C’è ancora grande incertezza sull’esito finale delle elezioni di metà mandato – o Midterm, come ci siamo abituati a scrivere anche in Italia – negli Stati Uniti. Il risultato finale è destinato ad avere importanti ripercussioni sulla politica interna americana. Né mancano implicazioni per la posizione degli Stati Uniti nel mondo.
Governo diviso, governo bloccato
Se i Repubblicani dovessero conquistare tutto il Congresso o anche solo la Camera dei Rappresentanti (possibile la prima opzione, probabile la seconda), è lecito aspettarsi un blocco pressocché totale dell’agenda legislativa del presidente Joe Biden, che dipende dalla capacità di trovare maggioranze in entrambe le camere.
In passato non era inusuale che si trovasse consenso tra presidenti e maggioranze al Congresso di partiti opposti, ma la tradizione bipartisan è andata affievolendosi negli anni ’90 e si è inaridita quasi del tutto durante la presidenza di Barack Obama.
Biden dovrebbe quindi governare a colpi di ordini esecutivi – spesso suscettibili di essere contestati in tribunale – e prepararsi a dure battaglie su quelle leggi senza l’approvazione delle quali la macchina governativa non può funzionare.
Tra queste la più rilevante è l’innalzamento del tetto del debito pubblico, una procedura che dovrebbe essere automatica (senza il governo federale andrebbe in default tecnico perché non potrebbe onorare il debito) ma che in passato i Repubblicani hanno usato come arma di ricatto contro Obama.
Inoltre, i Repubblicani possono ricorrere ai poteri di inchiesta del Congresso per complicare la vita all’Amministrazione. Il leader dei Repubblicani alla Camera Kevin McCarthy ha promesso diverse indagini, anche su Hunter Biden, il figlio del presidente. E a destra c’è chi vuole l’impeachment di Biden.
Se i Repubblicani dovessero conquistare anche il Senato avrebbero poi l’autorità di condizionare le nomine presidenziali dei membri del gabinetto, degli ambasciatori e soprattutto dei giudici federali, inclusa l’ultrapotente Corte Suprema.
In definitiva, a meno che ai Democratici non riesca il miracolo di mantenere la maggioranza al Congresso, si prospetta una fase di alta litigiosità interna negli Stati Uniti. Ciò è del tutto in linea con la polarizzazione che si è andata consolidando anche e soprattutto come conseguenza della radicalizzazione del Partito Repubblicano (quello Democratico continua a essere una grande coalizione che include centristi e progressisti di vario genere).
L’immagine di un governo disfunzionale e di un sistema politico perennemente diviso e anche delegittimato dall’interno non è di nessun beneficio alla reputazione e conseguentemente al soft power americano, rendendo più difficile l’azione di Biden in politica estera, un ambito su cui costituzionalmente ha piena autorità.
Luci oltre le ombre
Eppure il quadro non è del tutto negativo per Biden, né per il prestigio degli Stati Uniti. Qualunque sia l’esito finale – e ci potrebbero voler settimane prima di saperlo – alcune conclusioni si possono già trarre dalle elezioni di Midterm che lasciano intravedere un futuro meno fosco.
La tanto annunciata ‘onda rossa’ che avrebbe dovuto travolgere i Democratici (negli Usa il rosso è il colore della destra) non si è materializzata perché l’elettorato progressista si è mobilitato in difesa dell’aborto – che i Repubblicani vorrebbero proibire, a volte in tutti casi – e contro la delegittimazione delle pratiche democratiche da parte dall’ex presidente Donald Trump e dei suoi molti sostenitori, che pur senza prove contestano la regolarità dell’elezione di Biden nel 2020.
È degno di nota che Biden abbia interrotto la ‘tradizione’ in base alla quale il partito del presidente accusa perdite, spesso molto gravi, alle elezioni di metà mandato perché diritti e democrazia sono emersi come moventi altrettanto potenti delle più tradizionali questioni economiche, tanto più in un anno ad alta inflazione come questo.
Non a caso ad arrancare tra le fila dei Repubblicani sono stati proprio alcuni dei candidati sostenuti da Trump, che sono usciti sconfitti in Pennsylvania e potrebbero perdere in Arizona, Nevada e Georgia. Se due su tre restano in mano ai Democratici, le scelte di Trump saranno costate il Senato ai Repubblicani. La stella dell’ex presidente si è pertanto appannata anche in campo conservatore, al punto che molti Repubblicani vogliono che Trump ritardi l’annunciata candidatura alle presidenziali 2024 per evitare un possibile effetto negativo sul ballottaggio in Georgia.
Che protezione del sistema elettorale e del diritto all’aborto siano state questioni decisive lo si evince dal fatto che negli stati in cui effettivamente erano a rischio la performance dei Democratici è stata formidabile, mentre è stata deludente in altri casi.
Nello stato tradizionalmente progressista di New York, per esempio, i Democratici hanno perso diversi seggi alla Camera (che potrebbero risultare decisivi), in linea con le aspettative per il partito di un presidente relativamente impopolare alle elezioni di metà mandato. In Georgia il governatore repubblicano Brian Kemp, che nel 2020 difese la legittimità del voto (lo stato andò a Biden) dagli attacchi di Trump, è stato comodamente rieletto contro una delle stelle del Partito Democratico, Stacey Abrams.
Ma il caso più eloquente è quello della Florida, dove il governatore Ron DeSantis, un ultraconservatore che però non si è mai associato alla narrativa dell’elezione rubata nel 2020 e che ha adottato una posizione più moderata sull’aborto, ha stravinto la rielezione. DeSantis, che ha saputo mettere insieme una coalizione elettorale che abbraccia anche una parte significativa della comunità latina, è l’astro nascente del Partito Repubblicano e il maggiore contendente di Trump per la nomina a candidato presidenziale nel 2024.
L’inizio della fine dell’era dell’iperpolarizzazione?
In conclusione, il messaggio di queste elezioni di Midterm è che l’elettorato americano, là dove i seggi sono effettivamente competitivi, tende a preferire candidati che accettano le regole del gioco democratico, rifuggono da posizioni fondamentaliste su temi come l’aborto, e sono aperti ad articolare in senso meno rigidamente e ideologico l’agenda di partito, progressista o conservatrice che sia.
Si tratta forse di un primo segnale che l’epoca dell’iper-polarizzazione potrebbe aver oltrepassato il punto di massima espansione. Se è così, a beneficiarne non sarà solo Biden, ma gli Stati Uniti nel complesso e conseguentemente i Paesi che in un modo o nell’altro dipendono dagli Stati Uniti per la loro sicurezza, benessere e financo tenuta democratica.
Foto di copertina EPA/SHAWN THEW