Nell’Italia repubblicana la sequenza delle visite a Washington dei capi di Governo era iniziata con la ben nota missione dell’allora Presidente del Consiglio, Alcide de Gasperi, del 17 gennaio 1947, che si recò nella capitale americana per ottenere aiuti economici e impegni americani a sostegno dei progetti di ricostruzione dell’Italia. Da allora praticamente non c’è stato capo del Governo italiano che non abbia effettuato una visita a Washington per ribadire l’importanza del rapporto con gli Usa. E ottenere dal Presidente americano di turno la patente di alleato affidabile.
C’è chi l’ha fatto molto rapidamente dopo l’insediamento a Palazzo Chigi. E chi ha dovuto aspettare più a lungo. Naturalmente le agende di queste visite mutavano in funzione delle circostanze. Così come l’atmosfera dei colloqui era in parte condizionata dalla maggiore o minore convergenza di sensibilità politiche degli interlocutori.
Tutto questo per ricordare che la visita della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni nella capitale americana si iscrive in una prassi consolidata e in un rituale ben sperimentato. Se mai colpisce che Meloni abbia dovuto aspettare quasi otto mesi per effettuare la sospirata visita a Washington. Forse sotto questo profilo ha pesato l’iniziale diffidenza di Biden nei confronti di Meloni, tutto compreso poco conosciuta, e circondata da qualche sospetto a Washington. Ma va anche ricordato che Meloni, dal suo insediamento a Palazzo Chigi ad oggi, aveva avuto varie occasioni di incontrare Biden in contesti multilaterali come nei vertici G20, G7, e NATO.
La convergenza sull’Ucraina
Le premesse della visita erano complessivamente positive. Giorgia Meloni sin dall’inizio del suo mandato aveva garantito il massimo della continuità rispetto al Governo Draghi sulla guerra in Ucraina. Piena adesione alla linea occidentale, di condanna dell’aggressione russa, convinta partecipazione alle sanzioni contro la Russia, pieno sostegno all’Ucraina, ivi compreso con la fornitura di armi (anche se questo fronte l’Italia ha contribuito meno di altri alleati), e impegno per una NATO più autorevole e più credibile.
Per Washington queste scelte del Governo Meloni, per quanto anticipate dal posizionamento di Fratelli di Italia quando era all’opposizione del Governo Draghi, non erano scontate, considerate le sensibilità filo-russe di altre componenti della maggioranza che sostiene il Governo. Biden e Meloni hanno quindi potuto confermare questa piena convergenza, come d’altronde ribadito dalla dichiarazione congiunta resa pubblica dopo l’incontro. Per Biden era importante poter continuare a contare sul sostegno italiano su questa linea. Per Meloni era altrettanto importante confermare l’allineamento italiano sulla posizione comune definita in sede NATO.
Il tema dei rapporti con la Cina figurava nell’agenda dei colloqui per due motivi. Su un piano generale è noto che gli Usa considerano, con un approccio sintomaticamente “bi-partisan”, la Cina un competitor strategico e una minaccia alla propria sicurezza. E stanno cecando di reclutare alleati in una strategia di containment di Pechino, per la quale ogni occasione è buona per ribadire l’importanza di una linea comune nel trattare con la Cina (oggi sulla carta ispirata al principio del de-risking preso atto che il decoupling non è praticabile).
Con l’Italia poi c’era il tema specifico del futuro del Memorandum of Understanding (MoU), maldestramente firmato nel gennaio 2019 dal primo Governo Conte, sulla partecipazione italiana alla Belt and Road Initiative (BRI). Il rinnovo o la revoca di questo memorandum (che a dire il vero ha prodotto poche conseguenze pratiche) è motivo di imbarazzo per il Governo italiano, che é sottoposto a pressioni crescenti, ma divergenti, da parte di Washington e Pechino. Meloni ha escluso che la questione specifica sia stata direttamente evocata nel colloquio. Ma è noto che Washington vedrebbe con favore una scelta italiana di revoca del MoU. E in questo senso sembra orientarsi il Governo italiano anche se nessuna decisione è stata pubblicamente annunciata. Appare quindi sintomatico che a proposito della Cina la dichiarazione congiunta si limiti ad evocare l’impegno congiunto a consultarsi su come rispondere alle sfide poste dal rapporto con Pechino.
La sfida del Mediterraneo allargato
Ampio spazio è poi stato dedicato nel colloquio al tema della stabilità e prosperità della regione del Mediterraneo allargato, e al tema dei rapporti con l’Africa, su cui il Governo italiano ha deciso di puntare non solo come priorità dell’azione nazionale, ma anche come tema su cui coinvolgere il G7 ed altre istituzioni internazionali. Da tempo il l’Italia sta cercando di coinvolgere una serie di Paesi africani in iniziative di collaborazione in cui figurano cooperazione economica ed energetica, e gestione ordinata dei flussi migratori. E l’incontro con Biden era una occasione preziosa per sollecitare un sostegno americano a queste iniziative.
La Tunisia non poteva non avere un suo ruolo specifico in questo contesto dato l’impegno dell’Italia per la stabilità e la tenuta di questo Paese, anche in funzione di contenimento dei flussi di migranti. Difficile però che Biden abbia potuto fornire garanzie esplicite di un sostegno americano allo sblocco del prestito del Fondo Monetario Internazionale. E appare sintomatico che nella dichiarazione congiunta si parli di sostegno al popolo tunisino (non al Governo di Tunisi) e ci si limiti a ricordare l’interesse delle due parti per una Tunisia prospera, sicura e “democratica”.
Più in generale e al di là di un generico sostegno americano per le iniziative avviate dall’Italia sul tema dei rapporti con Mediterraneo e Africa, sembra difficile che Biden abbia potuto promettere misure o iniziative concrete dato che da tempo gli Usa sembrano avere optato per una linea di disimpegno dal Mediterraneo e di non coinvolgimento nelle crisi di questa regione. Che ci piaccia o meno Africa e Mediterraneo non figurano tra le priorità di questa Amministrazione americana.
Italia “partner affidabile”
In sintesi la visita (nel corso della quale la Presidente del Consiglio ha avuto anche incontri con esponenti repubblicani e democratici del Congresso) sembra avere consolidato a Washington l’immagine di Meloni come partner affidabile su cui gli USA possono contare per alcune sfide specialmente qualificanti. E questo al di là delle differenze di sensibilità politiche su alcuni temi sensibili (prima fra tutte le questioni dei diritti delle persone LGTB+ o della maternità surrogata) che restano divisivi, perché hanno motivazioni radicate nelle rispettive tradizioni e culture politiche e nelle sensibilità dei rispettivi elettorati, e che né Meloni né Biden hanno voluto nascondere.
Una visita preparata da tempo che non ha fatto registrare sorprese (a parte la scelta di Meloni di rinunciare alla conferenza stampa insieme al Presidente americano preferendo un incontro separato con la stampa italiana), che è servita a ribadire le scelte di campo del Governo italiano, e forse anche per qualche giorno ad allentare la pressione sulle numerose questioni di politica (revisione del PNRR, incendi e calamità naturali, salario minimo ecc.) su cui il Governo deve confrontarsi quotidianamente.
Foto di copertina EPA/Yuri Gripas / POOL