È passato ormai più di un mese dalla morte di Mahsa Amini e noi siamo ancora qui a contare morti e feriti. Da quando si è diffusa la notizia della morte della giovane curda iraniana, arrestata per non aver indossato correttamente il velo, le piazze di tutto l’Iran – una dopo l’altra, regione dopo regione – si sono riempite, fino ad arrivare nelle università e nel famigerato carcere di Evin a Teheran.
Le donne iraniane in prima linea
Molti analisti ci dicono che queste proteste sono diverse da quelle che abbiamo visto nel 2009 e poi nel 2019. Sono diverse perché non coinvolgono solo le giovani generazioni o le fasce più povere dalla società, in piazza stiamo vedendo donne e uomini, ragazzi e ragazze con i loro genitori, operai, metalmeccanici, intellettuali, ma soprattutto ci sono donne di tutte le età che rivendicano quella libertà e quella autonomia che gli è stata sempre negata. Sono le proteste di un popolo che non sopporta più anni di continue violenze e vessazioni.
La forza di queste proteste si percepisce dalla violenza utilizzata dalle autorità per placarle. Amnesty International ha ottenuto documenti diffusi dai vertici delle forze armate in cui si istruiscono tutti i comandi provinciali ad “affrontare severamente” le persone che manifestano dall’indomani della morte di Mahsa Amini.
La linea repressiva dei vertici iraniani
In un primo documento, emesso il 21 settembre, il Quartier generale delle forze armate parla di “affrontare severamente gli antirivoluzionari e coloro che creano disordini”. Già quella sera, l’uso della forza letale durante le proteste aveva causato decine di morti.
Con un secondo documento, datato 23 settembre, il comandante delle forze armate della provincia di Mazandaran ordina di “affrontare senza pietà, anche arrivando alla morte, qualsiasi disordine provocato da rivoltosi e antirivoluzionari”. E gli ordini in questo senso non si sono fermati così come non si sono fermate le proteste. Abbiamo raccolto testimonianze di persone che hanno perso la vista da uno o entrambi gli occhi a causa dell’utilizzo di proiettili sparati ad altezza testa, abbiamo raccolto la testimonianza di una persona a cui è stata amputata una gamba a causa delle percosse subite, abbiamo ricevuto immagini di donne trascinate a terra per i capelli con così tanta violenza e così tanta forza da rimanere senza vestiti.
Amnesty International ha finora raccolto i nomi di 52 persone (tra cui cinque donne e almeno cinque minorenni) uccise dalle forze di sicurezza iraniane dal 19 al 25 settembre, due terzi delle quali solo il 21 settembre, il giorno del primo ordine emesso dai vertici delle forze armate.
I racconti di aggressioni e torture
In una dettagliata analisi che abbiamo pubblicato il 30 settembre, abbiamo documentato la tattica delle autorità iraniane per stroncare le proteste: da un lato l’impiego di Guardie rivoluzionarie, delle forze paramilitari basiji, del Comando per il mantenimento dell’ordine pubblico, della polizia antisommossa e di agenti in borghese; dall’altro, il ricorso alla forza letale e alle armi da fuoco con l’obiettivo di uccidere manifestanti e nella consapevolezza che il loro uso avrebbe potuto causarne la morte.
Amnesty International ha anche raccolto prove, oltre che di torture ai danni di manifestanti e semplici passanti, di aggressioni sessuali ai danni delle donne in piazza. Alcune di loro sono state picchiate sul seno, altre sono state scaraventate a terra dopo che si erano tolte il velo.
Nel tentativo di assolvere se stesse, le autorità iraniane stanno promuovendo una falsa narrazione sulle vittime, descrivendole come “pericolose” e “violente” e addirittura arrivando a sostenere che siano state uccise da “rivoltosi”. Le famiglie delle vittime vengono minacciate per indurle al silenzio o vengono loro promessi risarcimenti se sosterranno pubblicamente, tramite videomessaggi, che i loro cari sono stati uccisi da “rivoltosi” al soldo dei “nemici” della Repubblica islamica dell’Iran. Sembra che alcuni medici siano stati costretti a falsificare i referti di persone morte durante le manifestazioni per assolvere le autorità.
La repressione nel Kurdistan e nelle regioni occidentali
E la situazione non è migliorata con il passare dei giorni. Il 26 e il 27 ottobre le forze di sicurezza iraniane hanno inasprito l’uso della forza illegale contro manifestanti e persone che commemoravano i 40 giorni trascorsi dalla morte in custodia di polizia di Mahsa (Zhina) Amini. Epicentro della repressione sono state le province del Kurdistan, del Lorestan, del Kermanshah e dell’Azerbaigian occidentale.
Il 26 ottobre a Saqqez, nel Kurdistan, le forze di sicurezza hanno esploso gas lacrimogeni e sparato pallini di metallo per disperdere migliaia di persone che stavano prendendo parte a una commemorazione. Nel corso delle proteste serali, sono stati uccisi almeno due manifestanti: Mohammad Shariati nel Kurdistan e Afshin Asham nel Kermanshah. Ma questi sono solo alcuni dei nomi delle persone uccise durante le manifestazioni, Amnesty International cerca sempre di avere nome, cognome, luogo e altri elementi dell’uccisione prima di diffondere informazioni relative alle vittime ed è per questo che spesso i nostri numeri risultano essere più bassi rispetto a quelli diffusi da altre organizzazioni.
Continuiamo a raccogliere dati e informazioni, come continuiamo a fare pressione su tutti gli Stati membri del Consiglio Onu dei diritti umani affinché venga convocata immediatamente una sessione speciale sull’Iran e si assumano iniziative determinanti, come sollecitato anche dal Relatore speciale Onu sulla situazione dei diritti umani in Iran.
Foto di copertina EPA/RODRIGO ANTUNES