22 Dicembre 2024

Osservatorio Balcani: “La riuscita dell’allargamento passa dalla maggioranza qualificata nell’Ue”

Il 3 e il 4 aprile l’Istituto Affari Internazionali e l’Osservatorio Balcani Caucaso e Transeuropa hanno accolto la proposta del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale di organizzare un incontro fra rappresentanti dei governi dei Balcani occidentali, delle istituzioni e delle società civili. A margine della conferenza, la redazione di AffarInternazionali ha intervistato Luisa Chiodi, direttrice dell’Osservatorio Balcani Caucaso e Transeuropa, sul futuro dell’integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione europea

Nel processo di allargamento dell’Ue, i Balcani occidentali sono una regione chiave, sia per ragioni strategiche sia per questioni fondamentali come l’immigrazione e Schengen. Quali sono le prospettive di integrazione, viste da Bruxelles? Abbiamo visto, poche settimane fa, l’Olanda bloccare l’accesso a Schengen della Bulgaria, che pure è un membro dell’Ue…

L.C La nuova stagione nelle relazioni internazionali che stiamo vivendo a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina ha stimolato il rilancio e l’ampliamento del processo di allargamento dell’Ue. Oggi sono coinvolti, oltre ai Balcani occidentali, tre nuovi paesi che, fino al febbraio 2022 non erano mai stati considerati per l’adesione. La guerra ha spinto i paesi membri dell’Ue a concedere la candidatura all’Ucraina e alla Moldavia – portando a
sette il numero paesi candidati – e ad aprire anche alla Georgia – oltre che al Kosovo – la cosiddetta prospettiva europea, ovvero la possibilità di acquisire in futuro la candidatura. Di fatto la politica di allargamento, nello scontro con Mosca, è diventata uno strumento della politica di sicurezza europea e ne ha accresciuto la priorità.

D’altro canto, episodi come quello che lei cita, relativo all’accesso a Schengen della Bulgaria, ci ricorda che non tutti i nodi nell’integrazione europea sono sciolti. La poca fiducia dei vecchi Paesi membri persino verso i paesi di recente ingresso, come la Bulgaria membro dell’UE dal 2008 – che ancora non viene ritenuta pronta per la condivisione di dati sensibili prevista dagli accordi di Schengen – evidenzia le difficoltà che continueranno ad ostacolare il processo di integrazione europea.

Benché si siano impegnati a rilanciare l’allargamento, i 27 Stati membri dovranno deliberare unanimemente per ogni passo avanti da compiere nel processo di integrazione europea dei candidati. È difficile pensare che i rischi per la sicurezza europea nel medio periodo continueranno ad essere sufficienti a motivare tutti.

In questi anni, oltre alle difficoltà dei Paesi candidati nell’attuare le riforme necessarie, uno dei fattori chiave per la crisi del processo, infatti, è stato il diritto di veto utilizzato a turno da vari Paesi membri per bloccare uno o l’altro dei candidati nel processo di adesione. È evidente che le crisi funzionino da sprono per l’Ue ma un processo decisionale affidato all’unanimità sulle questioni fondamentali non è sostenibile.

Negli ultimi mesi i rapporti tra Serbia e Kosovo si sono fatti più tesi. A che punto siamo oggi?

L.C Il contesto internazionale ha spinto l’Ue ad agire in modo più assertivo anche per sciogliere i nodi nei rapporti tra Serbia e Kosovo e il 18 marzo scorso a Ohrid in Macedonia del Nord si è arrivati a un nuovo accordo. Questa volta si tratta solo di un accordo verbale e purtroppo, le due parti si sono subito mostrate divergenti nell’interpretazione degli impegni presi.

In termini diplomatici si usa l’eufemismo “ambiguità costruttiva” per cercare di fare passi avanti. Forse è necessario per poter uscire dallo stallo ma è legittimo chiedersi se si possa davvero contare su buona volontà e forte impegno di tutte le parti.

Si aggiunga poi che l’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell rappresenta anche cinque Paesi membri che non riconoscono una delle due parti in conflitto. Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna  – per  ragioni di politica interna in relazione alle difficoltà con le proprie minoranze o regioni autonome – ad oggi non riconoscono il Kosovo, mostrando ancora una volta come la politica estera comune sia facile ostaggio di questioni interne ai singoli Stati membri.

Che cosa preoccupa l’UE oggi mentre rilancia l’impegno nei Balcani? 

L.C La preoccupazione è che le questioni irrisolte nella regione, in primis la relazione Serbia-Kosovo, ma anche la situazione nella fragile Bosnia Erzegovina possano consentire alla Russia di destabilizzare la regione.

Per ora le difficoltà incontrate nella guerra in Ucraina hanno impedito l’apertura di un secondo fronte nei Balcani ma il timore resta. La Russia ha parecchi alleati tra i nazionalisti di tutta la regione: nei media, in politica, nella chiesa ortodossa. E qualcuno ritiene che mercenari russi potrebbero facilmente alimentare nuovi scontri sul terreno.

Qual è il ruolo dell’Italia nel processo di integrazione europea della regione? 

L.C L’Italia ha da sempre una posizione a favore dell’ingresso dei Balcani occidentali: ha una società civile molto attiva nella cooperazione con la regione, notevoli relazioni sul piano culturale, forti interessi economici etc. Negli anni l’azione del nostro Paese purtroppo però ha mancato di incisività.

Il nuovo governo ha mostrato fin da subito una volontà di protagonismo nella regione. Solo negli ultimi mesi l’Italia ha organizzato una conferenza sui Balcani a Trieste a febbraio, un business forum a Belgrado a marzo e una riunione tra ministri degli esteri e una conferenza internazionale a Roma ad aprile. Vedremo se l’Italia sarà capace di convincere i partner europei meno collaborativi ad impegnarsi nella politica di allargamento.

Per portare a termine l’integrazione europea dei Balcani però dovremmo ottenere che, per le tappe intermedie dell’allargamento, le decisioni vengano approvate con maggioranze qualificate. Dopo tutto, i trattati non definiscono i dettagli del processo di integrazione europea per come lo conosciamo oggi. L’attuale metodologia per i negoziati di adesione è frutto di varie revisioni introdotte nel corso degli due ultimi decenni. Nel lungo periodo, raggiungere questo primo risultato renderebbe l’Italia più capace di perseguire i propri obiettivi di politica estera nel contesto comunitario, evitando la trappola dei veti che paralizza l’Unione.

Foto di copertina ANSA/ETTORE FERRARI

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