Pubblichiamo dei passaggi della rassegna stampa settimanale sull’Africa, curata da Jean-Léonard Touadi per RadioRadicale. È possibile ascoltare il podcast dal sito dell’emittente. Clicca qui per ascoltare.
La violenta fine della transizione di potere nel Ciad
La morte di Idriss Déby, che ha guidato il Ciad per alcuni decenni, ha gettato il paese nel caos politico. Il Ciad, che si trova in una fase di transizione guidata dal figlio di Déby, ha organizzato diverse giornate di riconciliazione nazionale a cui hanno partecipato gli esponenti dei partiti di opposizione. A questa transizione di potere ha posto fine una manifestazione, che ha visto la morte di una cinquantina di persone il 20 ottobre scorso. Lo si apprende dal quotidiano belga La Libre Afrique che titola: “Ciad: circa 50 persone uccise in proteste mortali”.
Nell’articolo la redazione di La Libre Afrique racconta i tragici sviluppi nel paese al centro dell’Africa: “decine di morti, sospensione delle attività dei principali partiti politici di opposizione e coprifuoco: le manifestazioni di giovedì in Ciad contro il prolungamento del periodo di transizione e la permanenza al potere di Mahamat Idriss Déby Itno hanno portato a un’esplosione di violenza per diverse ore. Diverse manifestazioni hanno avuto luogo in varie città, tra cui la capitale N’Djamena e Moundou, la seconda città del paese. Secondo il primo ministro Saleh Kebzabo, le manifestazioni hanno causato “una cinquantina” di morti e “più di 300” feriti”.
“Dall’inizio della settimana sono stati lanciati diversi appelli a manifestare, anche dalla piattaforma di opposizione Wakit Tamma e dal partito Les Transformateurs, guidato da Succès Masra, uno dei principali oppositori politici di Déby” continua l’articolo.
L’AFP ha raccolto diverse dichiarazioni da esponenti del governo, come quella del portavoce di governo Aziz Mahamat Saleh che ha raccontato come a N’Djamena: “nonostante il divieto di manifestare imposto dalle autorità mercoledì, i manifestanti hanno attaccato edifici pubblici, il governatorato, la sede del partito del primo ministro, quella del presidente dell’Assemblea nazionale”.
La Libre Afrique ha fornito, inoltre, un resoconto dettagliato delle condanne internazionali che sono piovute sull’amministrazione del Ciad: “le Nazioni Unite hanno deplorato l’uso della forza letale contro i manifestanti, aggiungendo che le autorità di transizione devono garantire la sicurezza e la protezione dei diritti umani”.
“Le violazioni segnalate devono essere indagate”, ha dichiarato in un tweet l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.
Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana (UA), ha “condannato con forza” su Twitter la repressione delle manifestazioni, invitando “le parti a rispettare le vite umane e le proprietà” e a “dare priorità ai mezzi pacifici per superare la crisi”.
Africa24, in un articolo sulle manifestazioni in Ciad, fornisce ulteriori dettagli importanti: “Queste manifestazioni, considerate come un’insurrezione armata e un colpo di Stato, sono state violentemente represse dalle forze dell’ordine. Le autorità ritengono che i manifestanti siano milizie addestrate e armate per destabilizzare le istituzioni della Repubblica. Alcuni cittadini, manipolati da uomini assetati di potere, hanno fomentato un colpo di Stato attraverso l’insurrezione armata” ha raccontato Saleh Kebzabo, primo ministro della transizione.
Proprio sul primo ministro Kebzabo, Jeune Afrique racconta come la sua nomina non avesse convinto, nonostante si trattasse di un esponente dell’opposizione. La maggior parte degli oppositori, infatti, non riconoscono la legittimità di questo governo di transizione.
Proseguono i tentativi di pacificazione in Etiopia
L’Unione Africana aveva programmato per il 24 ottobre dei nuovi colloqui di pace per la guerra nel Tigray. Il resoconto dei passi verso la pacificazione in Etiopia viene fornito da Fides, l’organo di informazione delle Pontificie opere Missionarie: “la notizia è stata riportata anche da Redwan Hussein, Consigliere per la sicurezza nazionale del Primo Ministro Abiy, confermando la volontà a partecipare ai colloqui fissati dall’Unione Africana che si terranno in Sud Africa. I colloqui erano stati precedentemente previsti per lo scorso 8 ottobre, ma rinviati per problemi logistici e tecnici. Come per la precedente convocazione, l’Eritrea è stata esclusa”.
Fides riporta l’avanzata delle truppe eritree, dell’esercito federale etiope e degli Amara in Tigray: “sembra che 500.000 persone siano fuggite dalle città del nord, vagando in condizioni disperate senza cibo, acqua, in cammino verso sud. Difficile fare una stima dei morti dall’inizio di questa guerra, si ipotizzano centinaia di migliaia tra la popolazione civile”.
