La decisione del presidente russo Vladimir Putin di riconoscere l’ indipendenza delle due sedicenti regioni separatiste di Donetsk e Lugansk nel Donbas è stato solo il preludio. L’invasione ora in corso può essere, e probabilmente sarà, la fine dell’Ucraina come nazione indipendente.
Per l’Ucraina, una nazione di quasi 44 milioni di persone, si profila una catastrofe. Per l’Europa è la fine del sempre più traballante ordine post-Guerra Fredda.
La soluzione c’era…
La grande tragedia di questa vicenda è che, sulla carta, c’era una soluzione diplomatica che avrebbe dato a tutte le parti coinvolte – Russia, Ucraina, Europa e Stati Uniti – non solo una via d’uscita onorevole ma reali benefici di sicurezza, economici e strategici.
L’Amministrazione Biden, che finora ha gestito la crisi in maniera molto competente, aveva fatto un’importante offerta alla Russia. Gli Stati Uniti erano pronti a garantire una moratoria sull’allargamento della Nato all’Ucraina, apparentemente la principale preoccupazione di Mosca nonostante la questione non fosse mai davvero stata in agenda. A questo si accompagnava l’impegno a non schierare in Ucraina missili offensivi basati a terra né truppe su base permanente.
Biden era inoltre disposto ad aprire un negoziato sulla sicurezza europea, in parte bilaterale e in parte pan-europeo, che avrebbe toccato questioni di grande interesse per i russi. Sul tavolo c’erano una maggiore trasparenza reciproca sulle esercitazioni militari e limiti allo schieramento di forze convenzionali e bombardieri strategici, nonché l’apertura dei sistemi di difesa antibalistica americani in Polonia e Romania a ispezioni da parte dei russi, che così avrebbero potuto verificare che non costituiscono una minaccia al loro deterrente nucleare. La considerazione degli interessi di sicurezza russi avrebbe reso percorribile per Mosca allentare la morsa sull’Ucraina, accettando una rinegoziazione del contraddittorio accordo di Minsk del 2015 per la restituzione del Donbas al controllo delle autorità di Kiev.
L’alternativa prospettata da Biden e i leader europei a Putin in caso di escalation era un mix di sanzioni economiche Usa e Ue molto pesanti e il rafforzamento degli schieramenti Nato nei paesi membri dell’Europa centro-orientale, e cioè esattamente il contrario di quanto i russi apparentemente puntavano a ottenere con la mobilitazione militare attorno all’Ucraina.
In sostanza, Biden aveva dato a Putin la possibilità di invertire il senso delle sempre più tese relazioni della Russia con gli Stati Uniti e l’Europa costruendo insieme le basi di un nuovo edificio di sicurezza europea.
Putin ha – brutalmente – declinato l’offerta. Perché?
…Ma Putin non era interessato
Nel prolisso e sconclusionato discorso alla nazione, impastato di revisionismo storico e nostalgia nazional-imperiale, in cui Putin ha riconosciuto l’indipendenza di Donetsk e Lugansk, il presidente russo aveva anche di fatto ritirato il riconoscimento dell’Ucraina come nazione indipendente da parte della Russia.
L’invasione è la logica conseguenza di tutto questo. L’obiettivo di Putin è l’abbattimento del governo democratico di Kiev con un governo filo-russo fantoccio e la distruzione dell’Ucraina indipendente.
Questo è il motivo per cui Putin non ha raccolto la proposta di Biden. La questione dell’adesione dell’Ucraina alla Nato, per quanto reale, era secondaria. Nel 2014, quando la Russia ha annesso la Crimea con la forza e fomentato una guerra civile nel Donbas, era ancora in vigore una legge del 2010 con cui il parlamento di Kiev aveva decretato la neutralità dell’Ucraina (le cose sono cambiate solo successivamente). La stessa opinione pubblica era in maggioranza contraria all’ingresso nella Nato (di nuovo le cose sono cambiate dopo l’invasione russa del 2014). Nell’inverno 2013-14 gli ucraini scesero in piazza non per invocare l’ingresso nella Nato ma per protestare contro la decisione dell’allora presidente Viktor Yanukovich di rinunciare a un accordo di associazione con l’Unione Europea.
Una maggiore integrazione politico-economica con l’Ue preludeva a un consolidamento della transizione democratica dell’Ucraina e a un ancoraggio del sistema politico nazionale al contesto normativo liberale e pluralistico dominante nell’Ue. Non era tanto una minaccia alla sicurezza della Russia, quanto alla sicurezza del sistema di potere sempre più autoritario creato da Putin.
Agli occhi del presidente russo, l’emancipazione dell’Ucraina dalla Russia non era solo un’aberrazione storica, ma conteneva il rischio che il germe ‘liberal-democratico’ potesse infettare la popolazione russa. Non è un caso che il regime di Putin, che nei primi dieci anni si era prodigato nel pilotare il consenso, successivamente si è concentrato sempre di più sulla repressione del dissenso.
È in questa luce che va letta la nuova invasione dell’Ucraina. Non c’è spazio per un negoziato a condizioni accettabili a Stati Uniti ed Europa.
Cosa fare, allora?
