Non ci sono stati passaggi che hanno fatto subito la ‘storia’ nel discorso che Joe Biden ha tenuto ieri a Varsavia. Sono presenti frasi ad effetto – Kyiv che resiste ancora “forte, orgogliosa e libera” – e continui riferimenti alla forza apparente delle autocrazie e quella nascosta delle democrazie. Ma non c’è stata quella semplicità retorica che cattura un’epoca in tre parole o poco più, incidendosi a fuoco nel racconto storico – l’”Ich bin ein Berliner” di John F. Kennedy nel 1963 o il “Signor Gorbaciov, abbatta questo muro!” di Ronald Reagan nell’ 1987, entrambi a Berlino, subito dopo la costruzione e subito prima della caduta del muro.
Eppure, nei prossimi anni il discorso di Biden potrebbe acquisire un’importanza paragonabile. Tutto dipende dall’esito della scommessa del presidente di poter fondere il manifesto per la rielezione con la sua visione politica per eccellenza, la difesa della democrazia.
Un discorso con più destinatari
Il discorso di Biden ha dato contesto alla sua inattesa e – quella sì – memorabile visita a Kyiv del giorno precedente. Discorso e visita quindi sono parte di una stessa operazione politica rivolta sia agli interlocutori internazionali degli Stati Uniti sia all’opinione pubblica interna.
La presenza di Biden a Kyiv ha dato all’Ucraina il segnale più tangibile della solidarietà americana. Ha chiarito agli alleati europei che Washington confida nella continuazione del sostegno all’Ucraina da parte di tutti. E soprattutto Biden ha ammonito la Russia di Vladimir Putin che, finché resterà alla Casa Bianca, la linea americana non cambierà e che pertanto è inutile sperare in una vittoria per sfinimento dei sostenitori occidentali di Kyiv.
Il manifesto elettorale del candidato Biden
Biden sa benissimo che la visita di un presidente in una zona di guerra in sostegno di un paese aggredito ha impressionato favorevolmente il pubblico americano al di là degli schieramenti di parte. Il discorso ha dato alle immagini della sua passeggiata per le strade di Kyiv al fianco di Volodymyr Zelensky un senso politico che spera gli americani abbraccino – ora e nel 2024.
Questo senso politico è in netta opposizione a quello esposto da Putin poche ore prima. Il presidente russo aveva parlato della guerra in Ucraina come di una lotta esistenziale contro un’Occidente – cioè un’America – che vuole piegare la potenza russa. Biden si è tenuto ben distante dal racconto di una competizione ‘geopolitica’ neutra, come se lo scontro tra grandi potenze fosse l’inevitabile conseguenza di una naturale logica di potenza.
L’America, ha detto invece il presidente americano, non vuole la rovina della Russia. Il sostegno all’Ucraina si oppone alla prevaricazione di un’autocrazia repressiva e imperialista che deliberatamente punta a svilire gli elementi della democrazia che ne minerebbero la legittimità: non solo i processi elettorali, ma l’indipendenza della magistratura, la libera stampa, il pluralismo politico, il rispetto delle minoranze e dei diritti individuali, il rifiuto della guerra di conquista.
Questo è il messaggio su cui Biden punta probabilmente a costruire la sua ricandidatura nel 2024. Così come nel 2020 si è sconfitta la minaccia interna alla democrazia, rappresentata dall’illiberalismo tendenzialmente autoritario di Donald Trump e dei suoi seguaci, nel 2024 bisogna estendere la vigilanza sulla democrazia non solo all’interno ma anche all’esterno. Ai Repubblicani che denunciano l’aiuto americano all’Ucraina come un ‘assegno in bianco’, Biden risponde: è tutt’altro che un assegno in bianco, è un investimento sul futuro della democrazia.
La visione politica del presidente Biden
Il manifesto ‘elettorale’ di Biden riflette una precisa visione politica che il presidente americano ha ereditato dalla Guerra Fredda e che evidentemente ritiene essere più che mai necessario riaffermare oggi. In questa visione la competizione interstatale è sempre legata alla natura dei regimi politici, in particolare quando a fronteggiarsi sono grandi potenze.
Biden deve essere ben consapevole che la linea di demarcazione tra democrazia e autocrazia non combacia affatto con quella che divide gli alleati dai rivali degli Usa. Ci sono democrazie non allineate, come Brasile, Sudafrica e, al netto dell’arretramento democratico degli ultimi anni, la stessa India. Similmente, gli Stati Uniti contano tra i loro partner regimi dispotici e repressivi come l’Arabia Saudita o l’Egitto. Nello stesso campo occidentale alcune democrazie hanno subìto un’involuzione, come l’Ungheria e la Polonia tanto esaltata ieri da Biden – mentre l’alleato Israele reprime sistematicamente elementari diritti umani di milioni di palestinesi da decenni.
Una visione che insiste sulla dicotomia democrazia-autocrazia non è pertanto destinata a fare breccia molto al di là dell’area euro-atlantica. Dopotutto, la maggioranza dei paesi del mondo non vuole essere trascinata nella competizione delle grandi potenze. Eppure la dicotomia democrazia-autocrazia non è un puro artificio retorico, certamente non lo è per Biden. L’ipocrita applicazione di principi ‘con due pesi e due misure’, in cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei cadono così spesso, non sminuisce il valore di quei principi e pertanto non deve sminuirne la difesa. Non si tratta solo di principi in astratto, ma della difesa di un sistema di relazioni interstatali – l’ordine europeo ed atlantico – basato sulla risoluzione pacifica dei contrasti, l’istituzionalizzazione della cooperazione e la socializzazione di popoli di diversa cittadinanza.
In questo senso, la visione di Biden, intrisa di ‘ideologia della democrazia’, apre a uno spazio davvero ‘geo-politico’ nel senso di un’area geografica organizzata politicamente. Un’alternativa assai più valida, sul piano ideale ma anche analitico, al significato in voga di geopolitica, che altro non è che la normalizzazione per via semantica della politica di potenza degli stati.
Foto di copertina EPA/Piotr Nowak POLAND OUT