Dei colloqui di pace in Etiopia parla anche Africa News, in un articolo che titola: “Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha dichiarato che la guerra nella regione settentrionale del Tigray ‘finirà e la pace prevarrà‘”.
Africa News ricorda che “il governo etiope ha accettato l’invito dell’Unione Africana a partecipare ai colloqui di pace che si terranno il 24 ottobre in Sud Africa per porre fine alla guerra che ha ucciso un numero imprecisato di persone e sfollato milioni di persone. L’invito è arrivato nello stesso giorno in cui i ribelli tigrini hanno accusato le forze etiopi ed eritree di aver ucciso sette giovani in una città che è stata conquistata dall’esercito federale martedì.”
Una fonte umanitaria, che ha richiesto l’anonimato ad Africa News, ha dichiarato che “venerdì si sono svolti intensi combattimenti a Selekelka, a metà strada tra Shire e Aksum”.
L’inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa, Mike Hammer, è stato ad Addis Abeba per diversi giorni “per sostenere gli sforzi dell’Unione Africana per avviare i colloqui che Washington vuole vedere iniziare il prima possibile“.
Al Jazeera ha dedicato un importante approfondimento alle conquiste che l’esercito etiope ha riportato in diverse città del Tigray, ormai devastato dalla guerra. Lo stesso ISPI, in un articolo di Giovanni Carbone, ha raccontato la crisi che sta sconvolgendo da ormai un anno e mezzo l’Etiopia: “l’Etiopia è un paese in cui da oltre un anno e mezzo è in corso una dura guerra civile, una gravissima crisi interna che non solo si combina con la peggiore siccità registrata da quarant’anni a questa parte, ma si inserisce nel mezzo della sequenza di shock esterni generati prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina”.
“Il Paese merita di essere seguito nell’evoluzione economica della congiuntura attuale per due ragioni. La prima è che il colosso del Corno d’Africa – 115 milioni di abitanti, quarta economia subsahariana con 93 miliardi di dollari di Pil nel 2021 – è un paese che si impone e risalta nel panorama africano, tanto quando è osservato da fuori quanto guardandolo dall’interno del continente. Sul piano politico e simbolico, è uno degli Stati leader dell’Africa, scelto come sede dell’Unione Africana anche in riconoscimento della sua storia, quasi unica, di Paese africano preesistente all’esperienza coloniale”.
Continua la propaganda russa in Africa
Alcuni brevi aggiornamenti dal sito di informazione di Nigrizia raccontano il perseverare della propaganda russa in Africa. È stato infatti assegnato il premio Caruana Galizia a un’inchiesta sulla propaganda russa in Centrafrica: “un documentario e un reportage raccontano da dietro le quinte il funzionamento della macchina del consenso del Cremlino per consolidare la sua presa sul potere in Repubblica Centrafricana. Nigrizia ha incontrato a Strasburgo Carol Valade, premiato assieme a Clément Di Roma”.
“L’influenza della propaganda russa ad opera del gruppo Wagner e di uomini vicini al Cremlino in Repubblica Centrafricana è al centro dell’inchiesta giornalistica a cui il parlamento europeo ha assegnato, il 19 ottobre, la prima edizione del premio intitolato a Daphne Caruana Galizia. L’inchiesta, frutto di un lavoro sul campo durato oltre un anno, è stata realizzata da due giornalisti francesi – Carol Valade e Clément Di Roma – e ha portato alla realizzazione del documentario Centrafrique: le soft power russe, trasmesso dalla Tv franco-tedesca Arte e a un reportage per il quotidiano Le Monde”.
Un’altra notizia, trasmessa da Le Monde, testimonia la forte presenza russa in Africa, in particolare nel Madagascar, dove il ministro degli affari esteri è stato rimosso dalle sue funzioni dal Presidente della Repubblica in quanto aveva votato, all’Assemblea generale dell’Onu, a favore della risoluzione che condannava le annessioni illegali della Russia in Ucraina. Le Monde illumina sull’impatto sempre più forte della Russia e della diplomazia russa anche in Madagascar.
Stato di emergenza in Sudan
Sempre Le Monde racconta in un articolo lo stato di emergenza dichiarato dallo stato sudanese del Nilo Blu dopo la morte di 150 persone a causa di scontri. Trenta giorni di emergenza: è quanto ha decretato venerdì 21 ottobre Ahmed Al-Omda Badi, governatore dello Stato del Nilo Blu, nel Sudan meridionale, dando pieni poteri alle forze di sicurezza per ‘porre fine’ agli scontri tribali che hanno causato 150 morti in due giorni. Il testo, consultato dall’Agence France-Presse, invita i comandanti della polizia locale, dell’esercito e dell’intelligence, nonché i paramilitari delle Forze di supporto rapido, a “intervenire con tutti i mezzi possibili per fermare gli scontri tra le tribù”
Foto di copertina EPA/Alet Pretorius