22 Dicembre 2024

Nella partita per il Quirinale l’Unione europea tifa stabilità

L’Europa tifa per la continuità. Nei palazzi delle istituzioni europee a Bruxelles, dove la lotteria per il Quirinale ha trovato un inedito seguito di attenti osservatori, la parola d’ordine è stabilità. A rompere il consueto riserbo dell’Unione europea sulle vicende nazionali degli Stati membri e il tradizionale muro di “no comment” opposto dai portavoce è stato ieri il commissario al Bilancio Johannes Hahn.

L’imperativo Recovery Plan

Parlando con un gruppo di media internazionali, tra cui La Stampa e l’Ansa, ha ribadito che “la Commissione europea ha tutto l’interesse affinché la situazione attuale continui com’è. Vediamo che ci sono molte rassicurazioni e fiducia” sul fatto che i fondi del Recovery Plan “saranno ben spesi”. I 1009 parlamentari e delegati regionali chiamati a eleggere il nuovo capo dello Stato “sanno qual è la posta in gioco”. Se in quest’operazione Mario Draghi avrà un ruolo operativo e sul campo, ancora alla guida del governo fino alla naturale scadenza della legislatura, o se potrà invece sovrintendere dalla torretta del Quirinale sul rispetto degli impegni concordati con l’Europa da parte di un nuovo esecutivo di unità nazionale con maggiori innesti politici, Hahn non lo dice.

Il segnale è tuttavia già abbastanza eloquente: a Bruxelles prevale l’attenzione al breve, se non brevissimo, termine. Soprattutto in una congiuntura temporale in cui – mentre Bruxelles dà l’ok alle prime effettive tranche del Recovery Plan di Spagna, Portogallo e Francia -, l’Italia è un osservato speciale per almeno due ragioni: da una parte le dichiarate difficoltà nell’esecuzione del Pnrr, che fanno ipotizzare al ministro Enrico Giovannini la necessità di una modifica del piano; dall’altra l’allarme spesa pubblica fuori controllo (+1,5% sul Pil, secondo le stime per il 2022) su cui è tornato a puntare i riflettori il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Valdis Dombrovskis, invocando una riduzione del debito “non appena possibile”. Due avvertimenti arrivati, più per combinazione che per scelta, poco dopo le parole di Hahn.

La scommessa Draghi: Quirinale o Chigi?

Insomma, la scommessa dell’Ue sull’Italia porta ancora al nome Mario Draghi. Troppo presto perché l’ex governatore della Banca centrale europea lasci la scena politica italiana. E così i più tradizionali sponsor Ue del premier che sperano nella carta della continuità finiscono per negare il carburante alla difficile ascesa di Draghi verso il Colle, da giorni ostaggio dei veti dei partiti. Il monito, da leggere in filigrana, è semmai un altro: attenzione ai passi falsi nelle trattative e ai punti di non ritorno nel voto in aula, non si può ancora fare a meno di lui a Roma. E neppure in Europa, sospesa tra l’insediamento di un nuovo governo in Germania e le insidie delle elezioni presidenziali in Francia e con davanti mesi in cui si deciderà il futuro del Patto di stabilità e crescita e della disciplina sui conti pubblici, dossier chiave per un Paese ad alto debito che vuole puntare su investimenti strategici (magari da scomputare dal calcolo del debito). Mesi, insomma, in cui l’Italia vuole giocare da protagonista, di sponda con Parigi e Berlino. Mai prima d’ora, del resto, visto il suo inestricabile legame con le sorti del governo, la partita per il Quirinale ha potuto annoverare una schiera di attenti osservatori al di fuori dei confini nazionali.

Il nuovo Patto di stabilità all’orizzonte

C’è poi un altro elemento da valutare. Hahn non è un membro qualsiasi del collegio guidato da Ursula von der Leyen, ma uno degli esponenti più navigati del Partito popolare europeo: da tre mandati è l’uomo di Vienna in seno all’esecutivo Ue, ed è pure quello che dal 2019 ha in mano i cordoni della borsa comunitaria. È dalla “sua” direzione generale che passano gli stanziamenti del bilancio Ue per i prossimi anni, cui sommare tutti i prestiti e le sovvenzioni del Recovery Plan per un totale complessivo di oltre 1800 miliardi di euro. Con 191,5 miliardi in provenienza da Bruxelles fino al 2026, l’Italia è il principale beneficiario tra i Ventisette del maxi-piano per la ripresa.

Ecco che il successo dell’intero impianto del Recovery Ue – come sottolineato in più occasioni anche da von der Leyen – passa dalla effettiva messa a terra delle riforme e degli investimenti nel nostro Paese. Certo, per farlo l’Italia dovrà rispettare tutte le scadenze concordate con la Commissione e gli impegni di rendicontazione semestrale, dopo i quali viene staccata la relativa tranche di fondi.

La prima, relativa agli obiettivi 2021, è in dirittura d’arrivo, ma è sulle successive che si addensano le incertezze, aggravate dalle parole prudenti della Commissione, che ha già messo in chiaro a più riprese che “solo in casi eccezionali uno Stato può richiedere la revisione del proprio Pnrr” e ciò deve essere necessariamente collegato a “circostanze oggettive” tali da rendere impossibile l’adempimento di quanto concordato. A Bruxelles sono avari di esemplificazioni, l’unica finora affidata ai microfoni riguarda imprevisti disastri naturali come gli eccezionali incendi in Grecia dell’estate scorsa. La modifica seguirebbe oltretutto le tappe del complesso iter di approvazione del Pnrr (valutazione della Commissione e voto del Consiglio).

Ecco, se le fibrillazioni politiche sull’esecutivo eventualmente prodotte dalle complesse trattative per il Colle dovessero produrre un effetto domino sulla maggioranza di governo il rischio è che la crisi possa trascinare con sé anche il già difficile rispetto di una serie di target. Il “bottino” per il nostro Paese, in tal caso, si ridurrebbe proporzionalmente. Ma a farne le spese sarebbe anche e soprattutto la credibilità dell’Unione europea che ha scommesso su una spesa comune record per affrontare la ripresa post-Covid, avvertono a Bruxelles. Dove gli errori tattici non sono ammessi.

Foto di copertina ANSA/ETTORE FERRARI/POOL

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