Sotto pressione per il prolungarsi del conflitto in Ucraina, molti Paesi importatori di energia stanno rivedendo le politiche di approvvigionamento attraverso (a) nuove partnership per l’import di risorse (fossili e non); (b) la revisione dei programmi di transizione energetica e (c) il contenimento dei consumi. E sebbene gli effetti di lungo periodo del conflitto siano ancora indecifrabili, è probabile che quelli di breve termine possano incidere in maniera significativa sul nostro modus vivendi.
In particolare sul trasporto privato, settore all’avanguardia del progresso tecnologico ma anche caratterizzato dall’essere una fonte rilevante di inquinamento (e di gas serra) e dal problema dei decessi su strada, principale causa di morte prematura a livello globale, in particolare nella fascia di età 5-29. Un quadro delicato dunque, che richiede una decisa azione di policymaking in campo ambientale (visto che da almeno vent’anni stiamo cercando di decarbonizzare i nostri modelli di consumo, rendendo opinabile l’aumento della potenza dei veicoli che si è verificato nello stesso periodo) e a livello di sicurezza del traffico, perché ignorare i limiti di velocità uccide oltre 1,3 milioni di persone e ne ferisce cinquanta milioni all’anno.
Inquinamento urbano e decessi stradali
C’è dunque spazio per fare di più. E se lo sforzo prodotto per abbandonare i motori a combustione contribuirà in maniera importante a ridurre l’inquinamento urbano, rimane da capire l’impatto che tale transizione avrà sulla causa primaria dei decessi stradali: il mancato rispetto dei limiti. Così come quelli termici, anche i motori elettrici sono infatti in grado di raggiungere velocità elevate, con l’aggravante di raggiungerle in molti casi anche in tempi inferiori – e quindi di risultare anche più pericolosi dei loro predecessori, soprattutto nelle aree urbane. Risulta dunque fondamentale contenere la velocità alla fonte, riducendo la potenza dei motori.
Quali che siano le tecniche di moderazione del traffico, tali espedienti non hanno infatti ridotto il numero di vittime. Ed è significativo che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, per rendere più sicura la circolazione, proponga una serie di linee guida trascurando però il tema della riduzione di velocità. Sul tema, l’industria automobilistica ha già provveduto a formulare proposte per contenere la velocità massima dei veicoli a 180 km/h. Un passo avanti, sicuramente. Ma forse non sufficiente per fare rispettare i limiti – molto più bassi e validi per qualsiasi cilindrata in tutto il mondo.
Cosa può fare il legislatore
C’è dunque bisogno di un’azione più incisiva da parte del legislatore/regolatore. A questo proposito, un’interessante iniziativa è stata recentemente intrapresa dall’Unione europea, che ha reso obbligatoria la dotazione di inediti sistemi di sicurezza (quali ad esempio l’’alcolock’ e l’’intelligent speed adaptation’, ISA) per tutti i veicoli di nuova immatricolazione. Misure promettenti ma che tuttavia, anche in questo caso, non affrontano il tema dell’eccesso di velocità. In primis, perché la guida in stato di ebbrezza non è che una delle cause dei decessi su strada. Secondariamente, perché è previsto che gli strumenti ISA possano essere disconnessi o ignorati dal conducente.
Il problema degli incidenti sarà inoltre probabilmente aggravato (a) dalla crescita della popolazione globale e (b) dal conseguente aumento del parco macchine, soprattutto nei paesi a più alta crescita demografica, dove maggiore è il numero dei morti. Parallelamente alla riduzione della potenza dei motori di auto e moto, occorre dunque individuare nuovi strumenti per aumentare la sicurezza del traffico. Ad esempio, prevedendo l’installazione di mappe GPS dei limiti di velocità, così da determinare elettronicamente la velocità massima a cui viaggiare. Ciò potrebbe rappresentare un cambiamento epocale per il settore, in quanto concorrerebbe a limitare i costi di produzione e potrebbe comportare una riduzione potenzialmente significativa del prezzo al dettaglio.
Contestualmente, tali misure libererebbero risorse finanziarie (oltre che umane) per altri aspetti critici, come comfort e sicurezza. A livello sociale, poi, queste misure potrebbero contribuire a (i) ridurre i costi dell’assistenza sanitaria post-incidenti; (ii) diminuire i premi assicurativi; (iii) prolungare il ciclo di vita dei veicoli. Infine, potrebbero rappresentare un modo efficace per migliorare la conformità ESG del settore e la sua immagine.
Cosa può fare il mondo della finanza
In questo contesto, il mondo della finanza può svolgere un ruolo abilitante. Per quanto riguarda quella pubblica, potrebbe (a) sostenere l’emissione di “titoli di sostenibilità” per finanziare la transizione tecnologica descritta; (b) prevedere crediti d’imposta sia per i produttori che per i clienti finali. Il settore bancario, invece, potrebbe contribuire (a) includendo i suddetti standard tecnologici nei propri requisiti ESG, applicando a sua volta condizioni di prestito favorevoli a chi è conforme; (b) sottoscrivendo le obbligazioni di sostenibilità sopra descritte. Infine, in un contesto di crescente attenzione ai nuovi sistemi di pagamento, anche le banche centrali potrebbero ritagliarsi un ruolo importante nella transizione energetica attraverso le loro valute digitali, ad esempio concedendo condizioni vantaggiose ai depositanti per acquistare e installare sui loro mezzi di trasporto le nuove tecnologie per la sicurezza veicolare.
Foto di copertina EPA/ADI WEDA