Il “day after” della crisi di governo è caratterizzato dal tentativo, tanto scoperto quanto in malafede, dei tre partiti che hanno provocato la caduta del governo di attribuirne la responsabilità a presunti errori di Draghi. Come se non volessero passare per gli autori del misfatto. Nel frattempo le prime dichiarazioni dei leader politici stanno di fatto aprendo la campagna elettorale secondo un modello tanto prevedibile quanto preoccupante.
Il ritorno dei populismi
Ciò premesso, la dinamica che ha portato alla fine del governo di “quasi” unità nazionale, guidato da un “tecnico” di alto prestigio e autorevolezza prestato alla politica, appartiene ormai al passato. Ma ci può fornire qualche anticipazione su cosa aspettarci dal futuro. Sono tornati infatti protagonisti i due partiti a matrice populista (con Forza Italia ormai relegata ad un ruolo gregario) che avevano guidato il Paese dopo le elezioni del marzo 2018, che hanno deciso che l’esperimento Draghi era giunto al capolinea e che non c’erano più le ragioni per un Governo sostenuto da una ampia ma eterogenea maggioranza.
Movimento Cinque Stelle e Lega (per motivi diversi ma convergenti) hanno ritenuto che, in vista della ormai imminente scadenza elettorale, fosse arrivato il momento di recuperare una piena libertà di manovra piuttosto che sostenere il governo con qualche sacrificio delle rispettive piattaforme politiche. In entrambi ha prevalso la ricerca del consenso pre-elettorale sul senso di responsabilità e sulla fatica di governare.
La legislatura interrotta
Con la fine dell’esperimento Draghi si conclude anche la legislatura più sorprendente e peculiare della storia della Repubblica. Una legislatura che si era aperta all’insegna dell’incertezza per l’esito inconcludente delle elezioni del marzo 2018, e che ha visto all’opera tre governi che era difficile immaginare più diversi. Ora la legislatura si è chiusa, ma i problemi del paese restano. E a questo punto ci sarebbe solo da augurarsi che questa anomala campagna estiva sia condotta all’insegna della responsabilità e della consapevolezza dei problemi strutturali e congiunturali del Paese, anche se i primi segnali vanno in direzione opposta.
Sul fronte dell’economia l’Italia aveva avviato un significativo percorso di crescita nel 2021. Questo percorso è stato rimesso in discussione da una serie di fattori: inflazione, crisi energetica, difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, interruzione della catene del valore, conseguenze della guerra in Ucraina e infine una ripresa dei contagi Covid. La crisi di governo coglie quindi il Paese nel mezzo di una difficile congiuntura internazionale e con molti dei problemi interni ancora irrisolti.
BCE e bilancio incerto
Ora si aggiunge l’aumento (inevitabile ma superiore a quanto previsto) del tasso di riferimento deciso ieri dalla BCE per contrastare l’inflazione. Con la prevedibile conseguenza di un aumento dei costi di prestiti, mutui e del rifinanziamento del nostro debito. Per una curiosa coincidenza proprio ieri la stessa BCE ha annunciato i dettagli del cosiddetto meccanismo anti spread (il TPI). E nel farlo ha chiarito che eventuali decisioni della BCE (peraltro pienamente discrezionali) di acquisto di titoli di un Paese in difficoltà saranno sottoposte alla condizione di una piena “compliance” del paese beneficiario con le regole europee in materia di disciplina di bilancio, di convergenza delle politiche economiche, e di rispetto delle condizioni perviste nei Pnrr. Un messaggio neppure troppo subliminale a chi avrà responsabilità di Governo in Italia dopo le elezioni.
Nel frattempo sono già ripartite le richieste di pace fiscale, flat tax, generose riforme delle pensioni, proroghe di bonus vari e con i connessi appelli a fare ricorso a scostamenti di bilancio. Verosimile che queste proposte si moltiplicheranno nei seguiti della campagna elettorale, a testimonianza della scarsa consapevolezza di certa classe politica dei vincoli di bilancio, e a conferma del rischio, in prospettiva di un rapporto complicato con mercati e istituzioni europee. La legge di bilancio per il 2023, ammesso che si riesca a rispettare i tempi per la sua presentazione a Bruxelles (normalmente entro il 15 ottobre), e per una sua approvazione entro la fine dell’anno, sarà il primo banco di prova della credibilità del nuovo esecutivo.
Pnrr e riforme
Il Pnrr resta in larga misura ancora da attuare. La strada è tracciata e credo che nessuno la voglia rimettere in discussione. Anche perché non attuare il Pnrr significherebbe rinunciare ai fondi europei. Ma i dettagli contano. E occorrerà che chi avrà la responsabilità di governare il Paese dopo le elezioni rispetti alla lettera gli impegni e le scadenze concordate. E non solo in materia di realizzazione di quegli investimenti che devono essere finanziati con fondi europei. Ma anche di attuazione di quelle riforme (per ora solo messe in cantiere) che sono parte integrante del Pnrr, oltre che presupposti necessari di un credibile processo di modernizzazione del Paese.
Energia e collocazione internazionale
Sul fronte dell’energia l’Italia (questa volta insieme all’Europa) si trova nella difficile situazione di dover assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti, di proseguire sulla rotta della diversificazione di acquisti di fonti fossili, di aumentare le importazioni di gas liquefatto e di attuare misure anche pesanti di risparmio energetico. Ma anche dovrà anche garantire contestualmente la prosecuzione del percorso già avviato sulla strada di una necessaria transizione verso la decarbonazione, con un maggior ricorso alle rinnovabili. Un compito complesso che richiederà determinazione e competenze, ma anche la disponibilità a chiedere a sacrifici a famiglie e imprese (ad esempio in materia di efficienza energetica).
Infine sul fronte della collocazione internazionale del Paese, il governo appena caduto aveva fatto scelte di campo chiare ed inequivoche. Si era schierato, insieme ai partners europei a agli alleati americani, per una condanna dell’invasione russa dell’Ucraina e a sostegno del Paese vittima della aggressione. Aveva scelto, senza esitazioni, di stare dalla parte della ragione, del rispetto delle regole e dei valori dell’Occidente, insieme agli alleati naturali dell’Italia nella Nato e nella Ue.
E malgrado qualche riluttanza da parte di alcuni partiti della maggioranza, Draghi aveva mantenuto la linea con fermezza e coerenza, guadagnandosi riconoscimenti di affidabilità da partners e alleati. In Europa in particolare, Draghi aveva saputo far valere le sue credenziali e la sua autorevolezza come testimoniato anche dalle numerose attestazioni di stima che gli sono pervenute dalle capitali europee dopo le dimissioni. Non è un caso se solo a Mosca si è salutata la crisi del governo in carica a Roma come uno sviluppo positivo per la Russia. Chi gli succederà avrà il compito non facile di non farlo rimpiangere, e di garantire che l’Italia continui a fare la sua parte con autorevolezza e credibilità in Europa e sulla scena internazionale.