La questione del Nagorno-Karabakh si chiude. Una questione che ha visto la morte di decine di migliaia di persone per e contro questa regione, distrutto le carriere di due presidenti – uno armeno, l’altro azero – e tormentato diplomatici americani, russi ed europei che spingevano piani di pace fallimentari. Nel giro di una settimana, dopo l’attacco dell’Azerbaijan del 19 settembre, il governo separatista del Nagorno-Karabakh ha dichiarato di voler cessare di esistere, ponendo fine a più di 30 anni di dominio separatista.
Il governo azero ha ottenuto, tramite la mediazione russa, e a sue piene pretese, un accordo per lo scioglimento e il completo disarmo delle forze armate e rimozione di tutte le attrezzature pesanti e le armi dall’Artsakh (nome armeno della regione).
Alleanze rotte: le conseguenze
Il sostegno dell’Occidente all’Armenia si limita a espressioni di acquiescenza, solo i ministri degli esteri di Francia e Germania hanno condannato come estremamente preoccupante la violazione di principi del sistema internazionale. Oggi, il format franco-tedesco, sostenuto dal Consiglio UE, cerca di mediare un colloquio tra le parti, mentre la Francia ha unilateralmente deciso di annunciare un’apertura per la conclusione di contratti di fornitura di equipaggiamento militare.
L’umiliazione armena – il governo di Erevan infatti non è stato coinvolto nella stesura del cessate il fuoco – segnerà un definitivo distacco del Paese dall’influenza russa. Il presidente Pashinyan, che ha subito forti contestazioni, ha denunciato l’intento dell’Azerbaigian di trascinare Erevan in guerra e ribadito la distanza politica da Mosca. Meno di 10 giorni dopo gli accordi di cessate al fuoco, il parlamento dell’Armenia ha votato per l’adesione alla Corte penale internazionale, una mossa che rende ancora più difficili i legami del Paese con il suo vecchio alleato, la Russia.
Mentre Baku ribadisce di voler perseguire una politica che garantisca una duratura sovranità interna, ora che il Nagorno-Karabakh è stato completamente riconquistato, la questione della connessione con l’esclave Naxcivan rappresenta la prossima grande questione nei colloqui armeno-azeri. Si teme infatti che l’Azerbaijan possa tentare di imporre con la forza altre questioni sospese nel conflitto con gli armeni sui confini contesi e sul controllo del corridoio di Syunik (Zangezur per gli azeri).
Migliaia di sfollati: le conseguenze sulla popolazione
Dopo che i funzionari hanno annunciato che il Nagorno-Karabakh cesserà di esistere il giorno di Capodanno del 2024, quasi tutti gli abitanti di etnia armena hanno lasciato e stanno lasciando la regione in direzione del territorio dello Stato armeno. Nonostante i dialoghi, mediati dai Paesi Europei, per garantire i diritti umani degli abitanti di etnia armena rimasti nella regione e il diritto di ritorno per chi è scappato, la popolazione non si fida.
Sono ormai oltre 100.000 le persone arrivate in Armenia, principalmente nella regione di Syunik, nel sud del Paese, dal Nagorno-Karabakh, che contava circa 120.000 armeni. La maggior parte di loro è arrivata con pochi effetti personali e ha bisogno di assistenza urgente, tra cui coperte, materiali per il letto, supporto medico e psicosociale e un riparo nell’immediato. Inoltre, molti dei rifugiati, prima di essere evacuati in Armenia, hanno subito perquisizioni personali, intimidazioni e scherno da parte degli azeri. Tutti gli uomini che avevano combattuto in guerra prima di scappare hanno bruciato i loro beni militari per sopravvivere ai checkpoint controllati dagli azeri e non farsi riconoscere.
Il governo armeno si è assunto la responsabilità di fornire protezione e assistenza con il supporto dell’UNHCR e di altre agenzie ONU e ong, ma per un Paese di 2.8 milioni di persone e un’economia debole non sarà facile continuare a fornire assistenza ai profughi. La strada per arrivare in Armenia passa tra le montagne e le macchine rimangono bloccate svariate ore a causa del traffico. Più di 170 persone sono state uccise e oltre 200 sono rimaste ferite in un’esplosione avvenuta l’ultima settimana di settembre in un affollato deposito di carburante lungo il percorso di ingresso in Armenia.
Alcuni esperti parlano di crimini contro l’umanità, di migrazione forzata in particolare, poiché queste persone stanno scappando da un territorio in cui non si sentono più al sicuro. Altri parlano di pulizia etnica perché si tratta dell’allontanamento forzato di un’intera popolazione di una etnia specifica dal proprio territorio. Josep Borrell, alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza, ha dichiarato che “l’Unione europea si aspetta che l’Azerbaigian risponda alle esigenze degli armeni del Karabakh rimasti sul territorio azero e fornisca loro la necessaria assistenza umanitaria e sicurezza. Coloro che sono fuggiti in Armenia devono poter tornare alle loro case in sicurezza. Anche il loro patrimonio culturale e i diritti di proprietà devono essere garantiti e protetti dall’Azerbaigian.” Ad oggi, però, sembra che il Nagorno-Karabakh si stia spopolando.
Foto di copertina EPA/ROMAN ISMAYILOV