La guerra in Ucraina prosegue e le sue rappresentazioni alternano momenti di speranza per la resistenza ucraina a quelli più cupi per l’avanzata incessante dei russi. È quella che Clausewitz chiama “la nebbia della guerra”, ovvero l’incertezza in cui ancora non può delinearsi se la difesa – anche prolungata nel tempo, che costerà comunque sacrifici – avrà la capacità strutturale di sopraffare l’offesa, per annientarne la libertà d’azione. E non va dimenticata la minaccia della “deterrenza” nucleare lanciata da Putin. Altri scenari, come quello di un collasso istituzionale della Russia o della destituzione di Putin – pure plausibili – non rispondono al momento ad un principio di realtà, né garantiscono che un ribaltamento della leadership porti ad una definitiva cessazione della guerra.
Il realismo della diplomazia possibile
In questo contesto strategico, nonostante la diversa vulgata corrente, la diplomazia e il richiamo al diritto internazionale rispondono meglio al quadro teorico del “realismo” che regge il sistema delle relazioni internazionali (ex multis, Kenneth Waltz, Theory of International Politics, 1979). Un riscontro più diretto e immediato viene dalla cronaca di queste ultime ore. I negoziati tra le parti in guerra, pur tra tante difficoltà, procedono almeno nel tentativo di assicurare alcuni corridoi umanitari.
Si parla anche di un orientamento dell’Ucraina verso una riforma costituzionale che preveda la “neutralità”, e quindi la non adesione alla Nato, e forse anche a concedere un riconoscimento delle Repubbliche autonome del Donbass; se la Russia rinunciasse ad altre pretese territoriali e al proposito di insediare un nuovo governo filorusso, si potrebbe anche pensare ad una intesa più concreta.
È stato poi promosso dalla Turchia il Forum di Antalya, la prima iniziativa di mediazione ad alto livello, cui sono intervenuti il Ministro degli esteri russo Lavrov e quello ucraino Kuleba. L’incontro non ha segnato passi avanti, come era prevedibile trattandosi del primo incontro. Ma ad oggi vi sono altri elementi di novità che potrebbero assumere un rilievo specifico, che non va assolutamente sottovalutato.
Dopo alcune dichiarazioni rese dallo stesso Presidente cinese Xi Jinping e dal Ministro degli Affari Esteri Wang Yi, gli analisti hanno individuato una possibile apertura alla mediazione della Cina. La grande potenza sarebbe ora spinta a tutelare i flussi di import-export, i vari rapporti di cooperazione economica e le risorse investite – anche in Ucraina – in particolare nella belt and road initiative. E si intravede anche il disegno ideologico della “prosperità condivisa” del Grande Timoniere Xi Jinping, che mira pure ad assumere un nuovo ruolo strategico, ancora più incisivo nel contesto globale.
In verità anche la mediazione avviata dalla Turchia sarebbe dettata dagli stabili rapporti di cooperazione economica avviati sia con la Russia sia con l’Ucraina, ma c’è anche da considerare la postura strategica cui da sempre Erdogan tende ad assumere nello scenario internazionale, specie in quel quadrante regionale. Altre importanti iniziative di mediazione del conflitto sono state intraprese pure da Israele, che ha un forte legame con l’ebraismo russo, non ha aderito al sistema delle sanzioni, e con la Russia gestisce molti ambiti di cooperazione economica, e anche strategica sui dossier palestinesi, iraniani e siriani.
Vi sono dunque diversi attori, evidentemente ciascuno con un rilevante peso nel quadro delle relazioni internazionali, che ritengono percorribile e propongono convinti una mediazione, considerandola un’alternativa concreta per impedire l’aggravarsi del conflitto, e delle sue conseguenze sul piano globale. Questa realtà va dunque assolutamente valorizzata, e per questo dovrebbero ora assumere un ruolo più incisivo l’Organizzazione delle Nazioni Unite e l’Unione Europea.
Il ruolo delle Nazioni Unite e della comunità internazionale
Il Segretario Generale dell’ONU, ma anche un gruppo dei suoi principali Stati membri, specie quelli dell’Unione Europea che hanno un dovere di solidarietà nei confronti della resistenza dell’Ucraina, dovrebbero ripartire dalla recente approvazione avvenuta in una “sessione di emergenza” dell’Assemblea Generale della Risoluzione ONU A/ES-11/L.1, Aggressione contro l’Ucraina, che ha condannato l’intervento russo in Ucraina e chiesto l’immediata cessazione delle ostilità.
Come hanno osservato Andrea de Guttry e Fabrizio Pagani (Le Nazioni Unite. Sviluppo e riforma del sistema di sicurezza collettiva, 2020), la prima convocazione in “sessione d’urgenza” dell’Assemblea Generale risale al 1950 durante la crisi coreana, ed è stato il primo strumento attuato proprio per superare l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza. In quella circostanza, l’Assemblea Generale adottò la Risoluzione A/Res/377/5 dal titolo emblematico Uniting for peace, che addirittura consentiva anche il potere di disporre un’azione armata.
La proposta: una diplomazia assertiva
In definitiva, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, ovvero le diplomazie dei Paesi dell’Onu che intendono sostenere concretamente l’Ucraina e fermare l’aggressione russa, possono adottare una vera e propria nuova Risoluzione Uniting for peace, anche perché è la stessa Risoluzione A/ES-11/L.1 che al paragrafo 16 prevede un aggiornamento della situazione in Ucraina. L’Assemblea Generale dovrebbe essere quindi più incisiva nell’adottare almeno le misure previste dal Capo VI della Carta sulla risoluzione pacifica delle controversie (es. nomina di un “rappresentante speciale” per la mediazione, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali, deferimento alla Corte internazionale di giustizia, inchieste, etc.).
È in questo contesto che vanno perciò intensificate e sollecitate le iniziative di mediazione, a cominciare da quelle proposte di Cina, Israele, e Turchia. Ma è bene che questi attori non rimangano soli e che la mediazione confluisca piuttosto in un formato allargato ad un “nucleo forte” di negoziatori, tra cui potrebbero figurare India, Giappone, Arabia Saudita, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Unione Europea. Si avrebbe così un giusto bilanciamento degli equilibri strategici, e una rappresentanza autorevole della comunità degli Stati: di fronte ad essa, per Putin sarebbe difficile sottrarsi al confronto e sostenere le sue pretese con la guerra.
Foto di copertina EPA/CEM OZDEL