Forse non è un caso che quella dichiarazione solenne destinata a rafforzare e sistematizzare i rapporti bilaterali fra Italia e Germania, che era stata messa in cantiere in concomitanza con la firma del Trattato del Quirinale non si sia ancora concretizzata. E a tutt’oggi quello strumento, che doveva in qualche modo bilanciare un emergente asse italo-francese, sembra scomparso dalle agende dei due governi.
Due nuovi governi, due economie interdipendenti
Si potrà osservare che sia a Berlino che a Roma si sono insediati due nuovi governi, e che i nuovi esecutivi hanno avuto bisogno di approfondire l’argomento. O che l’attuazione del Trattato del Quirinale sembra risentire del diverso contesto politico emerso in Italia dopo le elezioni del 25 settembre dello scorso anno. Ma resta comunque la sensazione che i rapporti politici e diplomatici fra Roma e Berlino non siano all’altezza del livello di interdipendenza delle due economie o del ruolo che i due Paesi dovrebbero giocare in Europa.
Antiche e consolidate reciproche diffidenze, stereotipi ugualmente consolidati nel corso degli anni sulle rispettive percezioni dei due Paesi e dei due popoli, e più di recente le scarse affinità politiche fra i partiti che compongono le maggioranze che sostengono i due governi in questa congiuntura, non hanno facilitato finora un più intenso rapporto collaborativo, che pure sarebbe pienamente giustificato dai fondamentali delle relazioni economiche e dai dati relativi all’integrazione delle catene del valore e ai volumi dell’interscambio commerciale.
Tra convergenze e sospetti
Se si guarda all’economia numerose sono le convergenze fra i due Paesi: struttura produttiva caratterizzata da una importante componente del manifatturiero, economie orientate all’export, ma anche rilevante dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti energetici. E analogamente sul piano degli assetti politico-istituzionali, Italia e Germania condividono un modello di democrazia parlamentare, la prassi consolidata di Governi di coalizione (anche se definitivamente più stabili in Germania che in Italia) e un sistema di decentramento amministrativo che si caratterizza in forme variamente articolate di autonomie locali/regionali.
Cionostante nel corso degli anni più recenti (salvo qualche parentesi) i rapporti bilaterali italo tedeschi sembrano essere stati caratterizzati più da sospetti e diffidenza che da reale volontà di collaborazione. Eppure una solida intesa fra Roma e Berlino resta la condizione necessaria (anche se non sufficiente) soprattutto per affrontare alcune sfide essenziali che sono oggi al centro della agenda europea.
Almeno tre esempi dovrebbero chiarire l’importanza di una maggiore convergenza fra i due governi.
Sostegno all’industria europea
In concomitanza con l’adozione da parte degli Usa di un vasto programma di aiuti all’economia all’industria americana è tornato di attualità il tema di una politica industriale europea che consenta alle economie del Vecchio Continente di recuperare competitività, di sviluppare innovazione e nuove tecnologie e di fronteggiare ad armi pari la concorrenza degli Usa ma anche della Cina.
Due strumenti sono sulla carta utilizzabili per garantire un sostegno all’industria europea: un ulteriore allentamento del regole europee sugli aiuti Stato o un fondo comune europeo (magari alimentato da nuovo debito comune) o una combinazione di entrambi. Il primo è di più rapida attuazione (la Commissione europea ci sta già lavorando), ma è destinato a privilegiare quegli Stati che dispongono di maggiori margini di bilancio (come la Germania) e a penalizzare quegli Stati (come l’Italia) che non si possono permettere politiche di bilancio espansive. Il secondo costituirebbe una soluzione autenticamente europea, ma richiede tempi più lunghi, notevoli complessità tecniche e il superamento di resistenze politiche. Una sintesi efficace fra queste due soluzioni presuppone necessariamente da una intesa fra Roma e Berlino.
La sintesi sul Patto di stabilità
La Commissione europea ha poi presentato qualche settimana fa una proposta per una revisione delle regole vigenti in materia di disciplina di bilancio (il Patto di stabilità). La proposta si pone l’obiettivo di semplificare e rendere più trasparenti le nuove regole, definendo un sistema di sorveglianza sui bilanci nazionali in grado di conciliare la disciplina di bilancio con politiche di sostegno agli investimenti necessari per garantire una crescita sostenibile e le transizioni energetica e digitale.
In estrema sintesi, il nuovo sistema proposto dalla Commissione prevede il passaggio da un quadro unico di regole valide per tutti, all’idea di percorsi di aggiustamento definiti per ciascuno Stato membro sulla base di una interlocuzione fra Commissione e singoli Governi. Inoltre la Commissione propone di utilizzare, come criterio per valutare la sostenibilità dei piani nazionali di riduzione del debito, non più il saldo netto strutturale, ma quello della evoluzione della spesa pubblica primaria (al netto cioè della spesa per interessi e per interventi straordinari e congiunturali), che dovrà essere tale da consentire una “riduzione plausibile” del debito.
I due governi per ora non si sono espressi pubblicamente su questa proposta. Ma sembra che Berlino la valuti come un rischioso allentamento delle regole in materia di disciplina di bilancio con poteri eccessivamente discrezionali per la Commissione. Mentre a Roma si guarda con preoccupazione alla possibilità che la Commissione possa condurre analisi sulla sostenibilità dei debiti pubblici dei Paesi maggiormente a rischio. Anche in questa caso una soluzione condivisa dovrebbe fondarsi verosimilmente su un qualche compromesso fra le posizioni di Italia e Germania.
Transizione energetica e tetto al prezzo del gas
Sul fronte delle politiche energetiche, eccezionalmente sollecitate in Europa come conseguenza del conflitto in Ucraina, Italia e Germania sono apparsi fin dall’inizio della crisi come i due Paesi europei più esposti e più vulnerabili. Entrambi sostanzialmente privi di fonti proprie di energia, ancora molto dipendenti da fonti fossili (dopo la rinuncia al nucleare), e soprattutto eccessivamente dipendenti dalle forniture di gas dalla Russia, entrambi impegnati in un complesso processo di transizione e decarbonizzazione.
Malgrado però questi oggettivi elementi di convergenza, Italia e Germania hanno sperimentato non poche difficoltà a trovare una posizione comune in sede europea nella ricerca di una risposta comune alla crisi energetica. Con l’Italia più determinata a contenere gli aumenti del prezzo del gas e la Germania più preoccupata di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, di fatto Roma e Berlino per mesi si sono confrontate da posizioni opposte ad esempio sull’idea di una riforma dei meccanismi di fissazione dei prezzi dell’elettricità o sulla proposta di un tetto al prezzo del gas (fino all’accordo su un ragionevole compromesso). Anche in questo caso un minimo denominatore comune fra Italia e Germania si è rivelata condizione necessaria per la definizione di una posizione comune europea.
Gli esempi ricordati sono solo una minima parte dei casi in cui una solida convergenza fra le posizioni dei due governi di Italia e Germania sarebbe non solo nell’interesse dei due Paesi ma anche determinante per far avanzare l’agenda europea. Se ne potrebbero citare molti altri: dalla gestione dei flussi migratori alla politica estera, alla difesa, alle riforme istituzionali destinate a migliorare il funzionamento della Ue. Forse è arrivato il momento di invertire la tendenza e pensare operativamente a come superare diffidenze e completare il rapporto fra le due economie con un’intesa politica fra i due governi.
Foto di copertina ANSA/ITALIAN GOVERNMENT PRESS OFFICE/FILIPPO ATTILI