A ogni campagna elettorale ci si ricorda degli italiani all’estero. I partiti, in realtà, li hanno ben presenti in quanto 8 deputati e 4 senatori rappresentano un “tesoretto” che, soprattutto in tempi di maggioranze ristrette o fluide, non va certamente sottovalutato. Al netto di questo resta però il fatto che, in generale, vi è una mancata osmosi tra gli italiani fuori d’Italia e la politica italiana che richiede un punto di riflessione.
Il voto degli italiani all’estero
Gli scrutini delle schede elettorali pervenute dalle comunità italiane residenti all’estero, suddivise in quattro ripartizioni geografiche – Europa (compresi i territori asiatici della federazione russa e della Turchia); America meridionale; America settentrionale e centrale; Africa, Asia, Oceania e Antartide – rivelano un comportamento elettorale che ricalca solo in parte le dinamiche che si verificano sul territorio nazionale.
Secondo i dati Eligendo forniti dal Ministero dell’Interno, alle elezioni dello scorso 25 settembre hanno risposto il 26,37% degli italiani residenti all’estero, una percentuale che conferma l’astensionismo come vero convitato di pietra nell’esercizio del voto per corrispondenza e che sembra agganciarsi al discorso interno relativo alla disaffezione verso la politica. Gli andamenti elettorali della circoscrizione estera vanno poi in controtendenza rispetto a quelli nazionali: è interessante rilevare come ad essere premiato in quest’ultima tornata è stato il Partito Democratico, un dato ben diverso da quello nazionale.
Nuove generazioni di emigrati in un contesto globale
Al di là delle assonanze e dissonanze superficiali, bisogna prendere atto che il voto degli italiani all’estero risente di fattori e processi diversi. Di diverso c’è innanzitutto la categoria stessa dell’italiano all’estero, che ha smesso di essere un soggetto stabilmente trapiantato in un paese straniero che però guarda e sente, spesso in modo mitico, il legame con la madrepatria. Questa era la storia delle ondate migratorie compiutesi fino agli anni Settanta del XX secolo.
Gli italiani all’estero sono oggi una realtà più complessa: accanto ai discendenti di precedenti migranti, i quali però sono all’interno di un processo di assimilazione spesso giunto a pieno compimento, vi sono migranti nuovi, molto diversi dai loro predecessori per la mobilità che li caratterizza ma anche per le modalità in cui vivono la loro vita all’estero: non più chiusi nei circoli degli italiani all’estero, vivono con maggiore pienezza la realtà che li accoglie.
Le istituzioni si sono da tempo impegnate per affrontare questa realtà in profonda trasformazione. La rete diplomatico-consolare è stata oggetto di varie riforme con il fine di attuare, accanto ai tradizionali servizi di tutela e gestione della comunità all’estero, politiche di valorizzazione delle opportunità provenienti da questo mondo ibrido degli italiani fuori d’Italia. La stessa Farnesina si è dotata di una direzione generale che mira a valorizzare un’identità italiana che, al di là del dato formale della cittadinanza, produce opportunità di sviluppo economico e culturale. In questo l’azione del MAECI va letta in combinato con quella di altri ministeri ma, anche e soprattutto, con la rete delle autonomie locali e dei distretti produttivi.
Se dunque la mappa di attori pubblici e privati che guarda al mondo degli italiani all’estero appare strutturata – anche se ulteriormente potenziabile – allora la vera domanda inevasa è quella relativa all’atteggiamento della politica nazionale verso questo mondo. Vi sono paesi europei che nel recupero e nella valorizzazione della propria identità nel mondo hanno fatto uno degli assi della propria politica estera: il caso della Francia è forse quello più paradigmatico ma anche indicativo dell’impegno che ci vuole per creare un sistema che valorizzi e integri in una prospettiva nuova comunità che, oltre al passaporto, condividono un più ampio disegno culturale.
L’interesse della destra per gli italiani all’estero
Ora, nel programma della destra vi è sempre stato un chiaro ed esplicito riferimento all’importanza degli italiani all’estero. Nella storia della seconda repubblica è stata soprattutto Alleanza Nazionale a insistere: nel secondo governo Berlusconi, fu proprio l’esponente di AN Mirko Tremaglia a guidare il ministero per gli italiani all’estero. L’esperienza non ha poi avuto seguito, ma è ragionevole attendersi, visto il successo elettorale del partito successore di Alleanza Nazionale, un rinnovato interesse per la questione.
Nel corso della campagna elettorale non sono mancate le prese di posizione in tal senso: si vedano, ad esempio, alle dichiarazioni molto esplicite di Antonio Tajani, il quale ha parlato di un ministero che potrebbe avere come obiettivo quello di offrire più servizi ai cittadini ma anche di favorire il riacquisto della cittadinanza. L’attivazione di un vero e proprio ministero dipenderà da molti fattori, non ultimo quello legato alle persone che andranno a guidare i vari dicasteri, ma rimane la questione del totale ripensamento delle politiche per una realtà profondamente mutata.
Foto di copertina ANSA/ TELENEWS