A meno di un mese dall’annuncio dello storico accordo marittimo Libano-Israele, la Corte suprema israeliana spiana la strada per la ratifica, respingendo le petizioni che avrebbero costretto il governo di Yair Lapid a sottoporre la bozza di accordo ad un voto in parlamento (Knesset).
La firma ufficiale potrebbe avvenire già giovedì, 27 ottobre, dopo l’assenso del Presidente libanese uscente Michel Aoun il 13 ottobre, e il voto favorevole del governo israeliano il giorno prima. Sebbene non vi sarà un voto nella Knesset, il testo ha comunque subito una verifica parlamentare, passaggio giudicato sufficiente dalla Corte suprema che ha così disinnescato i tentativi dell’opposizione, in primis del ex-Primo Ministro Benjamin Netanyahu, di ritardarne la ratifica in vista delle elezioni del primo novembre.
Tutto sembra quindi pronto per la ratifica. Rimangono però varie incognite sull’implementazione dell’accordo e più in generale sulla sua tenuta nel tempo visti i difficili rapporti tra Israele e Libano. In questo ambito va anche considerato l’assetto regionale, in particolare riguardo l’Iran e la Palestina, dove nuovi scontri potrebbero facilmente complicare l’attuazione di quanto negoziato dai rispettivi governi, entrambi agli sgoccioli dei propri mandati.
Accordo spartiacque, ma con fondamenta deboli
La disputa marittima riguarda 860 kmq di acque contese comprendenti i giacimenti di gas di Karish e di Qana-Sidon, rivendicati da entrambi Israele e il Libano. Il percorso negoziale è stato decisamente travagliato. I primi negoziati sono falliti nel 2012, quando il governo libanese rifiutò quanto proposto dal mediatore statunitense Frederic Hof, che avrebbe diviso l’area con un rapporto del 55% per il Libano e del 45% per Israele.
Ripresi i colloqui nell’ottobre 2020, il negoziato è stato gestito dal consigliere per la Sicurezza energetica Usa, Amos Hochstein, nato in Israele e con un passato nell’esercito israeliano. Il Libano aveva inizialmente rivendicato la metà settentrionale della riserva di Karish, proposta fermamente respinta da Israele. Poi, nel giugno 2021, Israele ha annunciato progetti di potenziamento di Karish, scatenando la dura reazione da parte di Hezbollah.
Il compromesso odierno è il risultato di vari fattori. Oltre ai rischi di un’escalation militare e l’accrescere della crisi socio-economica in Libano, anche le scadenze politiche hanno giocato un ruolo, cosi come le pressioni statunitensi sul sempre più isolato e barcollante Libano. Il prossimo 31 ottobre, infatti, terminerà mandato del presidente Aoun, ma il 24 ottobre il parlamento libanese non è riuscito per la quarta volta nel tentativo di eleggere un successore. Il primo novembre invece, Israele terrà le sue quinte elezioni in meno di quattro anni. Qua incombe il ritorno di Netanyahu, politico che al suo tempo aveva dato assenso ai negoziati sul confine marittimo con il Libano ma che oggi avrebbe preferito sottrarre al rivale Lapid una vittoria politica a pochi giorni dalle elezioni.
Cosa prevede l’accordo
L’accordo prevede che Beirut riceva la maggior parte del giacimento di Qana (sebbene a Israele toccherà una quota dei futuri profitti), mentre Tel Aviv ha ottenuto il controllo totale sul giacimento di Karish. Il meccanismo per distribuire eventuali introiti dal giacimento di Qana non è chiaro e andrà negoziato con il coinvolgimento della multinazionale francese Total, che opera e gestisce il giacimento (40%) assieme all’ENI (40%) e il governo libanese.
Questo è un ulteriore elemento che potrebbe complicare l’implementazione dell’accordo. Mentre Israele potrà da subito giovare degli introiti provenienti dal giacimento Karish, ci vorrà del tempo per un’eventuale attivazione di Qana. È anche per questo che in Libano si sono sollevate critiche all’establishment politica, accusata di promettere ingenti risorse dal Mediterraneo senza però avere né l’infrastruttura necessaria per il suo l’utilizzo né la certezza delle effettive quantità di gas a disposizione.
Tra incognite e diplomazia energetica
Questa disparità potrebbe dare spazio ad attori che vogliono impedire che Israele tragga benefici dall’accordo mentre in Libano continua a peggiorare la situazione socio-economica. Assieme alle incognite sul futuro Presidente libanese, la tenuta di un paese sull’orlo della bancarotta e oggi alle prese con un’epidemia di colera sono elementi che suggeriscono la permanenza di ostacoli di corto, medio e lungo periodo sull’effettiva implementazione dell’accordo.
Anche il tacito assenso di Hezbollah, che per ora ha preferito evitare lo scontro, potrebbe mutare a seconda dell’evolversi della crisi interna libanese. Ulteriori incognite che potrebbero avere ripercussioni sulla tenuta dell’accordo includono il probabile avanzare di una nuova fase di tensioni con l’Iran in vista del fallimento dei negoziati sull’accordo nucleare e il sostegno bellico dato da Teheran a Mosca.
In fine, vi è anche la possibilità di nuove ed espansive rivolte e repressioni in Palestina. Quest’ultimo è un elemento che non va sottovalutato. Nel solo 2022 sono più di 100 i palestinesi che hanno perso la vita nella Cisgiordania occupata, un record degli ultimi sette anni. Lo scoppio di sostenute rivolte in Palestina avrebbe ripercussioni non solo sui rapporti Libano-Israele, ma probabilmente anche sul recente disgelo tra Israele e Turchia, processo che molti in Europa seguono con interesse per via della crisi energetica europea a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.
La riconciliazione turco-israeliana ha infatti risuscitato l’idea di un gasdotto sottomarino israelo-turco, più praticabile a livello di costi e distanze di un gasdotto sottomarino che attraversi il Mediterraneo (East Med Gas Pipeline). Rimane comunque improbabile che il gas del Mediterraneo Orientale, incluso dal giacimento di Karish e eventualmente quello di Qana, possa arrivare in Europa via tubo. Questo per via dei tempi e i costi di nuove infrastrutture e le promesse di decarbonizzazione in Europa. Detto questo, portando il gas israeliano in Turchia, diminuirebbe non solo la dipendenza turca sulle forniture russe, ma anche il fabbisogno turco di gas da altri fornitori, potenzialmente liberando quote per il mercato europeo. In tale scenario, potrebbe diminuire anche il senso di isolamento turco nel Mediterraneo Orientale, elemento che potrebbe favorire nuovi dialoghi anche con la Grecia e Cipro.
È anche in vista di questo quadro di interessi più ampio che l’accordo marittimo Israele-Libano sembra mettere molti d’accordo. Sebbene per il Libano passeranno anni prima di benefici finanziari o di una sostituzione del petrolio con il gas per il fabbisogno interno, anche Beirut potrà contare su eventuali benefici nel difficile gioco di infrastrutture nel Mediterraneo Orientale. Non è un caso che si parli ora di negoziati con la Siria per la delineazione delle rispettive zone marittime.
Una volta ratificato, l’accordo marittimo Libano-Israele diventerà un precedente difficilmente rinegoziabile, ma questo non implica una facile implementazione. Dall’Iran ai territori occupati palestinesi, l’evoluzione della crisi siriana, il probabile ritorno di Netanyahu e la profonda crisi socio-economica nel Libano, permangono molte incognite che potrebbero facilmente complicare – o per fino impedire – il concretizzarsi di queste più rosee aspettative di integrazione nel Mediterraneo Orientale.
Foto di copertina EPA/ABIR SULTAN