Giovedì 5 maggio gli elettori nordirlandesi hanno votato per rinnovare l’Assemblea di Stormont, il Parlamento nazionale dell’Irlanda del Nord. Come era stato già pronosticato dai sondaggi, il risultato è storico: per la prima volta una forza nazionalista, il Sinn Féin (SF), si è imposta come il partito più votato.
La vittoria di SF è stata accompagnata da altri risultati che rappresentano una frattura rispetto al passato, il più importante dei quali è la sconfitta del Democratic Unionist Party (DUP). Storicamente, infatti, gli unionisti hanno rappresentato la maggioranza degli elettori nordirlandesi, mentre il DUP, in veste di partito più votato, dal 2007 ha sempre nominato il Primo ministro. L’altra grande novità è il risultato ottenuto dall’Alliance Party (AP), forza appartenente al blocco dei non allineati – alternativo a unionisti e nazionalisti – che ha fatto registrare un notevole incremento di seggi rispetto al voto del 2017.
I numeri del voto
Sinn Féin ha conquistato 27 dei 90 seggi di cui è composta l’assemblea nordirlandese, mentre il DUP si è fermato a 25, tre in meno rispetto alle elezioni del 2017. Per quanto riguarda le altre forze politiche, l’Alliance Party ha ottenuto 17 seggi, l’Ulster Unionist Party 9, il Social Democratic & Labour Party 8. I restanti quattro seggi sono stati conquistati da partiti minoritari.
Il sistema elettorale nordirlandese è caratterizzato dal “voto singolo trasferibile”. Agli elettori viene richiesto di porre in ordine di gradimento i candidati della propria circoscrizione poi, durante il conteggio, vengono assegnate le prime preferenze e ripartite proporzionalmente anche le altre. In questo caso, oltre al numero dei seggi conquistati, può quindi essere utile analizzare i risultati tenendo in considerazione le “prime preferenze” ottenute da ciascun partito.
Sinn Féin ha ottenuto il 29% delle prime preferenze, mantenendosi stabile rispetto al risultato ottenuto nel 2017. Situazione completamente diversa per il DUP che, fermatosi al 21,3%, ottiene il 6,7% delle prime preferenze in meno rispetto alla passata tornata elettorale. Gli altri risultati da evidenziare sono quelli dell’Alliance Party (13,5%, +4,5% rispetto al 2017) e il Traditional Unionist Voice (7,6%, +5,1%).
Resta perlopiù invariata l’affluenza alle urne, con una partecipazione del 63,6% degli aventi diritto. Nel 2017 era stata del 64,8%.
La storica vittoria del Sinn Féin
Il risultato ottenuto da Sinn Féin è da considerarsi storico. Fin dalla nascita dell’Irlanda del Nord, nel 1921, le forze politiche unioniste sono state maggioritarie e hanno sempre avuto il diritto di nominare il Primo ministro. Dopo più di cento anni un partito nazionalista, repubblicano e sostenitore della riunificazione con l’Irlanda, avrà la possibilità di essere alla guida del governo.
Il successo di Sinn Féin è dovuto a un processo di modernizzazione avviato dai vertici del partito negli ultimi anni. In questi termini è stato importante il ricambio generazionale avvenuto nella classe dirigente, fondamentale per allontanare ancora di più il partito dalle controverse posizioni del passato, come il legame con l’IRA durante gli anni dei Troubles.
Sinn Féin ha avuto anche la capacità di accantonare le proprie idee fondanti – indipendenza e unificazione dell’Irlanda – a favore di tematiche più concrete e vicine ai cittadini. Concentrando la propria campagna elettorale su aspetti come la disoccupazione, la sanità e la questione abitativa, i nazionalisti sono riusciti a convincere l’elettorato che nel tempo non si era più sentito rappresentato dal DUP.
DUP: l’analisi di una sconfitta annunciata
Tra i tanti motivi all’origine della sconfitta del Democratic Unionist Party quello principale è legato alle conseguenze di Brexit. Il fatto che il DUP si sia sempre schierato a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea sta ancora avendo degli effetti sull’elettorato. A ciò si è successivamente aggiunta la dura posizione presa contro l’adozione del Protocollo che regola le relazioni tra Irlanda del Nord e Unione europea.
Il DUP è, infatti, il partito che più ha osteggiato l’adozione del Protocollo che di fatto permette all’Irlanda del Nord di restare all’interno del mercato unico e dell’unione doganale europea. Secondo il presidente del partito, Jeffrey Donaldson, il Protocollo minerebbe i rapporti tra Irlanda del Nord e resto del Regno Unito e proprio l’avversione nei confronti di questo provvedimento ha portato alle dimissioni dell’ultimo Primo ministro unionista.
Secondo quanto dichiarato dal leader del DUP, gli unionisti non sembrerebbero neanche interessati a far parte di un nuovo esecutivo senza avere la certezza di una modifica del Protocollo. Questo atteggiamento potrebbe rappresentare un grande problema per Sinn Féin e, più in generale, per tutta l’Irlanda del Nord.
I possibili scenari post voto
La particolare organizzazione istituzionale nordirlandese – che prevede la formazione di un governo sulla base di una coalizione obbligatoria tra unionisti e nazionalisti – potrebbe, infatti, risentire in modo particolare della netta presa di posizione del DUP.
Se il DUP rimanesse su queste posizioni e decidesse quindi di non nominare un deputy prime minister da affiancare al Primo ministro nominato da Sinn Féin, la governabilità del Paese verrebbe totalmente compromessa. Il Good Friday Agreement, infatti, impedisce a un Primo ministro di governare senza essere affiancato dal deputy prime minister nominato dal blocco opposto.
Nell’immediato futuro si prospettano dure trattative tra le forze in campo per cercare un accordo che sembra molto difficile da raggiungere. I partiti hanno 24 settimane per presentare un esecutivo all’assemblea: qualora un governo non dovesse essere formato entro questo termine, si tornerebbe al voto entro 12 settimane. Non è da escludere la possibilità che la crisi non venga risolta e che i cittadini nordirlandesi possano tornare al voto entro la fine del 2022.
Foto di copertina EPA/STRINGER
A cura di Gaia Cellante. redattrice della redazione Europa de Lo Spiegone
***Lo Spiegone è una testata giornalistica formata da studenti universitari e giovani professionisti provenienti da tutta Italia e sparsi per il mondo con l’obiettivo di spiegare con chiarezza le dinamiche che l’informazione di massa tralascia quando riporta le notizie legate alle relazioni internazionali, della politica e dell’economia.