Italiani più preoccupati dalle tensioni con la Russia ma non per questo più filo-americani, anzi – e in ogni caso più propensi a una politica italiana maggiormente autonoma nel campo della difesa. Giudizi prevalentemente positivi sulle missioni militari all’estero, specie dove è più direttamente a rischio la sicurezza nazionale. L’edizione 2022 del periodico sondaggio Iai-Laps sulla politica estera dell’Italia, di cui forniamo qui un’anticipazione, rivela aspetti nuovi e interessanti della percezione degli elettori, in un anno segnato dall’invasione russa dell’Ucraina e dalle sue molteplici conseguenze sugli interessi nazionali.
Russia, nucleare e clima
Quando si chiede di dare un punteggio da 1 a 10 alle principali minacce per la sicurezza nazionale, le tensioni tra Occidente e Russia balzano a 7,9 rispetto a 5,8 del 2020. È un dato che riflette l’invasione russa dell’Ucraina e la sua copertura mediatica senza precedenti. Tra le altre minacce più preoccupanti vi è la possibilità di una guerra nucleare – principalmente legata alla Russia – che segna 8,1, e al primo posto, con 8,3, l’emergenza climatica.
Altro dato rilevante riguarda la percezione dell’ascesa della Cina come minaccia per la sicurezza nazionale, salita dal 5,7 del 2018 al 6,1 del 2020 e ancora al 6,9 del 2022. Si tratta di un trend graduale ma costante che riguarda un fattore non vicino alla vita quotidiana e non centrale sui media, con l’eccezione delle prime fasi della pandemia, quando la Cina aveva portato avanti anche in Italia la “diplomazia delle mascherine” dopo aver inizialmente nascosto a lungo la diffusione del Covid-19 al suo interno.
Mediamente europeisti, meno atlantisti e più nazionalisti
Se la percezione delle minacce evolve, anche le idee su come e con chi affrontarle non restano immutate. Le risposte alla domanda se sia più importante la cooperazione con gli Stati Uniti, con l’Ue, con entrambi, o invece una politica nazionale più autonoma, sono cambiate significativamente negli ultimi quattro anni. L’Unione europea è oggi l’alleato migliore per il 34% degli italiani, come nel 2018, dopo un calo al 27% nel 2020. Il dato si attesta al 30% tra gli elettori del centrodestra, mentre oscilla tra il 39% ed il 50% nell’elettorato dei partiti oggi all’opposizione.
L’alleanza con gli Stati Uniti quattro anni fa era preferita dal 12% degli italiani ed ora solo dall’8%. Cooperare sia con Washington che con Bruxelles era considerata nel 2018 la scelta migliore dal 41% degli italiani, mentre oggi il dato si ferma al 28%. Sembra quindi che l’aumento della preoccupazione per le tensioni tra Russia e Occidente non si traduca automaticamente in una scelta di campo per il secondo. In questo contesto, forse nel 2022 l’avvicinarsi della prospettiva di un conflitto Russia-Nato spinge una parte degli italiani a volersene in qualche modo chiamare fuori. In questo contesto, l’elettorato di centrodestra risulta più atlantista, con un dato al 10%.
Specularmente, in quattro anni sale dal 13% al 31% la percentuale di elettori che vuole una politica italiana più autonoma da entrambi i contesti europeo e transatlantico (34% nel centrodestra). Questo dato si inserisce in un trend storico più ampio che, con la fine della Guerra Fredda, ha man mano visto l’Italia discutere più esplicitamente di interessi nazionali, di come proteggerli e promuoverli anche tramite la politica di difesa. Inoltre, nello scorso decennio, a fronte di una serie di crisi importanti per l’Italia – finanziaria, libica, migratoria, pandemica – il contributo delle organizzazioni multilaterali e sovranazionali è stato limitato e discutibile, almeno fino all’approvazione del Recovery Fund Ue, favorendo l’emergere di posizioni più nazionaliste.
In questo contesto, il dibattito sugli interessi nazionali è importante per la formulazione della politica di difesa, più in generale della politica estera, e andrebbe quindi coltivato in modo pragmatico, realistico, con una prospettiva di lungo periodo, e in modo costruttivo verso il quadro europeo e transatlantico come primi ambiti in cui promuovere e proteggere tali interessi.
