22 Dicembre 2024

Gli obiettivi del piano per la nuova industria ‘verde’ europea

Gli sforzi volti al contrasto dei cambiamenti climatici intersecano in misura crescente la competizione tra grandi potenze. Tra gli attori più decisivi, la Repubblica Popolare Cinese, gli Stati Uniti e l’Unione europea (Ue) si stanno muovendo per implementare una politica climatica efficace che tenga in considerazione le rispettive priorità sul piano strategico. In questo quadro, gli sforzi rispettivi riguardano anche la definizione di politiche industriali volte a produrre le capacità necessarie nel settore delle tecnologie rinnovabili, come le batterie elettriche e i fotovoltaici ma non solo, alla ricerca della leadership nel settore.

Politiche protezionistiche e competizione ‘verde’

Da questo punto di vista, la Cina è l’attore che pare aver agito più efficacemente. Grazie a politiche industriali decennali e misure talvolta in contrasto con le regole della competizione, il Paese è venuto ad occupare un ruolo dominante nelle catene di valore verdi, specialmente nei settori delle batterie e della mobilità elettrica, del fotovoltaico, e delle turbine eoliche. Tuttavia, il fatto che si trovi in una posizione vantaggiosa in un mercato in crescente espansione contrasta con gli interessi di altre potenze.

Nell’agosto 2022, l’amministrazione americana ha approvato l’Inflation Reduction Act (IRA), un pacchetto di misure che, assegnando quasi 370 miliardi di dollari al settore verde, mira a ottenere molteplici risultati, tra cui quello di accelerare la decarbonizzazione, aumentare la capacità di produzione domestica delle tecnologie rinnovabili, e ridurre la dipendenza tecnologica dalla Cina.

L’IRA amplia gli investimenti finalizzati alla riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030 e all’aumento degli impieghi nei settori verdi. Inoltre, offre incentivi sostanziali agli investimenti privati, nella forma di crediti d’imposta, che riguardano principalmente la mobilità elettrica. Pone, però, come condizione agli incentivi la provenienza di materiali e batterie elettriche dal Nordamerica e, pertanto, rischia di porsi in contrasto con alcune regole del commercio internazionale.

Per queste ragioni, il piano americano ha provocato critiche e accuse di protezionismo da parte di molti paesi europei. Ciononostante, diverse aziende europee hanno preso in considerazione la possibilità di trasferire la produzione oltreoceano. L’IRA rischia infatti di disincentivare gli investimenti verdi in Europa, spostandoli verso le più vantaggiose condizioni offerte dagli Stati Uniti.

Un Piano industriale verde europeo

Di fronte a questa possibilità, l’Ue si è attivata per formulare una risposta adeguata. Lo scorso febbraio, la Commissione ha presentato il Green Deal Industrial Plan (GDIP) a complemento delle misure già presenti nel quadro del Green Deal. Il piano, che prevede azioni di tipo regolatorio, commerciale e finanziario, ha l’obiettivo di rendere l’Europa il primo continente a impatto zero evitando che piani altrui, come l’IRA, ostacolino i potenziali investimenti in Europa, e riducendo la crescente dipendenza europea dalla Cina.

Aggiungendosi ad altri strumenti finora utilizzati, come i Progetti di Interesse Comune, canali di finanziamento che passano per la Banca Europea degli Investimenti e i sussidi in seno agli Stati membri, il GDIP mira a velocizzare l’approvazione dei progetti relativi alle tecnologie verdi all’interno del mercato europeo, accelerare gli investimenti ed i finanziamenti nel settore, e accrescere la sicurezza delle relative catene di approvvigionamento.

Infine, dopo la loro introduzione nella giornata di martedì 16 marzo, al GDIP sono annessi il Critical Raw Materials Act, volto a garantire l’approvvigionamento di minerali critici per la produzione delle tecnologie, e il Net-Zero Industry Act (NZIA), il quale definisce l’obiettivo di soddisfare attraverso la produzione domestica il 40% della domanda di tecnologie pulite entro il 2030 e ridurre la dipendenza dalle importazioni cleantech dalla Cina. Tuttavia, secondo Bruegel, l’NZIA mantiene una certa ambiguità e rimane da valutarne la consistenza con le disposizioni del commercio internazionale.

