Con l’invasione russa dell’Ucraina la questione della sicurezza energetica – ovvero “la disponibilità ininterrotta di fonti energetiche a un prezzo accessibile”, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) – è assurta al centro delle discussioni sulla transizione ecologica. Dopo aver navigato, con meno turbolenze del previsto, il parziale distanziamento dai combustibili russi, ora Bruxelles – e con essa le grandi cancellerie europee – si interroga su come evitare che la transizione ecologica sancita nel Green Deal possa cadere preda di complesse tele di dipendenze strategiche simili a quelle che l’hanno colta in contropiede ormai più di un anno fa. Per scongiurare questo rischio, l’Unione ha elaborato una strategia che si articola lungo due grandi filoni: garantirsi una capacità di produzione propria di energia da fonti rinnovabili e ridurre il proprio fabbisogno energetico.
L’Unione tra due fuochi: la sfida delle rinnovabili
Nella sfida per la produzione di energia rinnovabile l’Unione si trova stretta tra due fuochi. Da un lato vi sono gli obiettivi sanciti nel Green Deal, che impongono che il 42,5% del fabbisogno energetico europeo sia servito da fonti rinnovabili entro il 2030, a fronte del 22% odierno. Dall’altro, il cogente imperativo geopolitico di non dare vita a nuove dipendenze strategiche per raggiungere gli obiettivi prefissati. Il rischio non è da sottovalutare: per dispiegare la capacità produttiva – sotto forma di pannelli solari, turbine eoliche, e quant’altro – necessaria a raggiungere gli obiettivi del 2030 occorrono metalli e terre rare che, salvo poche eccezioni, l’Unione produce in quantità limitata. Inoltre, secondo una recente analisi di Bruegel su dati Eurostat (Le Mouel & Poitiers, 2023), per almeno nove delle 34 materie prime considerate “critiche” dalla Commissione Europea l’UE dipende su un singolo fornitore – ovvero, procura più del 65% delle proprie importazioni di ognuna dal un solo paese. In sei di questi nove casi, il paese in questione è la Cina.
L’Unione si trova dunque a dover percorrere una strettoia. Se vuole evitare di cadere in nuove dipendenze strategiche, dovrà diversificare le fonti di approvvigionamento delle materie prime. A tal fine, sarà utile mobilitare i fondi destinati all’aiuto allo sviluppo (contenuti nello strumento Global Europe), orientandone gli investimenti allo scopo di creare e consolidare catene alternative a quelle esistenti. La soglia del 65% per le importazioni da un singolo paese, fissata nel Critical Raw Materials Act (CRMA) non può che essere un obiettivo iniziale, che dovrà essere rivisto al ribasso – possibilmente in maniera contestuale all’aumento dell’obiettivo per il riciclaggio delle materie prime “critiche”, attualmente fissato al 15% dal CRMA stesso.
Ridurre i consumi
L’altro grande tasto su cui premere per rinforzare la sicurezza energetica del continente è la riduzione del fabbisogno energetico. Nel breve termine occorrerà rendere permanenti le riduzioni estemporanee dei consumi registrate nel 2022, ritoccando, se necessario, il funzionamento del mercato dell’energia per ridurre i consumi al margine. Vi è, inoltre, ampio margine per abbattere il prezzo del gas naturale aggregandone la domanda tramite la Piattaforma dell’Unione per l’energia.
In una recente dichiarazione congiunta, Francia e Germania hanno segnalato la loro intenzione di proseguire lungo questa strada, così come quella, più ambiziosa, di dare nuovo impeto alla politica industriale europea. Proprio da questo nuovo impeto dovrebbe, nell’intenzione dei due paesi, scaturire un nuovo piano industriale europeo incentrato sull’efficienza energetica, sulla base della bozza elaborata dalla Commissione UE nel febbraio 2023.
Le lezioni del 2022
Diversificazione delle catene di approvvigionamento e riduzione del fabbisogno saranno dunque l’assicurazione sulla sicurezza energetica europea per gli anni a venire. Per giungervi, l’Ue dovrà fare tesoro delle lezioni faticosamente apprese durante la crisi. Per quanto riguarda le materie prime critiche, correre il rischio di replicare lo status quo ante bellum sostituendo una dipendenza strategica con un’altra darebbe prova di scarsa lungimiranza.
La scelta di orientare le catene di approvvigionamento energetico su scala globale, seguendo una logica meramente mercantile scevra di considerazioni geo-strategiche, ha consegnato nelle mani della Russia uno strumento di coercizione economica, con cui ha potuto manipolare, a proprio piacimento, il prezzo dell’energia. Occorre dunque temperare la logica mercantile finora dominante con considerazioni di natura geopolitica, portando avanti gli sforzi avviati dal Critical Raw Materials Act.
In materia di riduzione del fabbisogno, invece, la crisi ha messo in luce la sorprendente capacità di adattamento delle industrie europee. Occorre ora farvi leva per guidare l’industria verso ambiziosi obiettivi di efficienza energetica, sostenendone gli sforzi con investimenti pubblici mirati. L’acuirsi delle tensioni tra USA e Cina, così come la recente instabilità nel Sahel e nell’Africa sub-sahariana, fonte di numerose materie prime indispensabili alla transizione energetica, suggeriscono di muoversi con urgenza. Serve agire con misure concrete oggi, per evitare di ripetere domani gli stessi errori di ieri.
Foto di copertina ANSA/CESARE ABBATE