22 Dicembre 2024

Perché l’Europa è decisiva per sostenere le proteste in Iran

Dall’inizio delle proteste scoppiate in tutto l’Iran, l’Unione ha sempre fortemente condannato la repressione perpetrata da Teheran contro i manifestanti. La violenza e le gravi violazioni di diritti umani commesse dal regime iraniano hanno portato a forti condanne da parte di tutte le istituzioni europee, a cominciare dal Parlamento che in ottobre ha esortato il Consiglio a sanzionare, nell’ambito del regime globale di sanzioni dell’Ue in materia di diritti umani, i funzionari iraniani coinvolti nella morte di Mahsa Amini e nelle violenze contro i manifestanti; l’Ue ha chiesto alle Nazioni Unite, e in particolare al Consiglio per i diritti umani, di avviare un’indagine globale e ha esortato gli Stati membri dell’Ue a coordinare le loro azioni diplomatiche al fine di sostenete e proteggere i difensori dei diritti umani, in particolare i difensori dei diritti delle donne.

In novembre, il Consiglio Ue ha deciso di varare sanzioni contro personalità del regime proprio in risposta, come si legge nella comunicazione ufficiale al loro “ruolo nella morte di Mahsa Amini e nella risposta violenta alle recenti manifestazioni nel paese”. Non è una novità nel novero delle relazioni internazionali dell’Unione, che si era già distinta in passato per avere una posizione forte contro gli abusi dei diritti umani in Iran e aveva già approvato misure restrittive contro il regime di Teheran proprio per le atrocità imputate al regime.

Le ultime notizie che giungono dall’Iran paese rendono ancora più drammatiche le previsioni. La morte per impiccagione di Mohsen Shekari, le ulteriori condanne che in queste ore si stanno aggiungendo al tragico elenco, rendono evidenti le responsabilità e le urgenze a cui l’Europa sarà chiamata a far fronte, in una nuova e rinnovata dimensione del suo ruolo internazionale. La scomposta reazione del ministero degli Esteri iraniano alla postura con cui si è inteso rivolgere ammonimenti e sanzioni a quel regime, ne è effetto non secondario.

Una lettura più ampia dei rapporti Ue-Iran

Gli eventi degli ultimi mesi vanno ovviamente interpretati anche attraverso una lettura più ampia che prende in considerazione i rapporti tra occidente e Iran e più in particolare le azioni intraprese e sostenute dall’Unione nei confronti di Teheran. La relazione tra Unione e Iran si è da sempre caratterizzata come complessa, in cui Teheran non si è mai dimostrato come un partner affidabile.

Se in passato l’Ue ha auspicato una normalizzazione dei rapporti, tramite il sostegno all’accordo sul nucleare – Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), ciò è stato sempre accompagnato dalla determinazione di non lasciare nessun crimine del regime impunito e di non considerare Teheran un partner fintantoché atrocità e autoritarismo avessero caratterizzato il governo iraniano.

Tuttavia, questa normalizzazione non ha mai raccolto i frutti sperati. Difatti, resistenze interne al regime ed anche il mutamento della situazione internazionale hanno condotto ad una progressiva divisione tra Teheran e Bruxelles. L’aggressione russa all’Ucraina ha definitivamente messo in discussione la politica di normalizzazione con l’Iran: il suo sostegno al regime di Putin rappresenta un punto di cesura, come occorso ad altri regimi autoritari che hanno visto in quel conflitto l’apertura di un fronte più vasto, l’innesco di un incendio contro l’Europa e l’occidente.

È difficile oggi immaginare che, con le strade bagnate dal sangue degli oppositori, si possa ancora considerare il negoziato dell’accordo sul nucleare (JCPOA) uno strumento diplomatico utile al fine di normalizzare le nostre relazioni con quel regime. Accordo, va detto, che aveva trovato ostacoli difficilmente superabili già prima dell’ ‘autunno caldo’ di Teheran.

JCPOA: l’accordo del 2015 e lo stallo

Nel luglio del 2015, con la firma del JCPOA da parte dell’Iran e dei cosiddetti Ue+3 (Cina, Francia, Germania, Federazione Russa, Regno Unito, Stati Uniti e l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza), Teheran accettava di smantellare gran parte del suo programma nucleare e di aprire le sue strutture a ispezioni internazionali all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Questo storico accordo avrebbe dovuto avviare ad una progressiva normalizzazione dei rapporti con Teheran insieme al controllo delle mire nucleari iraniane.

Tuttavia, i suoi sviluppi sono stati segnati da forti problematiche. In primis, la presidenza Trump ha indebolito l’accordo in quanto gli Usa ne sono usciti, rendendo l’Ue il maggiore promotore, ma al contempo riducendo lo scopo stesso dell’accordo in quanto lo stesso occidente si trovava diviso su come affrontare le relazioni con Teheran. In tale periodo, l’Iran non ha smesso di adottare politiche estere aggressive nella regione del Medio Oriente, a partire dalla Siria, Libano e Israele, aumentando ancor di più il divario tra le posizioni occidentali e quelle iraniane e confermandone il forte impulso destabilizzatore per tutta l’area.

A seguito dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, gli Usa si erano mostrati più aperti alla possibilità di riprendere in mano il JCPOA. Tuttavia, l’Iran non ha rispettato gli impegni presi nell’ambito dell’accordo, una inadempienza che, unita alle posizioni iraniane all’indomani della guerra in Ucraina, ha portato l’Ue a presentare quasi un ultimatum a Teheran. Nell’agosto 2022, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea ha presentato una bozza finale per il rilancio dell’accordo sul nucleare iraniano e ritenuta l’ultima offerta, non negoziabile, da parte dei Paesi occidentali a Teheran. La bozza, nonostante i negoziati, non è stata approvata da Teheran, portando l’intero processo ad uno stallo.

Stallo che può essere annoverato tra le cause principali della crisi del regime, combinato al suo schierarsi nel fronte dei regimi guidato da Putin e soprattutto alle manifestazioni via via più decise e partecipate della popolazione civile, e in particolare delle donne, contro l’oppressione di un regime teologico avverso al pur minimo riconoscimento di libertà e diritti.

 Il ruolo dell’Europa

Questi fattori rappresentano anche per l’Europa una prova del fuoco per il suo ruolo in quella regione, e più in generale del suo ruolo nel mondo in difesa dei valori che ne costituiscono la propria ragione. È forse presto per prevederne l’esito, ma di certo è il momento più critico della storia della rivoluzione degli Ayatollah. Abbiamo già in passato assistito ad incendi simili, in particolare agli inizi del secondo decennio del 2000, e il nostro ruolo è stato marginale, laddove, bisogna riconoscerlo, non dannoso.

Da quel tempo, molto è cambiato e guardiamo al futuro e al nostro ruolo con maggiore consapevolezza e fiducia. Ma non possiamo concederci il lusso di attendere gli eventi che, come dimostra bene il caso Ucraina, presto o tardi busseranno alla nostra porta. Bisognerà riflettere sugli strumenti più efficaci per normalizzare e pacificare l’Iran e tutta quell’area e continuare a tenere alta la guardia sui diritti umani ed intensificare la pressione internazionale affinché coloro che hanno e continuano a versare il proprio sangue nel nome della libertà non lo facciano invano.

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