Le scelte di Stati Uniti ed Europa
L’errore più grande che Stati Uniti ed Europa farebbero oggi è quello di farsi influenzare da un’analisi storica della crisi. Ci sono buoni argomenti per sostenere che la politica di espansione della Nato negli anni 1990 sia stata poco lungimirante – per dirla tutta ci sono argomenti altrettanto validi a favore della tesi contraria -, nonostante lo stesso Putin non abbia sollevato la questione fino ai tardi anni 2000. Meno controverso è che la politica Usa sotto l’amministrazione Bush (2001-2009) abbia inanellato una serie di scelte strategicamente insensate che hanno gravemente compromesso le relazioni con la Russia (e non solo): l’intervento in Iraq, l’abolizione del trattato russo-americano di bando delle difese antimissile, lo schieramento dello scudo antimissile in Europa orientale e la pressione sulla Nato perché offrisse a Ucraina e Georgia una prospettiva di membership.
Questa è però ormai materia per gli storici, non per i decisori politici attuali. È la politica di Putin, non le scelte delle amministrazioni di Clinton o Bush, che deve informare le decisioni di Europa e Stati Uniti.
Putin non si fermerà fino a quando Kiev non sarà caduta. Ma la questione è più grande dell’Ucraina. Le trentamila truppe russe spostate in Bielorussia inizialmente per un’esercitazione militare sono destinate a restarvi su base permanente. Uno schieramento massiccio e permanente di forze russe in quel paese cambia radicalmente gli equilibri militari tra Russia e Nato.
Sanzioni e sicurezza Nato
Per la Nato difendere la breccia di Suwalki – l’area di confine tra Polonia e Lituania stretta tra l’enclave russa di Kaliningrad, già pesantemente militarizzata, e la stessa Bielorussia – diventerà molto più difficile. Le tre repubbliche baltiche rischierebbero di essere tagliate fuori dal resto del territorio alleato. E con i russi in Bielorussia e Ucraina, i confini militari tra Nato e Russia si estendono a Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. Oggi tutti questi paesi ospitano solo poche migliaia di truppe e un numero modesto di mezzi militari Nato. La Russia potrebbe di fatto ricostituire in Europa orientale la supremazia convenzionale che l’Unione Sovietica vantava lungo la faglia est-ovest in Europa centrale durante la Guerra Fredda. L’esperienza – in Siria e Libia – mostra che quando incontra un ostacolo, il presidente russo si adatta. Stati Uniti ed Europa devono opporre quell’ostacolo.
È necessario imporre un costo economico sulla Russia, per mezzo di sanzioni (finanziarie e su industrie chiave, pur lasciando libera l’esportazione di idrocarburi) e controlli alle esportazioni di tecnologie sensibili. Le misure adottate da Usa e Ue, compresa la sospensione indefinita del controverso gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2, non sono sufficienti. Bisogna colpire il più duramente possibile.
È necessario inoltre creare meccanismi di compensazione economica intra-Ue per attenuare l’impatto delle controsanzioni che i russi immancabilmente imporranno su settori vulnerabili delle economie europee (come l’agricoltura italiana), nonché per mitigare il peso su cittadini e aziende dell’aumento dei prezzi dell’energia.
È necessario fornire all’Ucraina assistenza politica, economica e militare, dandole ogni aiuto perché renda l’invasione la più difficile possibile per i russi. Ed è assolutamente necessario rafforzare massicciamente gli schieramenti Nato in Europa centro-orientale, per contrastare gli schieramenti russi in Bielorussia e in almeno parte dell’Ucraina.
Per intendersi, nessuna di queste servirà a riportare la situazione a prima della crisi. Putin ha trascinato l’Europa in un mondo dove le soluzioni win-win – dove tutti vincono – sono ormai merce rara. I costi economici che l’Europa e in parte gli Stati Uniti pagherebbero per contrastare l’aggressività russa non sono irrilevanti. Ma è opportuno sostenerli per garantirsi una maggiore sicurezza.
Chi ne dubita deve guardare alla catena di eventi degli ultimi 14 anni. Nel 2008 la Russia aggredì la Georgia e le strappò due regioni in cui erano forti sentimenti autonomisti. Con una decisione cinica ma che allora poteva avere senso, Stati Uniti ed Europa decisero di puntare sulla diplomazia e ricucire i rapporti con Mosca. Nel 2014 la Russia ha aggredito l’Ucraina e le ha strappato la Crimea. La risposta fu un regime di sanzioni relativamente limitato e un moderato aumento delle dotazioni Nato in Europa centro-orientale, nella speranza di congelare il conflitto a tempo indeterminato. Oggi questa opzione non esiste più. Se non si oppone un ostacolo più alto oggi a Putin, di qui a pochi anni un’altra situazione come quella di oggi, ma più grave ancora, potrebbe presentarsi.
La diplomazia non deve mai esaurire il suo corso. Ma al momento Usa ed Europa devono concentrarsi su rappresaglia economica, aiuti militari all’Ucraina e potenziamento della difesa e deterrenza Nato. E puntare all’indebolimento continuo e progressivo della forza militare e economica che sorregge il regime di Putin.
Foto di copertina EPA/CLEMENS BILAN