Il viaggio di papa Francesco nel Congo di Kinshasa e in Sud Sudan ripercorre due delle traiettorie più profonde del suo pontificato, ovvero la crisi migratoria, in tutte le sue sfaccettature, e la questione della guerra e, di converso, della pace. Due leitmotiv che il continente africano rivive quotidianamente da decenni.
L’Africa “vittima”
Anche per questo, per Bergoglio, l’Africa è vittima. Lo ha detto nel 2015, durante il viaggio di ritorno dalla visita in Kenya, Uganda e Repubblica centrafricana, nella cui capitale, Bangui, aveva aperto la porta santa del Giubileo della misericordia. E Congo e Sud Sudan non sfuggono a questa definizione, tanto che papa Francesco nel 2018 indice una giornata di preghiera per entrambi i Paesi. Che stavolta, dopo cinque anni, riesce a visitare.
Il viaggio è partito dal Congo, provato dalle continue tensioni con il Ruanda e incapace di gestire un numero impressionante di sfollati, in fuga dagli attacchi dei guerriglieri del gruppo M23, ribelli congolesi probabilmente sostenuti proprio da Kigali. E arrivando, poi, in Sud Sudan, che per la prima volta nella sua breve vita accoglierà un papa, accompagnato per l’occasione dal primate della Chiesa anglicana Justin Welby e dal moderatore della Chiesa di Scozia, Ian Greenshields
La crisi migratoria tra violenza e clima
L’area dei Grandi laghi dell’Africa, crocevia fondamentale dei flussi migratori che partono e si esauriscono all’interno dello stesso continente, ha come perno principale il Kivu, regione nord orientale del Congo e confinante con Ruanda e Uganda. Qui, gli sfollati sono oltre cinque milioni e, di settimana in settimana, migliaia e migliaia di persone sono costrette ad abbandonare la propria casa per le ripetute incursioni di gruppi paramilitari.
Una situazione caotica, che rende complicato non solo l’intervento del governo di Kinshasa, ma anche delle organizzazioni umanitarie. Queste ultime, di fronte alla presenza di centinaia di milizie – circa 140 secondo il Kivu Security Tracker – che operano quasi indisturbate sul territorio, non possono contribuire alla messa in sicurezza della popolazione colpita.
Nella nunziatura apostolica di Kinshasa, dopo la visita nella residenza ufficiale del capo dello Stato, Felix Tshisekedi Tshilombo, Francesco incontrerà proprio alcune delle vittime delle violenze che dilagano nell’est del Paese.
Tra le cause alle radici della crisi migratoria e dei rifugiati, però, non vi è soltanto la circolazione dei gruppi armati, ma anche il clima. Il Sud Sudan, negli ultimi quattro anni, è stato completamente devastato dalle alluvioni e dalle piogge torrenziali, che hanno interessato quasi un milione di persone. Altre ancora, in numero addirittura maggiore, hanno dovuto fuggire, riportando sotto i riflettori il problema dei migranti climatici, sul quale anche papa Francesco si è espresso anche nella sua enciclica Laudato Si’.
Terre rare e guerre comuni
L’altro focus del viaggio di Francesco è quello della pace. Come in Europa il conflitto ucraino non sembra destinato a una risoluzione nel breve periodo, anche in Congo si combatte a bassa intensità ormai da decenni.
In un contesto regionale esplosivo, Kinshasa da una parte e Kigali dall’altra si scambiano reciproche accuse: mentre la prima accusa il Ruanda di aver riattivato il gruppo di congolesi ribelli del Mouvement du 23 mars – ovvero, M23 – e di finanziarne le attività allo scopo di destabilizzare il Paese, il presidente ruandese Paul Kagame fa altrettanto col Congo, incolpato do sostenere le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda, un altro movimento insurrezionale.
Un intreccio reso ancor più inestricabile dalle influenze esterne, esercitate non solo dagli attori regionali come l’Uganda, ma anche dai grandi Paesi – dalla Francia alla Russia, dalla Cina agli Stati Uniti – impegnati nell’accaparramento delle abbondanti risorse naturali del Congo, ovvero le cosiddette terre rare, il cobalto e il coltan. Tutti elementi high-tech ampiamente utilizzati nell’industria dei superconduttori, dei veicoli a energia elettrica e dei chip di ultima generazione.
Una sovrapposizione di interessi economici, spesso predatori, che Francesco stesso, arrivato in Congo, ha immediatamente denunciato. “Giù le mani dal Congo“, ha detto il pontefice, che “non è una miniera da sfruttare”, esattamente come il resto dell’Africa.
Del resto, per Bergoglio, ogni conflitto è una delle conseguenze più evidenti del sistema iniquo dell’economia mondiale, che accetta lo sfruttamento e persegue il profitto a ogni costo. Anche della vita umana, ridotta spesso a mero scarto del processo produttivo. Ma non c’è valore più grande di quelli della pace e del dialogo, di fronte ai quali ogni calcolo deve fermarsi, sia esso puramente economico o di potere. Un monito lanciato dal cuore dell’Africa che arriva sino all’Europa.
Foto di copertina ANSA/ VATICAN MEDIA