La vittoria della coalizione di destra guidata da Benjamin Netanyahu, oramai è indubbia. Lo Stato ebraico, nella quinta elezione in quattro anni, dopo un governo di coalizione che andava dalla sinistra estrema alla destra estrema inglobando anche gli arabi, ha deciso invece di caratterizzarsi con un esecutivo di destra, laico e religioso.
Un esecutivo uscito dalle urne che hanno fatto registrare il record di votanti, che non si vedeva da anni. Ma anche quello negativo di non votanti arabi. Questi rappresentano il 20% della popolazione israeliana, eppure meno del 50% percento degli arabi aventi diritto di voto sono andati alle urne. Decretando in primo luogo la non elezione di diverse componenti arabe come Balad, limitando a cinque i seggi della Lista Unita Araba; in secondo luogo una disaffezione verso la politica israeliana e la questione palestinese.
La questione palestinese dimenticata
I diversi governi israeliani che si sono succeduti non hanno mai messo come priorità la questione araba interna né tantomeno quella palestinese. Anzi. Ma la disaffezione degli arabi israeliani, aggrava ancora dipiù la situazione, la cui gravità non dipende solo da Israele, ma anche dall’immobilismo del governo palestinese (che da tempo non riesce più a controllare la piazza) e dal disinteresse da parte delle comunità arabe israeliane, di quello che succede a Ramallah.
Sono pochi quelli che credono che semmai si riuscisse a creare l’agognato e dovuto Stato di Palestina, questi cittadini arabi dello Stato ebraico possano passare dall’altro lato. Loro sono i fratelli fortunati, difficilmente lascerebbero quello che hanno che, seppur non tutto rispetto agli ebrei, è comunque tanto, molto di più rispetto ai palestinesi.
La questione palestinese sarà sicuramente un punto che il nuovo esecutivo affronterà in discontinuità con quello precedente. In quest’ultimo, c’era il ministro della difesa Benny Gantz che più volte ha incontrato il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) sia in Israele che in Palestina. Contatti che sarà difficile tornino a questi livelli.
“L’avanzata dei partiti religiosi di estrema destra alle elezioni israeliane è una testimonianza dell’aumento dell’estremismo e del razzismo nella società israeliana e di cui il nostro popolo ha sofferto per anni. Non ci facevamo illusioni sul fatto che le elezioni israeliane avrebbero prodotto un partner per la pace”, ha detto il premier palestinese Mohammed Shtayyeh, commentando a freddo i dati elettorali.
Dopotutto, questa politica di distensione agli occhi degli elettori israeliani, non ha giovato. Secondo i dati diffusi dal servizio interno di sicurezza Shin Bet, nel 2022 ci sarebbero stati oltre 2200 attentati e 25 vittime israeliane, 120 i palestinesi uccisi. Nel 2015, durante l’intifada dei coltelli, i morti sono stati 29 e oltre 2500 attentati. Sarà per questo che quei partiti che hanno fatto della sicurezza una bandiera (anche se dovesse passare per l’annientamento dei palestinesi), hanno fatto registrare la maggiore vittoria elettorale in termini percentuali rispetto al passato.
L’ascesa della destra ortodossa
Le destre di Itamar Ben-Gvir e di Bezalel Smotrich, hanno portato avanti una campagna fatta di odio nei confronti dei palestinesi, di ebraizzazione di Israele e dearabizzazione dello stato, di impossibilità di pensare ad una entità statale palestinese. Idee che paiono anacronistiche e che, in tempi di guerra, fanno raggelare il sangue. Eppure, non solo più gente è andata a votare, ma questi partiti hanno più che raddoppiato il consenso che avevano.
Netanyahu, che ha sempre potuto contare su una base di sodali politico-governativi fatta dai partiti religiosi ortodossi, li ha ora come alleati. E sarà difficile non concedere loro dicasteri importanti come interni e difesa. Una decisione che potrebbe minare la reputazione internazionale di Netanyahu che, non dimentichiamo, è stato il sostenitore maggiore degli accordi di Abramo, quelli con i paesi arabi. Una svolta con partiti anti-arabi potrebbe mettere Bibi in cattiva luce, fino ad attirargli, a causa di politiche estremamente repressive o per concessioni eccessive ai coloni che sostengono questi partiti, sanzioni economiche o politiche internazionali.
Foto di copertina EPA/ABIR SULTAN