Il vertice di Vilnius della Nato e il protrarsi della guerra russa contro l’Ucraina hanno confermato, ancora una volta, ciò che la Polonia sosteneva già da tempo, ovvero che Mosca rappresenta una minaccia concreta per la sicurezza transatlantica. Dall’inizio della guerra, Varsavia ha avuto un ruolo cruciale in Europa nel supporto a Kyiv soprattutto in termini militari, ma anche economici e di accoglienza dei rifugiati. Il Paese è diventato un hub logistico per l’afflusso e transito di aiuti militari provenienti dai paesi della Nato, ma anche di paesi like-minded che preferiscono sostenere Kyiv indirettamente indirizzando gli aiuti alla Polonia per non esporsi, come la Corea del Sud.
Le forze armate ucraine vengono addestrate in Polonia per utilizzare i sistemi d’arma alleati e Varsavia si fa portavoce delle istanze di Kiev all’interno della Nato e di fronte ai suoi partner europei. In preparazione del vertice di Vilnius infatti Varsavia ha cercato di spianare la strada per un futuro ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza e, nonostante non ci sia consenso oggi tra gli alleati su questo punto, la Polonia rimarrà un capofila molto attivo di questa istanza anche in futuro.
La crescita degli investimenti polacchi nella difesa
Alla centralità in termini geostrategici del Paese per la deterrenza e difesa collettiva della Nato e al ruolo di paladina del sostegno all’Ucraina, si aggiunge una crescita verticale del budget per la difesa che porterà Varsavia ad essere il primo paese nella Nato in termini di percentuale del pil speso in difesa.
Già nel 2021 la Polonia era uno dei pochi membri della Nato a dedicare alla difesa una spesa maggiore del 2% del Pil, che nel 2022 è aumentata dell’11% raggiungendo il 2,4%, con una previsione di crescita al 3% entro il 2023 in conformità alla nuova legge sulla difesa della patria. A queste cifre si aggiunge lo stanziamento di 8 miliardi di euro sotto forma di un fondo extra-bilancio, volto all’acquisto di nuovi sistemi d’arma, che aumenterebbe la spesa a quasi il 4%. L’aumento di budget servirà a portare l’esercito polacco ad un raddoppio degli effettivi e a finanziare i massicci programmi di procurement annunciati dal Ministro della difesa Mariusz Błaszczak. Considerando gli ingenti aiuti militari che la Polonia si è offerta di trasferire all’Ucraina, la necessità del paese di rifornire gli stock è impellente. I trasferimenti militari a Kyiv sono pari a 2.4 miliardi di euro (0,4% del Pil), e hanno ridotto gli stock di armi pesanti polacche di quasi il 20%.
Priorità alle relazioni transatlantiche e investimenti extra-europei
In termini di ambizioni, previsioni di spesa e procurement, Varsavia si sta quindi gradualmente posizionando come una futura potenza militare europea, mantenendo tuttavia una visione scettica riguardo ad una maggiore cooperazione europea nel campo della difesa, oltre che all’integrazione europea in generale. Il Paese predilige infatti il rafforzamento dei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti e il primato dell’Alleanza Atlantica nel garantire la difesa del fianco orientale, un aspetto che Varsavia concepisce in una certa misura in contrapposizione all’attuale progetto europeo di difesa comune. La Nato, e in particolare gli Stati Uniti, sono ritenuti il pilastro della sicurezza del paese, specialmente dal momento in cui altri stati europei consideravano Mosca in prospettiva un partner piuttosto che una minaccia.
Attualmente la presenza degli Stati Uniti in Polonia conta circa 10 mila unità, dispiegate sia nel contesto del programma Nato Enhanced Forward Presence (eFP) di cui gli Stati Uniti sono la nazione framework, sia su base bilaterale. Le principali forze impiegate al di fuori dell’ambito Nato sono i V Corps Forward Command situati a Camp Kościuszko a Poznań, con il compito di supervisione e coordinamento dei contingenti Usa in Europa, e la US Army Garrison Poland (USAG-P), la prima guarnigione permanente in Polonia, ufficializzata lo scorso marzo.