Tra geoeconomia e transizione energetica

Il tit-for-tat nell’ambito degli incentivi alla produzione cleantech di cui finora si è parlato si inserisce in un quadro più ampio e frammentato. La rivalità sino-americana in atto ormai da tempo e l’attuale guerra in Ucraina indicano infatti uno stato degli affari internazionali poco stabile e prevedibile, comportando inevitabili diffidenze e contrasti.

Servendosi della teoria geoeconomica, è possibile spiegare come strumenti di natura economica – come dazi, sussidi, accordi commerciali, ma anche forme di politica industriale – possano essere utilizzati a fini di natura geostrategica, seguendo una logica di guadagni relativi, per cui un’azione che avvantaggia X corrisponde ad una situazione svantaggiosa per Y nel medio-lungo termine.

L’IRA cadrebbe in questa categorizzazione poiché limita i sussidi secondo local-content requirements – ossia, pone come condizione ai finanziamenti la provenienza di tecnologie e materiali dal Nordamerica – e li giustifica con la necessità di migliorare le capacità produttive americane e ridurre la crescente fetta di mercato occupata dalla Cina. Allo stesso modo, il GDIP può rappresentare una soluzione di carattere geoeconomico all’IRA, dal quale l’UE è impattata in modo negativo, e alla crescente dipendenza dalle tecnologie di provenienza cinese.

D’altro canto, il Covid-19 prima e la guerra russa in Ucraina poi, hanno evidenziato la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento ed il loro potenziale impiego a fini strategici; per questo motivo, evitare nuove forme di interdipendenza con partner ambigui è più necessario che mai. Ma come conciliare queste priorità con un’efficace azione climatica globale che vada al di là della competizione strategica?

Le priorità dell’Ue

Idealmente, la decarbonizzazione dell’economia dovrebbe avvenire con efficienza e rapidità, ma l’adeguamento a forme di rivalità strategica intralcia tale percorso, impedendo un’attenzione esclusiva agli obiettivi climatici. Le azioni utili a garantirsi la leadership nei settori chiave della transizione e a proteggersi dalla vulnerabilità dei rischi presenti lungo le catene di valore, infatti, complicano i calcoli della decarbonizzazione e rischiano di minarne il percorso.

In questo quadro, l’Unione europea deve mostrarsi pronta a perseguire azioni illecite da parte degli altri attori internazionali e costruire catene di valore resilienti ad ogni eventualità, per cui è fondamentale scegliere attentamente i partner strategici, monitorare più intensamente i rischi presenti lungo le supply chains, e costruire un sistema di diversificazione delle fonti di approvvigionamento efficace.

Dall’altro lato, però, la leadership climatica europea dovrebbe evitare di ridurre le relazioni internazionali ad una pura logica di guadagni relativi, costruendo una strategia che, contemporaneamente, protegga il mercato da azioni illecite e accresca la cooperazione tra attori diversi ai fini della decarbonizzazione.

Per esempio, l’UE dovrebbe evitare i cosiddetti local-content requirements, che esacerberebbero dinamiche protezionistiche, e altre forme di elusione delle regole del commercio internazionale. Nel lungo periodo, è necessario che compia investimenti di scala, garantisca la predicibilità delle azioni a tutti gli attori economici, semplifichi ulteriormente i processi di approvazione e finanziamento dei progetti, e costruisca un finora assente piano di investimenti europeo che dimostri la capacità europea di guardare al lungo periodo e, allo stesso tempo, di agire concretamente su di esso.

In sostanza, l’Ue dovrebbe mantenersi leale a due priorità: la prima e imprescindibile, la decarbonizzazione dell’economia; la seconda, la costruzione di una leadership europea che superi le dinamiche competitive che caratterizzano lo stato attuale delle relazioni internazionali. Solo allora sarà possibile rendere strategie come il GDIP coerenti con una leadership che vada oltre alla progressiva frammentazione dell’ordine mondiale.

Foto di copertina EPA/STEPHANIE LECOCQ

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