L’opportunità di intestarsi un ruolo di mediazione nell’ultima fase delle negoziazioni tra Iran e Arabia Saudita, risoltesi nell’accordo di de-escalation firmato il 10 marzo a Pechino, rappresenta per la Cina un successo diplomatico di primo piano e per molti versi inedito. Se infatti Pechino ci ha abituato a un approccio al Golfo Persico imperniato sull’espansione delle relazioni economico-finanziarie piuttosto che sul coinvolgimento diplomatico attivo nei conflitti regionali, l’accettazione di un ruolo di mediazione e facilitazione del dialogo tra i due grandi rivali del Golfo Persico va letta come un’opportunità che la Repubblica popolare ha colto e sfruttato nel contesto di una più ampia offensiva diplomatica a livello globale.
A rendere possibile la mediazione cinese c’è sicuramente l’unicum della fiducia che sia l’Iran che l’Arabia Saudita ripongono nella Cina – un partner che per entrambi i Paesi è diventato economicamente e politicamente fondamentale. Dal punto di vista saudita si aggiunge il fatto che Pechino, a oggi, è l’unico attore internazionale che ha una certa leva su Teheran e dunque l’interlocutore meglio posizionato per aiutare i due paesi a superare la fase di stallo negoziale emersa nella seconda a metà del 2022.
Le due narrazioni di Pechino
Dal punto di vista cinese, invece, l’accordo tra Teheran e Riyad si innesta convenientemente su almeno due narrazioni fondamentali. Da un lato, quella per cui le tensioni geopolitiche sono un limite allo sviluppo economico dei Paesi della regione – un tema che risuona chiaramente nell’Arabia Saudita della Vision 2030 ma anche in un Iran che cerca vie d’uscita dalla difficile situazione economica che il Paese sta attraversando. Dall’altro, la natura eminentemente regionale del dialogo iraniano-saudita, iniziato autonomamente dai due contendenti e poi mediato da Iraq e Oman, si allinea con la linea diplomatica cinese per cui gli attori locali sono i soli responsabili del destino della regione e il ruolo delle potenze esterne, in questo caso della Cina, può solo essere quello di supporto e non di interferenza.
Per Pechino, la possibilità di mettere la propria effige su questo accordo riflette una convenienza politica piuttosto evidente, ulteriormente corroborata dalla graranzia di esporsi come mediatore in un processo in cui sia Iran che Arabia Saudita cercavano una soluzione positiva. A livello più pratico, poi, una de-escalation nel Golfo Persico – regione chiave per la sicurezza energetica cinese con circa il 50% delle importazioni di petrolio verso Pechino provenienti dal Medio Oriente, di cui circa il 17% dalla sola Arabia Saudita – è uno scenario coerente con la crescente presenza economico-finanziaria della Cina nella regione.
Tre precisazioni sull’accordo
Duque, sebbene lo sforzo diplomatico inedito di Pechino meriti grande attenzione, ci sono almeno tre caveat da considerare. Il primo è che, come già accennato, la Cina ha accettato di esporsi attivamente nella fase avanzata di un processo che, seppur in una fase di stallo, vedeva i due attori interessati a raggiungere un accordo. Per converso, sarebbe stato difficile immaginare Pechino farsi carico della mediazione tra Iran e Arabia Saudita fin dall’inizio del dialogo ad aprile 2021.
Analogamente, è poco probabile che la Cina si ponga come garante palese dell’accordo. Se è lecito aspettarsi che i cinesi facciano pressione privata minima sulle due parti in caso di non rispetto dei termini dell’accordo, è invece difficile immaginare che questa pressione si traduca in azioni coercitive o punitive significative.
In ultimo e alla luce di quanto già sottolineato, resta prematuro considerare la mediazione cinese come il segno inequivocabile di un cambio nell’approccio della Cina al Golfo Persico, da potenza concentrata sulle relazioni economiche ad attore diplomatico di primo piano.
Medio Oriente e diplomazia globale
Più che quella mediorientale, quindi, la dimensione di riferimento entro cui va a collocarsi il ruolo cinese nell’accordo tra Iran e Arabia Saudita sembra essere quella globale. A margine della cerimonia di firma, il capo della diplomazia di Pechino ed ex ministro degli esteri, Wang Yi, ha infatti sottolineato che lo sforzo della diplomazia cinese è applicazione pratica della Global security initiative (Gsi) – il documento programmatico lanciato dalla Repubblica popolare a febbraio e presentato come espressione della politica estera immaginata da Xi Jinping. È proprio il ruolo diretto che il leader cinese sembra volersi intestare nelle negoziazioni tra Teheran e Riyadh a confermare che per Pechino l’accordo rappresenta un successo-spot attraverso cui legittimare il “nuovo modello di diplomazia” a la maniera cinese.
Il target di questa offensiva diplomatica è chiaramente quel vasto gruppo di Paesi che rimangono ambigui di fronte alla polarizzazione innescata dall’invasione russa dell’Ucraina e che, usando ancora le parole di Wang, riconoscono che “nel mondo ci sono altre crisi oltre a quella ucraina che richiedono l’attenzione della comunità internazionale“. Il successo della mediazione cinese nell’accordo tra Iran e Arabia Saudita, che i commentatori cinesi hanno sottolineato essere espressione della sostanziale diversità tra l’approccio di Pechino e quello, fallimentare, di Washington, si colloca nella cornice sopra descritta, a sottolineare ancora una volta come questa sia stata un’occasione colta dalla Cina con notevole scaltrezza diplomatica.
In conclusione, la mediazione nell’accordo tra Iran e Arabia Saudita pone in evidenza il tema dell’importanza crescente che la Cina ha nel Golfo Persico, conseguenza anche e soprattutto della volontà degli attori regionali di considerare Pechino un partner imprescindibile. Allo stesso tempo, come già fu sulla questione nucleare iraniana, è fondamentale che Stati Uniti e Unione europea prendano atto della sovrapposizione di interessi – in primis la stabilità regionale – con la Cina, provando a perseguire una strada di compartimentalizzazione che, senza rinunciare agli aspetti competitivi, riesca a favorire forme di cooperazione mirate a facilitare interessi comuni.
Foto di copertina EPA/ANTON NOVODEREZHKIN/SPUTNIK/KREMLIN/