Emmanuel Macron ha vinto, com’era largamente prevedibile, le presidenziali di questo aprile 2022, ma una nuvola fa capolino sull’alba del suo secondo (e ultimo, per ragioni costituzionali) mandato all’Eliseo: il voto al ballottaggio è stato più un rifiuto dell’estrema destra di Marine Le Pen che una reale adesione al programma politico del vincitore. I dubbi dell’opinione pubblica sul presidente uscente-rientrante rimangono. Non sono né pochi né piccoli.
Parlando la sera del 24 aprile alla folla dei suoi sostenitori, Macron ha lasciato intendere che moltiplicherà gli sforzi per riunificare una Francia divisa. Non vuole essere identificato con la parte più dinamica dell’economia e della società. Promette di fare di più per prendere in conto i bisogni di chi ha la sensazione (talvolta l’agoscia) del “restare indietro”.
Ha interesse a far seguire i fatti alle parole, perché altrimenti rischia di dover fronteggiare altre situazioni di crisi interna e di rivolta sociale come quelle da lui sperimentate negli anni scorsi. Forse anche peggio. La “pentola” della società francese non ha smesso di bollire, anche se i gilet gialli non sono più nelle strade e i servizi pubblici non sono più in sciopero.
Tre cifre per capire il voto
L’aritmetica del secondo turno elettorale è racchiusa in tre cifre: Macron ha avuto il 58,54% dei voti, Marine Le Pen il 41,46% e circa il 28% degli aventi diritto si è astenuto. Le astensioni al ballottaggio non erano mai state così tante dal 1969. Per quanto molto buono, il risultato di Macron è inferiore a quello (intorno al 66% contro 34%) da lui conseguito cinque anni fa di fronte alla stessa rivale. La candidata Le Pen del 2022 è più forte di quella del 2017: ha messo radici nel paesaggio politico francese, è meno isolata e vuole contare di più anche in Parlamento. Il dato dell’astensione è un campanello d’allarme. Per di più, molti elettori hanno infilato nell’urna schede bianche o nulle.
Per Macron non sono bei segnali. Ha bisogno di fiducia vera. Deve dimostrare di essere il migliore, non di essere solo il meno peggio. Deve convincere i connazionali che sta dando risposte ai loro problemi. Il primo è il carovita ed è su questo terreno che deve agire in fretta. La guerra in Ucraina e la spirale delle sanzioni alla Russia stanno frenando il rilancio delle nostre economie dopo la crisi del Covid. Essendo anche, fino alla metà di quest’anno, presidente di turno dell’Unione europea, Macron ha la possibilità e il compito di delineare una risposta complessiva a problemi complessi. Ha voluto il potere? Questo è il momento di dimostrare che sa esercitarlo.
Un fitto calendario elettorale
La politica francese resta condizionata da un calendario elettorale straordinariamente intenso, che non lascia respiro ai partiti e che peserà sui comportamenti dell’Eliseo in queste settimane successive alle presidenziali. Il 12 e il 19 giugno gli elettori torneranno alle urne per scegliere i 577 membri dell’Assemblea nazionale. Il partito di Macron (La République en marche, LREM) non è riuscito in questi anni a consolidarsi sul territorio. Le elezioni comunali e regionali hanno dimostrato questo suo tallone d’Achille.
In assenza di un reale radicamento locale, Macron può vincere le elezioni legislative di giugno solo facendo leva sulla sua necessità di avere un Parlamento amico per realizzare il proprio programma. Moltissimi francesi non lo hanno eletto in base al programma, per questo è possibile che l’Eliseo non possa più contare all’Assemblea nazionale su una maggioranza solida e precostituita. Al tempo stesso è perfettamente possibile che nessuna forza d’opposizione ottenga, a sua volta, la maggioranza dei 577 deputati (Socialisti, Verdi e Républicains stanno ancora leccandosi le ferite del loro disastroso primo turno presidenziale del 10 aprile).
La possibilità della maggioranza allargata
Si potrebbe dunque arrivare a un rapporto inedito tra Eliseo e Parlamento. Qualcosa di diverso dalla tradizionale relazione imperniata sull’Eliseo (come ad esempio negli scorsi cinque anni), ma anche dai tre periodi di “coabitazione” (1986-88, 1993-95; 1997-2002) tra presidenti e governi di segno politico opposto tra loro.
È possibile che una fase nuova stia per cominciare in Francia, con la nascita (dopo le elezioni di giugno) di una maggioranza allargata. In tal caso Macron dovrebbe rassegnarsi a cedere una parte del potere reale ai partiti che lo sosterranno. Macron potrebbe in un certo senso (e fatti tutti i dovuti distinguo) avere un’evoluzione in stile Draghi. Farebbe i conti con una maggioranza eterogenea, tenuta insieme dalla sua forte personalità, dalle impellenti necessità del momento e dalla mancanza d’alternative.
Questa è ovviamente solo un’ipotesi, formulata per dimostrare che i giochi della politica interna francese restano aperti. Certo più aperti di quanto si possa immaginare a prima vista sulla base degli ultimissimi risultati elettorali. Vedremo che accadrà in giugno e poi tante cose si chiariranno. Una cosa è certa: il 24 aprile, i francesi hanno rieletto Macron senza firmargli un assegno in bianco.
Foto di copertina EPA/GUILLAUME HORCAJUELO