Missioni all’estero e difesa collettiva Nato
Due modi in cui le forze armate contribuiscono agli interessi di sicurezza nazionale sono le missioni all’estero – sotto egida Onu, Ue, Nato, di coalizioni ad hoc o a livello bilaterale – e l’impegno nel dispositivo di deterrenza e difesa collettivo dell’Alleanza atlantica.
Per quel che riguarda le missioni militari, la conoscenza o meno della realtà concreta delle stesse ha un effetto importante sulle opinioni degli intervistati. Se agli intervistati si forniscono alcune informazioni di base sul numero di militari italiani impegnati all’estero, sui paesi in cui sono presenti e sul quadro di riferimento delle missioni che li vedono coinvolti, il 57% si dice a favore di tale impegno. Al contrario, di fronte a una domanda generica, i favorevoli scendono di dodici punti al 45%: in altre parole, si ribalta la maggioranza assoluta a riguardo. Si tratta di un dato che dovrebbe spingere il ministero della Difesa, ed in generale chi lavora su questi temi, ad aumentare gli sforzi per una informazione più ampia, costante, tempestiva, accurata e fruibile, se si vuole favorire una valutazione consapevole e senza pregiudizi della politica di difesa da parte dell’opinione pubblica.
Per quanto riguarda l’impiego potenziale delle forze armate di fronte a determinate situazioni di crisi, al di là delle missioni in corso, la percentuale di italiani propensi all’uso dello strumento militare oscilla in linea di principio tra il 69% e l’88% a seconda dell’obiettivo da perseguire. Una percentuale sulla carta alta, ma di cui occorre valutare la solidità di fronte alle perdite e costi di operazioni prolungate e su larga scala. Il 74% degli intervistati si dice favorevole a un intervento militare per porre fine a una guerra civile, il 72% approva quello per rimuovere un governo che non rispetta i diritti umani, il 74% è a favore delle missioni di peace-keeping.
Detto questo, è interessante notare come i favorevoli all’uso della forza tocchino il picco – ben 88% – nel caso in cui i soldati italiani agissero per prevenire un attacco terroristico imminente o liberare connazionali all’estero. Due tipi di missione diverse da quelle miranti a far rispettare il diritto internazionale e/o che hanno luogo in un quadro multilaterale – elementi che invece rappresentano per molti versi delle costanti dell’approccio dell’Italia all’uso della forza. Sembra quindi che si vada affermando una visione più immediata e nazionale della politica di difesa.
La missione militare che raccoglierebbe il consenso più limitato, il 68%, è la difesa di un alleato Nato sotto attacco. Anche in questo caso, l’avvicinarsi di uno scenario del genere dopo l’invasione russa di uno stato confinante con Nato ed Ue, e le immagini di una guerra convenzionale su larga scala combattuta in Europa, hanno portato probabilmente a una risposta più cauta di fronte a uno scenario al tempo stesso più grave e più probabile di molti altri. A vedere il bicchiere mezzo pieno, si tratta di un dato comunque relativamente alto, specie se comparato alla bassa e declinante propensione verso l’alleanza con gli Stati Uniti menzionata in precedenza. In poche parole, dal punto di vista degli italiani, aspirare a una politica di difesa più autonoma non vuol dire voltare le spalle a un alleato sotto attacco.
Questo articolo anticipa alcuni risultati dell’edizione 2022 del periodico sondaggio sugli italiani e la politica estera promosso dall’Istituto Affari Internazionali e dal Laboratorio Analisi Politiche e Sociali (Laps) dell’Università di Siena, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo. Il rapporto di ricerca completo verrà presentato durante un webinar organizzato dallo IAI il 20 ottobre 2022. L’indagine è stata condotta dal LAPS tra il 7 e il 13 settembre 2022 su un campione di 3.021 individui di nazionalità italiana di età eguale o superiore ai 18 anni, aventi accesso ad Internet; moduli diversi sono stati sottoposti a tre sotto-campioni di circa 1.000 rispondenti ciascuno