I confini sono necessari per definire le nostre identità individuali e collettive e il nostro senso di appartenenza a una comunità? O sono un limite per la condivisione di valori?
Rispondere in maniera chiara e lineare a quella che è la matassa generata da questa domanda, risulta essere estremamente complesso.
Europa senza confini e i sentimenti sovranisti
Da europei, ci si aspetta, che la risposta sia un secco “no” all’esistenza dei confini. Abbiamo speso energie e fondi per costruire questo insieme di valori culturali, che rispecchiassero l’ambizione di un progetto più grande. Noi siamo i figli di questo progetto, non abbiamo mai sperimentato l’esistenza di dogane, o cosa significhi richiedere un visto. Ma siamo anche coloro che stanno assistendo a un rinnovato innalzamento dei sentimenti sovranisti. Per questo ho deciso di guardare con occhio critico al progetto europeo.
Potremmo dire che forse l’esistenza stessa dei confini dell’Unione ha contribuito a creare questo senso di comunità. Mettere una linea tra noi, europei, e il resto del mondo ci ha aiutati a definire chi eravamo e chi volevamo essere. Abbiamo steso su carta un insieme di valori che volevamo condividere, non volevamo che nessun confine si intromettesse. Ma proviamo a distaccarci, abbracciamo una prospettiva diversa.
Paesi Baschi: identità senza confini
Immergiamoci nella realtà dei Paesi Baschi dove tutto il peso di una cultura secolare è stato messo sulle spalle dei figli, dei giovani, superando ogni confine. Siamo nel nord della Spagna, osserviamo il popolo basco. I baschi sono fieri di essere baschi, e prima di tutto sono baschi, poi spagnoli e infine europei. Una vera e propria cultura transnazionale che ha combattuto duramente per poter tornare a splendere.
La storia dei Paesi Baschi è drappeggiata di soprusi e censure, ma i baschi attorno alla difficoltà hanno deciso di trarne la loro forza e trovare un senso di identità condivisa. Il periodo franchista (1939 – 1975) ha rappresentato uno degli attentati più aggressivi nei confronti della cultura di Euskal Herria (nome utilizzato per identificare il territorio europeo dove si è sviluppata la cultura basca e che si estende tra Spagna e Francia). Ogni tipo di costume basco, con particolare riferimento alla lingua, vennero banditi. Così rimasero latenti, coltivate da chi viveva più lontano dai centri abitati, aspettando quietamente di poter sbocciare nuovamente.
La resistenza alla dittatura si è aggrappata a quello che più poteva tenere insieme un popolo represso: la lingua. Grazie alla creazione delle ikastolak, scuole private clandestine, si è potuto codificare la lingua basca unificata (eurkera batua). Questa rinascita è stata messa nelle mani dei giovani baschi. I figli stanno facendo risorgere una lingua e una cultura che i genitori non avevano mai potuto vivere. Possiamo dire che, rispetto alla naturale transizione genitori-figli, vi è stato un movimento invertito: saranno i figli a tramandare ai genitori la lingua parlata dai nonni.
L’esempio di questa comunità, che va oltre i confini, può portare alla comprensione di qualcosa che solitamente sfugge. Quello che ci identifica, singolarmente o collettivamente, non è altro che un mezzo. Quale esso sia, non è di estrema rilevanza. Abbiamo adottato per secoli l’approccio dei confini perché uno degli assunti su cui abbiamo costruito questo sistema sociale globale è il possesso, la distinzione tra ciò che è nostro e ciò che non lo è.
Questo però non è sempre stato così, né lo è tutt’ora in ogni angolo di mondo. Se un gruppo di individui riesce a rispecchiarsi in un medesimo sistema valoriale, che lo facciano perché appartenenti alla stessa terra, religione o colore della pelle, non fa alcuna differenza. I confini, così come altri strumenti, hanno la possibilità di fungere da connettori all’interno della popolazione, possono aiutare a definire le nostre identità individuali e collettive, ma questo non implica la loro necessità.
Il rischio del limite
Quello che ora bisogna comprendere è come evitare che un utile strumento possa tramutarsi in limite. La storia ha le pagine piene di momenti in cui i confini sono stati utilizzati per creare disparità e divergenze tra la popolazione. O esempi per i quali appartenere ad uno stesso Stato, condividere gli stessi confini non è stato abbastanza per creare un senso di associazione.
La valutazione del ruolo del confine nella creazione delle identità comuni e singolari, a mio avviso, deve essere fatta alla luce del concetto buddista dell’assoluto e del relativo. Nel perseguire un obiettivo, una unità può decidere in maniera propria attorno a quale fattore raggrupparsi per potersi andare a definire, per condividere qualcosa. Questo ci suggerisce quindi che se un gruppo fosse già intenzionato a condividere un insieme di valori, quali poi essi siano conta relativamente poco, perché la volontà stessa di aggregazione segnala già l’esistenza di un senso di comunità.
Cercando di creare identità individuali e condivise dobbiamo solo utilizzare il mezzo che ci consenta di raggiungere il nostro obiettivo, essendo consapevoli della sua natura. Si tratta di nient’altro che un mezzo, e questo cosa implica? Semplicemente che, come nel caso basco, se esso dovesse andarsi a creare un limite per la coesione, esso va semplicemente superato, trovando in questa azione stessa il senso della nostra unione.
Il PremioIAI è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23- bis del DPR 18/1967
Le posizioni contenute nel presente report sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
L’autrice è una dei finalisti del Premio IAI “Giovani talenti per l’Italia, l’Europa e il mondo”. I loro saggi,sul tema “I confini in un mondo interconnesso” saranno pubblicati nelle collane editoriali dello IAI. I primi tre classificati avranno l’opportunità di discutere le proprie idee in un evento con personalità del mondo politico, culturale, scientifico, che si svolgerà a novembre.