Con la Dichiarazione congiunta della Commissione europea e dell’Alto Rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza del 18 maggio si è posato un altro mattone nella costruzione dell’Europa della difesa.
La guerra russa contro l’Ucraina continua inevitabilmente e giustamente, visto la gravità di quanto sta avvenendo, finisce con l’attirare tutta l’attenzione, insieme alle sue conseguenze dirette sulle forniture di energia e di grano. Non stupisce, quindi, che questo tipo di iniziative finiscano con il passare sotto silenzio.
Una linea di azione comune
L’aggressione russa sta imprimendo una nuova e più forte accelerazione del processo di integrazione della difesa europea, dopo quella impressa dalla sconfitta e dalla fuga occidentale dall’Afghanistan. E questo finisce col danneggiare gli Stati membri meno pronti ad adeguarsi al cambiamento perché si stanno scrivendo o riscrivendo molte regole del gioco e potrebbero essere favoriti soggettivamente e oggettivamente alcuni giocatori europei. In ogni caso, se ne avvantaggeranno quelli che si saranno preparati prima e meglio ad applicarle.
Su questo terreno, purtroppo, l’Italia paga sempre un prezzo elevato perché sconta un sistema decisionale lento e una normativa complicata, farraginosa e inadeguata in moltissimi campi, fra cui quello della difesa. L’unica novità negli ultimi anni è il ringiovanimento della dirigenza delle Amministrazioni coinvolte e, nell’ultimo biennio, la presenza di un Governo che cerca di far fronte alle molteplici sfide che si susseguono. Ma questo non può bastare perché sono troppi i lacci e lacciuoli che avviluppano ogni processo decisionale.
La Dichiarazione congiunta è il risultato dell’incarico assegnato dal vertice informale dei Capi di Stato e di governo di Versailles dell’11 marzo. Ha, quindi, coinvolto il più alto livello politico degli Stati membri e i livelli comunitario e intergovernativo dell’Unione Europea. Da questo punto di vista, una volta che il Consiglio europeo di fine mese avrà espresso il suo parere sulle raccomandazioni che vi sono contenute, la linea di azione comune risulterà definita e dovrà essere messa in atto.
I tempi sono, quindi, stretti, anche tenendo conto che nei mesi scorsi sono stati definiti altri importanti documenti strettamente collegati che insieme forniscono l’intero quadro delle iniziative da avviare: il Defence Package della Commissione europea il 15 febbraio e lo Strategic Compass del 23 marzo. Sullo sfondo un ulteriore contributo è venuto dall’Agenzia europea di difesa con il suo documento Scoping EU Defence Investment Gaps del 29 aprile.
Una difesa comune potenziata
La Dichiarazione congiunta parte da una cruda constatazione delle carenze europee praticamente in ogni dominio capacitivo e prevede tre obiettivi per gli investimenti europei della difesa: Together (quindi programmi di cooperazione nella ricerca e sviluppo tecnologico e nell’acquisizione, anche per contenere i costi); Better (quindi focalizzandosi sulle priorità identificate come europee nelle capacità da soddisfare); European (quindi un’industria europea più competitiva poiché il rafforzamento della base tecnologica e industriale europea è diventato strategico in un quadro geostrategico deteriorato).
Dal 24 febbraio vi è anche una forte preoccupazione per il rischio determinato dall’urgenza di acquisire nuovi equipaggiamenti da parte di molti Stati membri (perché i loro sono superati o non sono sufficienti o, in alcuni casi, sono ancora quelli ereditati dal Patto di Varsavia, oltre alle dismissioni a favore dell’Ucraina).
Una risposta in ordine sparso comporta maggiori costi, un aumento della disomogeneità fra i mezzi in dotazione alle Forze Armate europee e l’inevitabile ricorso alle acquisizioni negli Stati Uniti (che, avendone un elevato numero, in servizio e nei depositi, possono cederli più facilmente e, che, avendo una grande capacità industriale, possono produrli tempestivamente). Ancora peggio, un’eventuale completa saturazione della domanda si rifletterebbe negativamente sulle prospettive di mercato dei nuovi equipaggiamenti europei che si stanno sviluppando anche grazie all’EDF, il fondo comune per la difesa europea.
