La decisione tedesca e americana di sbloccare la fornitura di carri armati d’assalto (main battle tanks) all’Ucraina, pur tardiva e forse numericamente insufficiente, segna chiaramente una svolta: tutta la Nato mette sul piatto della bilancia i propri arsenali militari e la propria industria bellica per neutralizzare la superiorità di mezzi russa su cui si basa la fiducia di Putin di poter concludere vittoriosamente la guerra con la prevista offensiva di primavera.
Ma ciò è ben diverso da un “diretto” coinvolgimento dei paesi occidentali nella guerra, come affermato dalla propaganda del Cremlino (una affermazione atta a giustificare eventuali rappresaglie contro paesi Nato; è però assai improbabile che la Russia abbia interesse ad allargare il conflitto). Non solo i militari occidentali non partecipano ai combattimenti (l’articolo 51 dello Statuto Onu sulla legittima difesa collettiva lo consentirebbe), ma non sono neanche presenti nelle retrovie ucraine: l’addestramento all’uso delle armi occidentali si fa oltreconfine. E le forniture belliche sono a scopo unicamente difensivo (ivi compresa la riconquista di posizioni perdute in precedenza), escludendo missili cruise o balistici capaci di colpire obiettivi militari o civili in territorio russo.
I due piani del conflitto
Il conflitto si svolge ormai su due piani. La guerra vera e propria continua ad essere combattuta unicamente dall’aggressore e dall’aggredito; ed è una guerra asimmetrica, dato che il campo di battaglia è esclusivamente sul suolo del secondo, e soltanto il primo si può permettere di colpire il territorio e le città dell’avversario anche lontano dal fronte, per fiaccarlo materialmente e moralmente. Il secondo piano è un braccio di ferro fra Russia e Occidente, una gara nella produzione e messa in campo di armamenti pesanti e munizioni (ma anche nella manutenzione e riparazione, e nell’addestramento).
In questo senso ci stiamo avvicinando alla “war by proxy“, la guerra per delega. Questo termine può tuttavia essere fuorviante in quanto sottintende in genere che si forniscano aiuti a chi effettivamente combatte al fine di indebolire l’avversario comune e metterlo così in condizione di non nuocere, se non addirittura causarne l’implosione.
Anche se una incauta esternazione del Ministro della Difesa americano, risalente a parecchi mesi fa, è sembrata confermare la prima di queste due possibili finalità, non c’è dubbio che l’obiettivo dei governi Nato è di impedire il successo della aggressione russa, e quindi dissuadere Mosca dal tentarne un’altra contro qualche suo vicino occidentale, e non di sfruttare la crisi ucraina per disgregare lo stato russo e farne cadere il governo, come sostiene la propaganda moscovita.
Cosa implicano gli aiuti militari?
Il salto di qualità negli aiuti militari occidentali rischia di prolungare la guerra e le sofferenze del popolo ucraino? Si potrebbe rispondere affermativamente, considerando che senza tali aiuti l’offensiva russa potrebbe avere successo e forse costringere l’Ucraina a capitolare entro l’estate. Ma la capitolazione, cioè la rinuncia alle quattro regioni e l’accettazione di un rapporto di vassallaggio è uno scenario altamente ipotetico.
L’obiettivo della Nato non è di punire e umiliare, bensì di dimostrare a Mosca che malgrado la sua superiorità numerica la vittoria non è a portata di mano, e convincerla ad abbandonare le sue ambizioni territoriali, quindi a non prolungare inutilmente il conflitto.
Perché i vertici militari russi arrivino a questa conclusione, e decidano di imporla a Putin, a costo di esautorarlo se necessario, occorre che l’esercito ucraino, grazie alle armi occidentali, consegua qualche sostanzioso successo, ad esempio liberare Melitopol e spezzare la continuità territoriale fra la regione di Donetsk e la Crimea.
Non ha perciò tutti i torti chi osserva che l’Occidente mira ormai ad aiutare l’Ucraina non solo a difendersi, ma a “vincere”. Non però a stravincere, a umiliare la Russia, a cacciarla dalla Crimea. La riconquista della penisola è un obiettivo legittimo, ma non realistico.
Esiti possibili
L’esito ottimale dell’ipotetica controffensiva ucraina – che presupporrebbe un aumento dei numeri rispetto a quanto sinora preventivato, e una accelerazione nelle consegne dei Leopard – sarebbe il ritiro russo dagli altri territori occupati e la determinazione del loro destino attraverso referenda sotto supervisione internazionale. Un esito che l’Occidente dovrebbe considerare accettabile, in quanto preferibile alla continuazione della guerra, sarebbe il ritiro russo fino alla linea di demarcazione del 24 febbraio scorso (magari con la cessione del porto di Mariupol, perché un qualche “trofeo” va pure concesso a Putin per salvare la faccia). È vero che in caso di significativi successi nella controffensiva Kyiv sarà riluttante ad accettare qualsiasi sacrificio territoriale; ma vi si rassegnerà se calerà la disponibilità degli alleati a fornire armamenti sofisticati e costosi.
Nell’eventualità di un permanere dello stallo, cioè in mancanza di quello sfondamento del fronte da parte ucraina cui mira Zelensky ma che richiederebbe un ulteriore aumento degli aiuti militari occidentali, dobbiamo attenderci che la Russia punti sul potenziamento in corso della propria industria di guerra e sul logoramento della volontà dei paesi occidentali, Stati Uniti compresi, di continuare il braccio di ferro delle forniture belliche.
Foto di copertina EPA/OLEG PETRASYUK