L’aggressione russa all’Ucraina ha finora provocato la fuga di oltre 6,8 milioni di profughi. La maggior parte dei rifugiati ucraini ha raggiunto – almeno in un primo momento – Paesi confinanti come la Polonia (3,6 milioni), la Romania (989 mila), l’Ungheria (682 mila), la Moldavia (479 mila) e la Slovacchia (461 mila).
Tuttavia, molti si sono presto spostati verso altri Paesi membri dell’Unione europea, anche per la presenza di numerose comunità della diaspora ucraina, come nel caso dell’Italia. Dal 24 febbraio, oltre 110.000 rifugiati si sono trasferiti in Italia e il governo ha stanziato sinora circa 900 milioni di euro per favorirne l’accoglienza, dirigendo i fondi sia verso le famiglie che li hanno accolti sia verso il sistema di accoglienza diffusa.
Migrazioni: un tema divisivo e una frattura tra gli Stati
In Italia, come nel resto d’Europa, l’arrivo nell’arco di pochi mesi di milioni di profughi ha messo a dura prova un impianto di policy su migrazioni e asilo ancora oggetto di accese negoziazioni.
A differenza, tuttavia, di quanto accaduto alcuni anni fa in occasione della cosiddetta ‘crisi dei rifugiati’, la prima risposta europea è stata in questo caso tempestiva e – per certi versi – inaspettata: la decisione di applicare immediatamente la Direttiva sulla Protezione Temporanea ai profughi in fuga dall’Ucraina garantisce loro la possibilità di accedere alla protezione internazionale e a una serie di servizi essenziali (scuola, sanità, inserimento nel mondo del lavoro) senza dover transitare attraverso i sistemi d’asilo nazionali, già sotto pressione e spesso caratterizzati da lunghe procedure burocratiche.
L’approccio restrittivo dell’Ue alle migrazioni –caratteristico degli ultimi anni – è emerso anche in questo momento straordinario, giacché agli Stati membri è stata concessa maggiore flessibilità nel riconoscimento della protezione temporanea per i cittadini di Paesi terzi in fuga dall’Ucraina. Non vanno poi dimenticate le denunce di respingimenti di migranti extra-europei alle frontiere polacche.
Oltre a richiedere un completo superamento di qualsiasi forma di doppio standard che dovesse emergere nell’implementazione delle normative europee, l’attuale risposta emergenziale alla guerra in Ucraina spinge a chiedersi se l’Ue si trovi ad affrontare un cambiamento strutturale delle proprie politiche sulle migrazioni o se invece si tratti di una mera deviazione dall’impostazione restrittiva adottata da tempo.
Le posizioni in Europa sono infatti cristallizzate da anni: i Paesi di primo arrivo dei flussi migratori nel Mediterraneo, come Italia, Spagna e Grecia, richiedono meccanismi di redistribuzione dei richiedenti asilo verso gli altri partner europei, mentre i Paesi dell’Europa orientale hanno sempre rifiutato simili soluzioni e altri Stati europei hanno richiamato la necessità di agire in primo luogo per il rafforzamento della frontiera esterna europea.
Il risultato di questa divergenza è stata l’adozione di una politica restrittiva nei confronti dei flussi migratori, spesso implementata esternalizzando le responsabilità di gestione delle migrazioni ai partner al di fuori dell’Ue.
Tali posizioni sono state messe alla prova dall’ondivago andamento degli arrivi attraverso il Mediterraneo: nel caso dell’Italia, gli ultimi due anni hanno visto un nuovo aumento degli arrivi irregolari (circa 67 mila nel 2021). Nel 2022 l’andamento pare nuovamente in crescita, con oltre 18 mila arrivi irregolari prima della fine di maggio, paragonati ai circa 14 mila registrati nello stesso periodo dell’anno precedente.
La crisi ucraina sembrava invece offrire l’opportunità per un riallineamento di interessi fra gli Stati membri dell’Ue, sinora quasi sempre incapaci di trovare un compromesso per rafforzare il Sistema di Asilo Comune Europeo. Paesi come l’Italia non hanno nascosto l’aspettativa che l’improvviso arrivo di milioni di profughi in Paesi tradizionalmente ostili a ogni schema di ricollocamento potesse aprire una nuova strada verso un compromesso europeo in tal senso. Tuttavia, i Paesi dell’Europa orientale si sono dimostrati molto accorti nel loro tentativo di non creare alcun precedente nel momento in cui sono diventati essi stessi Paesi di primo arrivo sul fronte orientale. La via del compromesso sembra, dunque, ancora difficile.
Verso un nuovo patto sull’asilo?
La presidenza francese del Consiglio dell’Ue ha lavorato di concerto con la Commissione europea per la rapida adozione della Protezione Temporanea, ma, per quanto concerne l’impalcatura generale delle politiche migratorie europee, si trova di fronte a uno stallo politico ormai consolidato. La presidenza di turno ha, dunque, adottato un approccio graduale, riconoscendo le difficoltà incontrate dal Nuovo Patto sulle Migrazioni e l’Asilo promosso dalla Commissione nel settembre 2020.
Esso si fondava sull’idea che, dopo anni di mancato accordo fra gli Stati membri, un compromesso fosse possibile solo tramite un approccio comprensivo che mettesse sul tavolo le varie dimensioni della politica migratoria europea, dalla solidarietà interna al sostegno ai sistemi nazionali di asilo, dalle migrazioni legali al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne e della collaborazione con i Paesi terzi. Tuttavia, anche questa proposta di grand bargain non ha dato i frutti sperati, scontrandosi con i diversi interessi nazionali in gioco.
Sebbene la presidenza francese non abbia rinnegato l’obiettivo di lungo periodo di un accordo comprensivo, di fronte a tali difficoltà ha, quindi, deciso di dirigere i propri sforzi verso alcune questioni prioritarie su cui si ritiene che dei passi in avanti concreti siano più facilmente raggiungibili: fra queste, un maggiore sostegno europeo ai sistemi nazionali per la gestione delle richieste d’asilo ai confini; il rilancio dei rimpatri verso i Paesi terzi; e meccanismi di breve periodo per favorire maggiore solidarietà fra i Paesi dell’Ue, affiancati da una più stringente regolamentazione dei movimenti secondari dei migranti.
Tuttavia, il Consiglio Europeo del 30-31 maggio ha mostrato come l’agenda europea in materia migratoria stia attraversando un cambiamento di priorità, quantomeno in termini relativi: i leader europei si sono infatti concentrati su questioni chiave che solo indirettamente potranno avere delle significative ripercussioni sulle dinamiche migratorie interne ed esterne all’Ue, come l’assistenza umanitaria per i rifugiati ucraini e la temuta crisi alimentare in Africa, ma che, al momento, spostano in secondo piano la formulazione di una riforma strutturale.
È comunque troppo presto per stabilire se nell’Ue le discussioni su migrazioni e asilo stiano finalmente sperimentando una de-politicizzazione che favorisca un compromesso strutturale. Sembra invece più probabile che, nonostante il dirompente effetto della guerra sull’agenda europea, gli arrivi irregolari attraverso il Mediterraneo rimarranno un fattore divisivo, spingendo i Paesi europei a mantenere l’attuale linea restrittiva.
Foto di copertina EPA/DUMITRU DORU