In Germania la nomina di Boris Pistorius a ministro della Difesa, sembra avere appianato la crisi scatenata dalle dimissioni di Christine Lambrecht. La posizione dell’ex ministra socialdemocratica aveva visto un rapido deterioramento a causa di piccoli scandali, superficialità e mancanza di leadership. All’interno dello stesso governo, Lambrecht aveva invano cercato di far avere più peso alle istanze della Difesa, incontrando disinteresse se non ostilità. La nomina di Pistorius è per certi versi inattesa, perché lo stesso Scholz aveva manifestato l’intenzione di mantenere la parità di genere nell’esecutivo.
In questa prospettiva la candidata più accreditata era Eva Högl, socialdemocratica e compagna di partito di Pistorius che già ricopriva la carica – importante nel sistema istituzionale tedesco – di Commissario parlamentare per le Forze armate. Ha inoltre suscitato stupore per il fatto che Pistorius non proviene da una delle correnti più forti del partito: nella corsa per la leadership del partito aveva avanzato la sua candidatura in supporto a quella di Petra Köpping. Il tandem della bassa Sassonia non era però riuscito a ottenere neanche il 15% dei consensi.
“Una poltrona scomoda”
Si può indugiare quanto si vuole sul crollo di Lambrecht e sulle vere ragioni del suo fallimento come anche sulle ragioni che hanno portato alla scelta di Pistorius. Questo può però risultare di interesse relativo per i non addetti alla politica tedesca. Al contrario, si può prendere questa vicenda per svolgere alcune riflessioni sia sul “senso” del ministero della Difesa nella politica tedesca sia sulla svolta che si sta compiendo nell’approccio tedesco alla forza militare.
Proprio a causa della particolarità dell’approccio tedesco all’uso della forza, che scaturisce dal rigetto dell’esperienza bellicista nel periodo nazista, il ministero della Difesa della Repubblica Federale ha da sempre rappresentato una posizione peculiare. Negli anni della guerra esso rappresentava da una posizione di garanzia, nella misura in cui rappresentava il dicastero che, d’intesa con il cancelliere, garantiva l’integrazione della Bundesrepublik nel sistema difensivo occidentale. Al contempo, esso rappresentava il convitato di pietra di un sistema politico e sociale che pur avendo il bisogno di essere difeso e di essere armato rifiutava di concepire le forze armate come una componente della propria politica interna ed estera.
Per questo motivo il ministero della Difesa ha rappresentato per anni una poltrona scomoda, il cui titolare doveva saper garantire gli impegni in ambito soprattutto internazionale senza sollecitare troppo l’opinione pubblica. Se si aveva questa capacità la Difesa poteva rappresentare un trampolino di lancio: questo è stato vero per alcune importanti figure del passato, come Helmut Schmidt o Manfred Wörner (che sarebbe poi diventato segretario generale della Nato) ma anche per politici di oggi, non ultima Ursula von der Leyen. Il caso di Franz Josef Strauss, che 1962 fu costretto alle dimissioni per aver illegalmente ordinato la chiusura del settimanale Spiegel reo di aver pubblicato alcuni dossier della difesa, è però altrettanto paradigmatico della rischiosità di quella poltrona.
Ucraina punto di svolta
A oltre trent’anni dalla riunificazione tedesca molti dei presupposti e dei condizionamenti dell’età bipolare sono venuti meno. Una delle convinzioni più diffuse è che i tedeschi abbiano superato le loro tradizionali riserve circa le forze armate e l’intervento militare. Questo è vero ma solo in parte: analizzando le crisi e i conflitti dell’ultimo ventennio, dall’intervento in Afghanistan del 2001 a quelli più recenti, si vede però come la Germania abbia sempre cercato di integrare “civilmente” il contributo delle altre potenze maggiormente esposte sul fronte militare. Il vero giro di boa è l’aggressione russa all’Ucraina, che per le modalità in cui si è verificata, ha portato a un forte schieramento dei tedeschi e ha spinto il governo a un ripensamento della propria politica in termini di impegno militare.
Il problema è che la crisi ucraina ha accelerato questo processo di ripensamento e ha parzialmente spiazzato il sistema dei partiti, dove si è venuta a creare una situazione per certi versi contraddittoria. Di fronte alla questione ucraina, infatti, i Verdi, pur muovendo da posizioni di tradizionale chiusura rispetto ai temi militari, hanno compiuto una svolta che li ha portati a sostenere, in modo della tutela dei diritti umani e di sostegno all’aggredito, l’invio di armi all’Ucraina. Al contrario, il mondo socialdemocratico si è trovato diviso tra una nuova idea di impegno e i vecchi sentimenti di opposizione all’uso della forza e all’impegno militare. Si può certamente guardare al caso Lambrecht come al risultato di una serie di scandali anche personali, ma sarebbe sbagliato non vedere come dietro ad esso si celi un nodo ancora irrisolto per la socialdemocrazia tedesca.
Foto di copertina EPA/FILIP SINGER