La Nato ha mantenuto durante e dopo la Guerra fredda una postura militare nei confronti di Mosca sempre e solo di deterrenza e difesa. Quando i Paesi dell’ex Patto di Varsavia e le tre Repubbliche Baltiche hanno liberamente deciso di entrare nell’Alleanza, la Nato ha evitato di posizionare in modo permanente robuste capacità militari sul loro territorio in base agli accordi con la Russia al fine di evitare tensioni. Dal vertice di Bucarest del 2008, l’allargamento Nato ed è poi proseguito solo nei Balcani occidentali (Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord) senza più considerare di fatto né l’Ucraina né la Georgia.
Il caso dell’Ucraina
L’invasione russa della Crimea nel 2014, la sua annessione ed il sostegno di Mosca alle forze separatiste in Ucraina, hanno portato l’Alleanza a dispiegare in modo non permanente forze militari più cospicue ma comunque limitate in Europa orientale. L’Enhanced Forward Presence Nato conta su quattro battaglioni multinazionali distribuiti in Polonia e nelle tre Repubbliche Baltiche, per un totale di circa 5.000 unità.
Certo non una minaccia per la Federazione Russa che ha schierato in pochi mesi quasi 190.000 truppe al confine con l’Ucraina. Questa e altre limitate misure riguardanti la Romania, insieme ad un intenso programma di esercitazioni annuali, fanno parte del Readiness Action Plan Nato elaborato nel 2014 proprio a causa dell’occupazione russa della Crimea.
Rinforzi per evitare il casus belli
Il piano non è basato sulla deterrenza “by denial”, ovvero sulla costruzione di un’imponente linea difensiva in grado di scoraggiare di per sé qualsiasi attacco, anche perché ciò avrebbe potuto essere frainteso da Mosca come un atto offensivo e quindi portare ad una escalation.
Piuttosto, il piano e tutta l’attuale postura militare Nato si basa sulla deterrenza “by punishment”, cioè sul meccanismo di rinforzi che seguirebbe un attacco russo verso un Paese membro dell’Europa orientale, Baltici in primis. Per rendere credibile tale meccanismo, è stata approntata una Very Rapid Joint Task Force di altri 5.000 uomini e donne, tenuta in stand-by in Europa occidentale con un altissimo grado di prontezza operativa e quindi in grado di intervenire in pochi giorni. In caso la VJTF non fosse sufficiente per fermare un attacco russo, verrebbe mobilitata la Nato Response Force fino a 40.000 unità, nell’arco di alcune settimane. Se anche tale forza non fosse in grado di respingere l’offensiva nemica, rimarrebbe solo una mobilitazione generale delle forze armate alleate, a partire dalle 90.000 truppe statunitensi in Europa.
Poiché il totale delle forze europee, nordamericane e turche, ammonta a circa 3 milioni di unità, è evidente che un loro impiego anche parziale in un drammatico conflitto convenzionale (cioè non nucleare) porterebbe alla sconfitta russa, a meno che la guerra non passi ad una molto improbabile escalation atomica. Tale chiaro e prevedibile esito, a valle del meccanismo di rinforzi Nato, serve a dissuadere a monte un qualunque attacco russo contro Paesi alleati, e quindi ad evitare un casus belli sul fianco orientale proprio sulla base della deterrenza “by punishment”.
La guerra tra Russia e Nato in Europa è uno scenario ovviamente remoto, ma dovrebbe essere altrettanto ovvio che bisogna prenderlo sul serio in modo da non farlo diventare possibile e conveniente agli occhi del Cremlino.
La difesa missilistica
Su queste basi, l’attuale “Concept for the Deterrence and Defence of the Euro-Atlantic Area” delinea l’impostazione militare Nato, mettendo a sistema gli sforzi a livello nazionale, regionale, e dell’intero teatro pan-europeo, in modo da allineare le attività dei Paesi membri sia in tempo di pace, sia durante crisi come quella in corso ed eventualmente in un conflitto che coinvolga l’Alleanza stessa. Si tratta di un approccio che combina i domini aereo, marittimo e navale, ed in prospettiva sempre di più quelli cibernetico e spaziale, a sostegno di una deterrenza e difesa convenzionale, missilistica e nucleare.
È in questo contesto che si inserisce il sistema di difesa missilistica Nato. Quest’ultimo è composto da sistemi radar stazionati in Turchia, missili intercettori posizionati in Romania e nelle navi americane nel Mar Nero e nel Mediterraneo, e dal centro di comando e controllo in Germania, federando gli assetti alleati per una difesa che non può che essere a livello continentale. È previsto che nei prossimi anni anche la Polonia ospiti una componente di tale sistema.
