Negli ultimi anni l’idrogeno ha ricevuto crescente attenzione da parte degli Stati e delle organizzazioni internazionali. L’attrattività di questo vettore risiede nella possibilità di ridurre le emissioni di attività di difficile decarbonizzazione come la produzione di acciaio o il trasporto marittimo, offrendo inoltre un’opzione per lo stoccaggio di elettricità rinnovabile.
L’abbattimento dei costi dell’energia rinnovabile, la maggiore ambizione degli obiettivi climatici e l’interesse del settore del trasporto del gas – che grazie all’idrogeno potrebbe garantire continuità alle proprie infrastrutture in un contesto in cui il consumo di gas naturale dovrà scendere drasticamente – hanno contribuito a collocare l’idrogeno nell’agenda climatica, dopo numerose false partenze.
L’idrogeno nella transizione energetica
Sebbene il mercato dell’idrogeno pulito sarà inizialmente sviluppato su scala modesta e a livello nazionale, si stima che nel lungo periodo un commercio internazionale di idrogeno e prodotti derivati (ammoniaca, metanolo o elettrocarburanti) potrebbe emergere sulla base di differenziali nei costi di produzione e delle diverse disponibilità di input per la generazione e lo stoccaggio.
Tuttavia, il volume e la geografia di tale commercio dipenderanno anche da scelte di politica industriale: privilegiare l’idrogeno “verde” da elettrolisi, o sviluppare l’idrogeno “blu” da fonti fossili in una prospettiva transizionale? Privilegiare la produzione domestica o l’importazione? Importare idrogeno puro o derivati dalla logistica di trasporto più flessibile? Riservarne l’uso a settori particolarmente difficili da decarbonizzare, o impiegarlo in settori non soggetti a concorrenza internazionale – come trasporto e riscaldamento residenziale – per sviluppare domanda e infrastrutture in un contesto industriale protetto? Favorire l’esportazione di idrogeno, o sviluppare una filiera per esportare prodotti finiti a più alto valore aggiunto, come l’acciaio “verde” o gli elettrocarburanti?
Come si muove l’Europa: le ragioni geopolitiche dell’idrogeno
L’Unione europea sembra intenzionata ad acquisire una leadership nella futura filiera dell’idrogeno verde. La strategia presentata da Bruxelles nel 2020 prevedeva l’installazione di 40 GW di elettrolizzatori nel continente entro il 2030. Per quella data, secondo il pacchetto Fit for 55 del 2021, l’Ue dovrebbe essere in grado di raggiungere la produzione di 5,6 milioni di tonnellate di idrogeno da energia rinnovabile, mentre stime compatibili con l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 prevedono un consumo finale annuo fra 20 e 70 milioni di tonnellate entro metà secolo.
Nel dicembre del 2021, la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte per la regolamentazione del settore, mentre un sostegno ai progetti degli Stati giunge anche attraverso le risorse di NextGenEU, un quadro più favorevole rispetto agli aiuti di stato. Inoltre, la proposta di dazi verdi (CBAM) si applicherebbe a settori decarbonizzabili attraverso l’uso di idrogeno pulito, come acciaio e fertilizzanti – dunque, una misura di protezione per quei settori che rischiano di perdere competitività durante la transizione verso l’idrogeno.
Meno elaborata, tuttavia, la dimensione internazionale delle ambizioni europee. L’Unione europea considera un obiettivo di installazione di ulteriori 40 GW di elettrolizzatori nel vicinato, mentre gli Stati membri – soprattutto Germania, Olanda e Belgio – hanno orientato una nuova diplomazia dell’idrogeno verso possibili futuri esportatori come Cile, Namibia, Australia, Ucraina, Marocco o paesi del Golfo Persico.
Dal punto di vista europeo, l’idrogeno può offrire vantaggi geopolitici. In primo luogo, contribuendo alla sicurezza energetica del continente. Nella risposta energetica alla guerra in Ucraina, la Commissione ha infatti proposto l’aumento dell’obiettivo di produzione di idrogeno verde al 2030 da 5,6 a 20 milioni di tonnellate.
Questo permetterebbe secondo la Commissione di ridurre la domanda di gas russo di 25-50 miliardi di metri cubi, corrispondenti a 17-33% delle forniture russe di gas alla UE nel 2020. In secondo luogo, nelle tecnologie core come gli elettrolizzatori, l’Europa beneficia di un posizionamento industriale relativamente vantaggioso. In terzo luogo, l’integrazione della filiera europea con paesi terzi può facilmente orientarsi verso partner che condividono con l’Ue spazi normativi integrati o allineamento politico.
Le barriere politiche
Le prospettive della diplomazia europea dell’idrogeno dovranno tuttavia misurarsi con alcuni fattori di rischio politico: fra questi, la divergenza nelle preferenze degli Stati europei e l’impatto dell’instabilità internazionale.
Internamente, gli stati europei sembrano manifestare visioni piuttosto divergenti. Alcuni – come Germania, Olanda o Belgio – ritengono l’integrazione in un mercato internazionale dell’idrogeno essenziale per accedere a risorse a prezzi competitivi e per compensare i limiti europei in termini di dispiegamento della necessaria capacità rinnovabile – nel caso dell’idrogeno verde. Altri, come la Francia, assumono posizioni più protezioniste e mirano a investire nella produzione nazionale. La Francia in particolare ritiene che l’idrogeno per elettrolisi possa offrire un’ulteriore giustificazione per il rilancio del nucleare voluto dal presidente Macron. Tale differenziazione può tradursi in barriere nell’elaborazione della legislazione europea a sostegno dell’idrogeno – dai progetti infrastrutturali alla tipologia di idrogeno pulito da sostenere.
Elementi di incertezza politica riguardano anche il peggioramento del contesto della sicurezza in Europa. La prospettiva di alti prezzi del gas per un periodo piuttosto lungo impone una revisione nelle prospettive dei costi dell’idrogeno blu. In secondo luogo, le ambizioni tedesche sull’idrogeno si basavano sulla possibile integrazione della Russia e dell’Ucraina nelle catene di fornitura dell’industria europea.
Prospettiva che ora andrà necessariamente rivista alla luce delle forti incertezze sul conflitto e la riconsiderazione dell’interdipendenza energetica con Mosca. Intanto, le cose non vanno meglio sul versante sud. La persistente instabilità politica in Nord Africa – partner da considerarsi quasi naturale dati i bassi costi locali di energia rinnovabile e la vasta connettività con l’Europa – implica rischi per gli ingenti investimenti richiesti da una partnership sull’idrogeno.
Il cammino dell’idrogeno si articola dunque in un quadro politico piuttosto fluido. Per l’Europa, lo sviluppo e l’integrazione di una filiera internazionale eurocentrica dovrà necessariamente tenere in considerazione un panorama in rapida evoluzione. In un contesto incerto, la focalizzazione sull’idrogeno verde e la limitazione ad usi finali essenziali sembrano tuttavia opzioni geopoliticamente meno sensibili.
Foto di copertina EPA/JESUS MONROY