Oltre a mettere fine all’immane tragedia dei lutti e delle devastazioni, vi è un’altra ragione per fermare la guerra di aggressione all’Ucraina e far tacere le armi. Il blocco navale attuato dalla Russia nel Mar Nero e le mine disseminate dall’Ucraina per ostacolare uno sbarco russo a Odessa impediscono che 22 milioni di tonnellate di grano raggiungano i mercati africani e del Medio Oriente. Inoltre, essendo pieni tutti gli stoccaggi è impossibile ricevere il nuovo raccolto, con il rischio sempre più concreto di far schizzare verso l’alto il prezzo del pane in molti paesi.
Il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha espresso il timore che sia in arrivo “un uragano di fame” se il grano dell’Ucraina resta bloccato e ha annunciato la creazione di un Global Crisis Response Group on Food, Energy and Finance dell’Onu, affidato al Vicesegretario Generale Amina Mohammed. David Beasley, capo del Programma alimentare mondiale, Agenzia dell’Onu, il 20 maggio, intervenendo al Consiglio di Sicurezza, ha definito la mancata apertura dei porti nella regione di Odessa “una dichiarazione di guerra alla sicurezza alimentare globale e si tradurrà in carestia, destabilizzazione e migrazione di massa in tutto il mondo”. Russia e Ucraina esportano più di un quarto della produzione mondiale di grano e la Russia è il maggior esportatore di fertilizzanti.
Lo sforzo diplomatico internazionale
In occasione del viaggio a Washington di metà maggio il Presidente del consiglio italiano Mario Draghi per primo ha parlato della necessità di un’iniziativa umanitaria per evitare lo scenario di una crisi alimentare a livello globale. La mossa di Draghi ha avviato uno sforzo della diplomazia internazionale per trovare una soluzione condivisa, e definire un accordo che consenta la creazione di corridoi marittimi nel Mar Nero per far passare, sotto scorta, le navi cargo con il grano. Si è così aperta una partita diplomatica in cui si è abilmente inserita la Turchia, che in base alla Convenzione di Montreux del 1936 controlla il regime di navigazione degli Stretti dei Dardanelli.
Sono emersi subito alcuni ostacoli: Kiev teme che lo sminamento delle acque del Mar Nero possa consentire alle navi da guerra russe di tentare lo sbarco a Odessa, Mosca chiede garanzie che le navi non trasportino armi per l’Ucraina, e soprattutto, per approvare il corridoio navale, ha posto come condizione che siano revocate le sanzioni – non vi è nessuna sanzione all’export di beni alimentari – o l’offerta dei soli porti sotto controllo russo per sbloccare l’export di grano.
Rotte alternative, via terra verso i porti baltici o polacchi, o via fiume fino al porto romeno di Costanza comportano una sfida logistica non indifferente, oltre a essere una parziale soluzione per le quantità limitate che sarebbero coinvolte. L’incontro dell’8 giugno a Ankara tra il presidente turco Erdogan e il ministro degli Esteri russo Lavrov metterà alla prova la buona volontà di evitare una catastrofe umanitaria. L’intesa che sembra profilarsi potrebbe affidare alla Turchia sia il compito di sminare le acque davanti a Odessa, che di scortare le navi cargo con il grano. Un’operazione che comporta anche rischi militari ed è quindi importante garantirne l’attuazione in sicurezza. La Turchia ha proposto un centro di coordinamento a Istanbul, sotto egida Onu.
Il ruolo dell’Onu nelle crisi
Il presidente francese Emmanuel Macron ha proposto l’adozione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza a favore di questo corridoio navale “umanitario”, per dare un quadro chiaro e copertura politica all’operazione. Come opzione alternativa è stata presa in considerazione una risoluzione dell’Assemblea generale, che però non sarebbe un atto giuridicamente vincolante.
Si rafforza quindi il coinvolgimento delle Nazioni Unite, che hanno fornito supporto e protezione a milioni di civili ucraini che subiscono le conseguenze del conflitto, ma si caratterizzano sempre più come un’agenzia umanitaria. Aiutare a sbloccare l’uscita del grano dai porti dell’Ucraina per l’Onu non è solo contribuire a risolvere il problema dell’approvvigionamento mondiale di cibo, ma una questione esistenziale.
I limiti delle Nazioni Unite sono ben noti da tempo. Lo scoppio della guerra fredda, che ha minato l’assunto di fondo del perdurare dell’intesa tra le grandi potenze su cui si basava la costruzione concepita dal presidente americano Roosevelt, ha impedito il raggiungimento degli obiettivi originari della Carta di San Francisco firmata il 26 giugno 1945. Nonostante abbia varato missioni di peace-keeping, creato regimi sanzionatori e autorizzato interventi militari, l’Onu, ha fallito nel suo compito primario: assicurare pace e sicurezza internazionale.
Una riforma del Consiglio di Sicurezza?
L’incapacità di affrontare le più recenti crisi internazionali ha messo in luce l’esigenza di una significativa riforma dei suoi meccanismi istituzionali, in primis del Consiglio di Sicurezza, dove il diritto di veto concesso ai cinque membri permanenti si traduce nella paralisi decisionale. Più che mediare tra i diversi interessi delle maggiori potenze, il metodo di votazione dell’organo esecutivo è finalizzato a impedire che possa funzionare contro una di esse.
Cina, Russia e Stati uniti hanno usato in misura maggiore il diritto di veto, mentre Francia e Regno unito, soprattutto dopo il 1989, ne hanno fatto minor uso. Il sempre più basso numero di risoluzioni approvate ha reso evidente l’impasse decisionale. Siria, Crimea, Yemen sono le principali crisi in cui negli ultimi anni si è manifestata l‘incapacità di raggiungere un consenso nell’aula del Palazzo di vetro.
Certamente Cina e Russia si sono trovate spesso alleate nel difendere regimi dittatoriali e impedire risoluzioni di condanna, ma anche gli Stati Uniti, già durante la presidenza di George Bush, aggirando il ruolo dell’Onu nell’intervento in Iraq del 2003, e successivamente con Donald Trump, che ha ritirato Washington dal Consiglio dei diritti umani e dall’Oms, hanno contribuito al declino delle Nazioni Unite come arbitro delle dispute internazionali.
Multilateralismo e spirito cooperativo
In questo “momento westfaliano” del sistema internazionale, dove gli stati rivendicano la loro sovranità e prevale la rivalità tra potenze, lo spazio per il ruolo delle Nazioni Unite si riduce inevitabilmente. Ciononostante, l’obiettivo di un’organizzazione basata sul multilateralismo cooperativo per arginare l’anarchia del sistema internazionale resta da perseguire.
Difendere il multilateralismo alla base della Carta di San Francisco, che incarna il principio della legalità internazionale e rappresenta un valore universale, dovrebbe essere un interesse anche di quei paesi che contestano “l’ordine internazionale liberale” stabilito dopo il secondo conflitto mondiale, e reclamano nuovi equilibri geopolitici.
Foto di copertina EPA/JASON SZENES