Proprio i siti della difesa missilistica Nato sono stati aperti a future ispezioni russe, nel quadro delle proposte fatte come ultimo tentativo occidentale di evitare l’invasione dell’Ucraina, a riprova e rassicurazione che il sistema alleato non è congegnato né in grado di costituire una minaccia per Mosca. Ma il Cremlino ha chiuso ogni trattativa e dato inizio alla guerra.
Al momento la Nato ha reagito con un incremento delle forze dispiegate in territorio alleato, il transito delle unità militari sotto la catena di comando e controllo del Comando Supremo Alleato per Europa, e l’utilizzo di regole d’ingaggio predisposte per impegno immediato.
L’Italia è pronta a contribuire con circa 1400 unità, e con ulteriori 2000 militari disponibili, da impiegare solo sul territorio dei Paesi Nato.
Cosa è cambiato in Bielorussia ed Ucraina…
L’attacco di Putin all’Ucraina ha cambiato il quadro regionale per cui la postura Nato era stata congegnata. In primo luogo, lo stazionamento di nuove forze pesanti russe in Bielorussia minaccia direttamente le confinanti Lettonia, Lituania e Polonia, permettendo potenzialmente un attacco più rapido, massiccio ed efficace. La guerra lampo condotta in questi giorni verso Kiev proprio dal vicino confine bielorusso è un segno allarmante della capacità di Mosca di colpire la capitale del Paese aggredito.
Per quanto presentato come temporaneo, è molto probabile che il dispiegamento di forze russe in Bielorussia continuerà a lungo, e che il territorio e gli assetti di Minsk saranno fortemente integrati nel dispositivo militare del Cremlino.
In secondo luogo, la continuità territoriale tra Donbass e Crimea sotto un totale controllo delle forze russe sembra ormai a portata di mano per Mosca, che così rafforzerà ulteriormente non solo la posizione sulle coste sul Mar Nero ma anche la capacità di proiezione militare verso gli altri stati costieri, a partire da Romania e Bulgaria.
…e cosa potrebbe ancora cambiare a Kiev
Più difficile prevedere come evolverà l’invasione russa del resto dell’Ucraina, attualmente in corso con successo. Il territorio attaccato dalla Russia è circa nove volte maggiore dell’area giù controllata fino al 2021 da Mosca in modo diretto (Crimea) o indiretto (repubbliche separatiste del Donetsk e Luhans’k), e la popolazione complessiva ucraina è di circa 44 milioni di abitanti (a fronte di 144 milioni di cittadini russi). Questa volta si tratta per Putin di un altro ordine di grandezza rispetto alle occupazioni militari condotte negli ultimi 15 anni, prima in Georgia (2008) e poi nella stessa Ucraina, e anche a paragone delle operazioni militari russe in Cecenia negli anni 2000.
È quindi arduo ipotizzare come, in che misura e per quanto tempo la Russia riuscirà a controllare tutta o buona parte dell’Ucraina. Così come è prematuro stimare se e quanto ciò si rivelerà un rafforzamento complessivo della potenza russa, in virtù dei territori e risorse acquisiti nonché della nuova vicinanza a Paesi Nato potenzialmente attaccabili – Romania, Slovacchia e Ungheria – oppure se viceversa ci sarà un effetto di logoramento delle forze russe, in qualche modo paragonabile mutatis mutandis a quello dell’invasione sovietica dell’Afghanistan negli anni ’80.
L’importanza del nuovo Concetto Strategico Nato
Anche considerando tali incertezze, è necessario che l’Alleanza atlantica aggiorni la propria postura di deterrenza e difesa, attraverso una riflessione articolata che coinvolga il livello politico e quello militare, sia nel quadro delle strutture Nato sia come singoli stati membri.
L’elaborazione in corso del nuovo Concetto Strategico alleato, che sarà approvato al vertice di giugno a Madrid, è il canale principale per svolgere tale riflessione partendo dagli obiettivi che si pone l’Occidente nei confronti di Mosca, dai modi e mezzi per raggiungerli, e l’Italia ha tutto l’interesse a contribuirvi attivamente. La Russia era già una delle due priorità del dibattito transatlantico nella prospettiva 2030, insieme alla Cina, e lo sarà ancora di più visto il cambiamento geopolitico imposto con le armi dal Cremlino in Europa.
Una strategia alleata solida e di lungo periodo verso Mosca è la base migliore, e più legittima, per la pianificazione che i comandi militari dovranno aggiornare rispetto a scenari drammatici e in base agli sviluppi in Bielorussia, nell’Ucraina orientale, e nel resto del Paese pacifico e sovrano che sta subendo l’aggressione russa.
Foto di copertina EPA/RAZVAN PASARICA