I sottomarini sono da ormai più di un secolo uno strumento imprescindibile per le marine militari più avanzate. La caratteristica che li contraddistingue storicamente dalle navi di superficie è la bassa rilevabilità che permette a questi mezzi di operare sotto la copertura del mare per lunghi periodi, rendendoli utili per una vasta gamma di operazioni militari. Il progresso tecnologico e il proliferare delle minacce richiedono che i sottomarini moderni siano provvisti di sensori e sistemi d’arma e navigazione sempre più avanzati e costosi. Come spiega un recente studio IAI sull’ambiente subacqueo, oggi sempre più Paesi vogliono dotarsi di questa capacità per la prima volta. Alcune stime danno il mercato dei sottomarini in crescita del 50 per cento nel prossimo decennio fino ad un valore complessivo di 45.6 miliardi di dollari nel 2033.
I sottomarini si dividono principalmente in due macrocategorie a seconda del tipo di propulsione, che può essere nucleare o convenzionale. Se storicamente la costruzione dei sottomarini era appannaggio di pochi Paesi, oggi assistiamo ad una moltiplicazione dell’offerta, con un numero crescente di nazioni che intraprendono la via di programmi nazionali per rendersi più autonomi nel campo dei sottomarini convenzionali.
La moltiplicazione della domanda e dell’offerta
In Europa, la Spagna ha investito somme importanti nello sviluppo e costruzione del suo primo sottomarino ‘autoctono’ da più di mezzo secolo. Mentre l’Italia, dopo il successo della cooperazione con la Germania risultata nei sottomarini U212A, ha intrapreso un percorso nazionale che accrescerà le capacità della base tecnologica e industriale del Paese con il programma U212 Near Future Submarine (NFS).
In giro per il mondo, altri Paesi si sono trasformati – o lo stanno facendo – in produttori di sottomarini e delle tecnologie legate ad essi, come ad esempio la Corea del Sud, che ha esportato il suo primo sottomarino nel Sud-est asiatico, o la Cina che dopo decenni di dipendenza da tecnologie sovietiche e poi russe è diventata a sua volta un esportatore. Seoul e Pechino vanno ad aggiungersi ai più tradizionali esportatori di sottomarini convenzionali quali Germania, Francia e Russia.
L’Indo-Pacifico, teatro strategico dove il mare e la guerra navale ricoprono un ruolo privilegiato negli scenari di crisi, è un caso studio ideale per cogliere la portata di quella che si può definire una ribalta del sottomarino dopo i tagli post-Guerra Fredda. Entro il 2030 la Cina potrebbe raggiungere un totale di ben 76 unità in servizio, a propulsione convenzionale e nucleare. Il Giappone invece vanta una flotta di sottomarini all’avanguardia e sorprendentemente ‘giovane’, dato che dei 22 sottomarini attualmente attivi il più datato è entrato in servizio solo nel 2000. Un altro dato degno di nota per quel che riguarda Tokyo è il fatto che la sua industria è stata capace di varare all’incirca un sottomarino all’anno per oltre due decenni.
Gli stati del Sud-est asiatico collettivamente rappresentano uno dei mercati di importazione principali al mondo per quel che riguarda i prodotti militari. In questa regione le marine di Indonesia, Malesia, Vietnam e Filippine sono in fase di ammodernamento e in alcuni casi potenziamento, in parte anche a causa delle politiche espansionistiche di Pechino nel Mar cinese meridionale. Se nel 2005 il numero totale di sottomarini in servizio presso le marine di questi Paesi era quattro (divisi equamente tra Indonesia e Vietnam), nel 2030 si stima che saranno 20, con Malesia e Filippine che in questi anni si sono dotati di sottomarini per la prima volta.
Un mercato variegato
Spesso i nuovi requisiti dettati delle principali marine militari stanno portando ad un forte ingrandimento delle nuove piattaforme per aumentarne l’autonomia ed il potenziale offensivo, come nel caso della Spagna con i suoi S-80 Plus (3.200 tonnellate di dislocamento contro le 1.490 dei predecessori Classe Agosta) e della Germania con i futuri U212 Common Design, frutto della cooperazione con la Norvegia (2.500 tonnellate contro le 1.524 dell’U212A italo-tedesco).
Eppure, si può ipotizzare che piattaforme di dimensioni ridotte – solitamente meno costose e complesse da operare necessitando di equipaggi meno numerosi – continueranno a occupare una fetta importante di mercato essendo inoltre più adatte a operazioni in acque poco profonde e dunque più appetibili per le marine di medie dimensioni dotate di flotte principalmente costiere.
La quasi totalità di Paesi produttori di sottomarini punta decisamente all’export, vista anche l’esplosione del mercato, aumentando la concorrenza fra Stati in alcuni casi anche alleati, come nel caso di quelli europei. In tale contesto avrà maggiore successo chi saprà commercializzare un ventaglio di tecnologie avanzate a prezzi competitivi, riuscendo a far rientrare i sottomarini in un’offerta che vada oltre la subacquea e si articoli anche in accordi government-to-government (G2G), ma anche chi sarà capace di intercettare in un mercato variegato e requisiti particolari con un’offerta più flessibile.
Il programma U212 NFS, che ha già raggiunto la fase di costruzione per i primi esemplari, rappresenta per l’Italia e in particolare per tutto il cluster industriale della subacquea un’opportunità importante per poter riacquisire quelle competenze che erano andate perdute dopo l’ultimo programma puramente nazionale per la classe Nazario Sauro, e porsi quindi all’avanguardia nella competizione sui mercati globali.
Foto di copertina EPA/WOOHAE CHO / POOL