La costruzione di una difesa europea, e in particolare di una base industriale e tecnologica comune, è completamente fuori dall’equazione di strategia di sicurezza polacca e questo è stato accentuato ancor più dall’invasione russa dell’Ucraina. Basti osservare la politica industriale e le scelte di investimenti degli ultimi anni per vedere che Varsavia guarda altrove, puntando su un rafforzamento dei legami industriali con gli Stati Uniti e, recentemente, con la Corea del Sud. Emblematica in questo senso è la decisione di acquistare 980 carri armati sudcoreani K2, di cui 180 sono in fase di trasferimento mentre i rimanenti verranno prodotti direttamente in Polonia. A questo si aggiungono ordini a Seul per la consegna di 600 obici semoventi, 48 aerei da combattimento leggeri, oltre 4 milioni di munizioni per mitragliatrici e 50 mila proiettili per carri. Al contempo, la Polonia ha ordinato a Washington 32 F35, 116 carri armati Abrams e batterie di missili Patriot, quest’ultimi per un valore di 15 miliardi di dollari.
Le tensioni con Bruxelles
Ci sono varie ragioni che hanno spinto Varsavia lontano dai partner europei in questo processo, tra le quali la lentezza e complessità dei programmi cooperativi intra-europei e l’incapacità dell’industria europea di rispondere alla domanda crescente e alla accelerata tabella di marcia del programma di procurement e modernizzazione polacco.
C’è però anche un fattore politico che riguarda le tensioni con Bruxelles. Jarosław Kaczyński, leader del principale partito di governo “Diritto e Giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość – PiS) ha dichiarato in passato che Varsavia è pronta a comprare sistemi d’arma da paesi europei, ma questi dovrebbero prima smettere di “fare la guerra alla Polonia”, riferendosi alla possibil’tà di sanzionare Varsavia sulla base dell’art.7 del Trattato dell’Ue per le violazioni dello stato di diritto.
Nel complesso, il Paese si è impegnato in programmi di acquisto molto ambiziosi e costosi e rimane da vedere se le tempistiche e la scala di quest’ultimi verranno rispettati. L’approccio polacco di distanziamento dal percorso di integrazione europea va ben oltre il campo della difesa e si riflette in generale nella rotta di collisione su temi vitali per le democrazie come lo stato di diritto, i diritti civili e i diritti delle donne.
Dal punto di vista europeo, la crescente potenza militare polacca può essere un’opportunità per la sicurezza del Vecchio Continente. Il rischio è tuttavia che il Paese continui ad allontanarsi dai valori democratici seguendo le orme dell’Ungheria, oltre che dal processo d’integrazione e cooperazione europea, come nell’ambito della difesa.
Elezioni e democrazia
In autunno si terranno le elezioni politiche che definiranno il futuro orientamento della Polonia verso il progetto europeo, anche nei suoi aspetti di difesa. I due scenari più probabili vedono un possibile terzo mandato per il PiS in coalizione con uno dei partiti alla sua destra, oppure un cambio di colore politico al governo, qualora vincesse l’opposizione unita sotto la leadership dall’ex Presidente del Consiglio Europeo e leader di Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska – PO) Donald Tusk.
A giugno nella capitale le opposizioni hanno portato in piazza una manifestazione di centinaia di migliaia di persone che hanno protestato contro le politiche del governo e in particolare contro la controversa legge anti-agenti russi che darebbe a una commissione dell’esecutivo la possibilità di bandire da cariche pubbliche persone sospettate di essere agenti di influenza russa. La legge viene vista da molti come uno strumento per colpire oppositori politici del governo e si aggiunge ad una lunga lista di misure che hanno fatto precipitare gli indici di democraticità della Polonia negli ultimi anni.
Una potenza militare emergente nel cuore dell’Europa, ma per nulla europeista e sempre meno democratica, sarebbe davvero problematica per il futuro dell’integrazione europea.
Foto di copertina EPA/Marcin Obara POLAND OUT