Difficile raccontare gli ultimi due giorni. Abbiamo passato ore di attesa, di rabbia, di frenesia, ma alla fine è arrivata la gioia della notizia più inaspettata: il presidente Al-Sisi ha concesso la grazia a Patrick Zaki.
Abbiamo trascorso gli ultimi tre anni a tenere alta l’attenzione su Patrick Zaki, un ricercatore egiziano appassionato di diritti umani e di studi di genere. Abbiamo conosciuto suo padre e sua sorella, abbiamo incontrato i suoi amici ed abbraciato Reny, la sua futura compagna di vita. Abbiamo scoperto le sue passioni, il Bologna calcio prima di tutto, e le sue paure. Abbiamo portato la sua storia ovunque in Italia, nei luoghi pubblici come nei salotti istituzionali. Abbiamo chiesto a tutti i governi italiani che si sono susseguiti in questi anni di incalzare il presidente Al-Sisi. Ora aspettiamo che ritorni ad essere un uomo libero.
Abbiamo trascorso le ultime ore tra telefonate, chat, messaggi, email e traduzioni di informazioni dall’arabo all’italiano e viceversa. L’importante è stato non mollare la presa, seguire ogni singolo annuncio, ogni singolo tweet. C’era tensione nell’aria: sapevamo che la storia non poteva finire così, con una condanna a tre anni di carcere per aver pubblicato un articolo di giornale.
Oggi siamo qui a gioire per la grazia a Patrick Zaki e a Mohamed al-Baqer, avvocato del famoso attivista Alaa abdel Fattah, ma domani saremo di nuovo in piazza a chiedere che vengano rilasciati anche tutti gli altri: #FreeThemAll è l’hashtag che continua a circolare su internet, rilanciato dagli attivisti egiziani.
Patrick Zaki non avrebbe dovuto trascorrere neanche un giorno in carcere, nessuno dei 22 mesi di detenzione preventiva, nessuno dei 14 mesi che gli mancano da scontare. Nessuno! Perché non si può essere arrestati per aver espresso un’opinione, per aver denunciato una discriminazione. Patrick non avrebbe dovuto ricevere la grazia perchè non avrebbe dovuto mai essere arrestato né processato.
Siamo qui tutti a chiederci se il decreto che ha concesso la grazia a Patrick rimuoverà anche il suo nome dalla lista nera che lo tiene ancora al suo paese; siamo in attesa di capire se ritornerà ad essere un uomo libero per davvero. Ma ancor di più siamo qui a chiederci cosa ha portato a questo decreto in queste ore, cosa ha spinto il presidente Al-Sisi a prendere questa decisione. Presto per dirlo, ma sicuramente non ci metteremo molto a scoprirlo.
Foto di copertina ANSA/FRANCESCO ARRIGONI