Le proposte per superare l’impasse sulla difesa
Per far fronte a questi rischi la Dichiarazione avanza alcune proposte concrete:
- Costituire una Defence Joint Procurement Task force che punti a coordinare gli acquisti degli Stati membri nel breve termine. In questo modo sarebbe possibile, anche col contributo dei maggiori paesi, offrire più facilmente soluzioni che, caso per caso, concilino esigenze nazionali ed europee.
- Al fine di incentivare gli acquisti congiunti da parte degli Stati membri e in questo modo rafforzare le capacità industriali militari europee, stabilire un nuovo strumento finanziario con una dotazione di 500 milioni per il periodo 2022-24.
- Predisporre un EU framework for Defence Joint Procurement attraverso gli attuali strumenti in ambito EDF e EDA e uno nuovo, un regolamento che istituisca un European Defence Investment Programme (EDIP). Quest’ultimo dovrebbe definire i criteri e le condizioni per costituire un European Defence Capability Consortium (EDCC) fra gli Stati membri interessati ad acquisire equipaggiamenti prodotti attraverso la cooperazione europea e/o gestire il successivo supporto logistico e ammodernamento. Questi consorzi potrebbero ottenere l’esenzione IVA e utilizzare la flessibilità prevista dalla normativa europea sugli acquisti militari, evitando le procedure competitive.
Preparare un rafforzamento finanziario dell’EDF in occasione della revisione intermedia del Multiannual Financial Framework (MFF). - Puntare ad un maggiore sostegno dell’industria della difesa e degli acquisti comuni da parte dell’European Investment Bank, andando al di là della recente apertura ai prodotti ad uso duale.
Come era inevitabile, anche per il tempo limitato disponibile per definire questo insieme di proposte e condividerlo fra le diverse istituzioni europee coinvolte, non tutte le proposte sono state sufficientemente articolate. Fra queste, vi è una chiara procedura per definire cosa è davvero un programma “europeo” e, di conseguenza, l’attribuzione di questo compito all’EDA, l’organismo europeo più qualificato a questo fine.
Coordinare la nuova azione europea
Poiché il diavolo sta quasi sempre nei dettagli, molto dipenderà da come le diverse iniziative si concretizzeranno. Sarà, quindi, necessario partecipare attivamente e costantemente a queste attività dell’Unione europea. Per l’Italia questo comporterà, però, un maggiore numero di persone qualificate a Bruxelles e a Roma e uno stretto coordinamento fra loro. In quest’ottica l’attivazione del Tavolo per la Politica industriale della Difesa previsto dalla Direttiva del Ministro della Difesa dello scorso luglio può assicurare sia il coordinamento interno alla Difesa sia quello interministeriale.
Vi sono poi alcune carenze che dovranno essere prima o poi sanate dall’Unione Europea. In particolare si dovrebbe mettere mano ad un adeguamento della normativa europea dedicata al mercato della difesa: le attività di cooperazione dovrebbero essere esentate sia alla normale competizione sia al normale controllo sui trasferimenti intra-comunitari di prodotti militari. Ancora di più, il finanziamento europeo dei programmi di ricerca e sviluppo in cooperazione dovrebbe poter coprire anche la realizzazione dei prototipi e non fermarsi ai dimostratori tecnologici.
Sullo sfondo resta, invece, una grande sfida politica: arrivare all’esclusione delle spese riconosciute come “europee” dal Patto di Stabilità, affermando una volta per tutte il principio che la sicurezza e la difesa europea sono un obiettivo comune per tutti gli Stati membri.
Foto di copertina EPA/STEPHANIE LECOCQ