi pandemica riducono gli ulteriori spazi di manovra fiscale a sostegno di famiglie e imprese da parte dei governi.

Questa prospettiva sarebbe pericolosa: rischierebbe di approfondire spaccature evidenti già oggi nel dibattito pubblico europeo, malgrado i governi abbiano invece dimostrato un’inattesa capacità di mantenere una linea politica comune di fronte all’aggressione russa in Ucraina. Non è inevitabile che ciò accada. Ma i governi europei dovrebbero riconoscere la necessità di affidarsi, nel disegno delle sanzioni sul petrolio russo, a “tecnici”. Ma, si sa, in tempi di guerra, emozioni e propaganda spesso prevalgono sul principio di realtà.

Foto di copertina EPA/RONALD WITTEK

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