Roberto Aliboni è stato una delle colonne portanti dell’Istituto Affari Internazionali. Vi è entrato come ricercatore esperto di temi economici e dello sviluppo poco dopo la fondazione, alla fine degli anni ‘60, ma era da tempo membro di quel gruppo di giovani che si era raccolto attorno ad Altiero Spinelli sin dalla fine degli anni ‘50, entrando a far parte della Gioventù Federalista. Da quel gruppetto Spinelli reclutò i primi ricercatori da impegnare per dare corpo al suo neonato Istituto, completandolo con pochi altri di analoga formazione culturale e politica: Gerardo Mombelli, Riccardo Perissich, Massimo Bonanni, Stefano Silvestri, Bona Pozzoli e appunto Roberto Aliboni.
Allievo del Collegio Montana, in Svizzera, e poi studente di Giurisprudenza alla Università La Sapienza, Roberto, chiamato Billi da colleghi e amici, sin dai tempi della scuola, è stato soprattutto uno studioso e un raffinato ricercatore. Non ha infatti mai veramente amato il carico di lavoro amministrativo di direttore dello Iai che ha dovuto sobbarcarsi dal 1979 al 1987, allorquando ha passato l’incarico a Gianni Bonvicini.
Billi è sempre stato uomo di cultura e di estese letture, ma la sua carriera scientifica si è focalizzata in particolare sul Mediterraneo il vero centro dei suoi interessi professionali. In collegamento in una prima fase con Stefano Silvestri ha promosso all’Istituto una sezione di ricerca su quest’area geopolitica. Area di straordinario interesse per il nostro paese, anche se mai realmente valorizzata da parte delle forze politiche e dei governi italiani. Proprio per questo motivo, potere disporre di un think tank con competenze in questo settore rappresentava un valore non trascurabile per chi doveva approfondire le tematiche economiche e strategiche dell’area.
Fin dall’inizio l’idea fu quella di mettere in contatto lo Iai con tutti gli istituti esistenti delle due sponde del Mediterraneo. Cosa tutt’altro che facile per due motivi. Il primo era quello di trovare partner credibili in paesi retti in maggioranza da sistemi autoritari e con scarso o punto interesse per la ricerca. Spesso quindi gli interlocutori sono stati singoli ricercatori, giornalisti, alti funzionari, persino qualche uomo politico, sulla base di rapporti in primo luogo personali, che Billi coltivava con grande attenzione e delicatezza. Arrivava talmente bene a immedesimarsi con le realtà locali da essere a volte, con suo grande divertimento, scambiato per un locale. Un paio di vote, in incontri nel mondo arabo, il suo cognome, Aliboni, venne stravolto in Al Banna, un noto cognome di origine palestinese….
Il secondo motivo era quello di fare “digerire” alla maggioranza dei partner arabi la presenza di un think tank di Israele. Malgrado tutte queste difficoltà nacque nel 1994, sulla base del lavoro svolto dall’ Iai sin dal 1972, la Mediterranean Study Commission (MeSCo) con l’idea di approfondire il progetto di un’eventuale Conferenza per la Sicurezza nel Mediterraneo sul vecchio modello della CSCE che aveva avuto un discreto successo nei rapporti fra Occidente e Urss. Progetto che venne sponsorizzata dal governo italiano, in particolare quando Ministro degli Esteri fu Gianni De Michelis.
Sulla strada di questo ambizioso impegno culturale e politico, Aliboni ha elaborato qualche anno dopo con Alvaro de Vasconcelos, direttore dell’Istituto Portoghese di Studi Strategici Internazionali (IEEI), una più ampia dimensione della rete includendovi istituti dell’UE. Ne è nata EuroMeSCo con lo scopo di coinvolgere nel dialogo l’intera Unione i cui interessi nel Mediterraneo dovevano essere meglio indirizzati e resi concreti. In questa ampia rete, che ancora oggi opera, il lavoro di Aliboni dovrà non solo essere ricordato, ma anche coltivato dai più giovani ricercatori dello Iai che gradualmente Billi ha immesso nel circuito euro mediterraneo, da Silvia Colombo a Andrea Dessì e Francesca Caruso.
Con questi due ultimi giovani studiosi Aliboni anche in questi ultimi anni di grandi sofferenze fisiche per la malattia ha voluto condividere la sua passione per il Mediterraneo elaborando con loro i capitoli ISMed nei tre ultimi annuari di Mediterranean Economies, editi dal Mulino. Perché una delle grandi qualità di questo nostro amico e collega dallo sguardo apparentemente burbero è stata proprio quella di allevare giovani ricercatori indirizzandoli alla complessità degli studi mediterranei e creando con ciò una solida continuità allo Iai. Lo ricorderemo tutti con gratitudine e nostalgia.