La Bussola Strategica approvata dagli Stati membri Ue rappresenta un altro importante tassello nella costruzione dell’Europa della difesa. È un processo lungo e complesso che ha conosciuto e conoscerà tempi variabili e correzioni di rotta. L’invasione russa dell’Ucraina lo ha accelerato fortemente perché ha fatto crescere sia le preoccupazioni dei vertici politici e delle opinioni pubbliche dei Paesi europei, sia la consapevolezza di quanto la loro divisione, oltre che l’inadeguatezza delle risorse finanziarie disponibili, limiti le loro capacità di difesa e sicurezza.
Fra le novità della Bussola Strategica una è stata inserita proprio nelle scorse settimane e potrebbe costituire in prospettiva un cambiamento radicale dell’assetto istituzionale che finora ha gestito questo processo.
Fino a sedici anni fa ogni iniziativa nel campo della sicurezza e difesa avveniva solo a livello intergovernativo e, quindi, attraverso il Consiglio Europeo e le sue articolazioni. Così è stato per l’istituzione del Political and Security Committee (PSC) e dell’EU Military Staff (EUMS) nel 2001 e dell’European Defence Agency (EDA) nel 2004, e per l’adozione della Posizione comune sulle politiche di esportazione militare verso i paesi extra-Ue nel 2008.
Formalmente, la competenza esclusiva degli Stati membri in materia di politica di difesa in generale poggiava sulla volontà di interpretare rigidamente i Trattati, e sulla sistematica invocazione dell’esclusione dall’area di competenza della Commissione Europea e della legislazione UE prevista dall’art. 346 (prima 296) del Trattato istitutivo, esclusione volta a tutelare gli interessi essenziali della propria sicurezza.
La lunga marcia della Commissione
La lunga marcia della Commissione nel campo della difesa ha inizio nel 2006 con l’emanazione di una Comunicazione interpretativa sull’applicazione di questo articolo agli acquisti di prodotti militari che, di fatto, ha spinto gli Stati membri a farne un uso più oculato. Non si poteva, però, applicare al settore della difesa la normativa che garantisce l’unificazione del mercato interno sulla base della libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. Di qui l’accettazione dell’intervento della Commissione per definire nel 2009 una specifica regolamentazione degli acquisti di equipaggiamenti per la difesa e la sicurezza e dei loro trasferimenti intra-Ue.
In questa stessa direzione avevano per altro spinto l’innovazione tecnologica in campo civile e militare, la costituzione di grandi gruppi industriali sempre più transnazionali, l’utilizzo di componenti e apparati di origine civile nei sistemi militari, l’esigenza delle Forze Armate di avere prodotti più efficaci e competitivi.
Nel 2017 la Commissione mette in campo il suo secondo strumento operativo: un progetto pilota per il finanziamento di programmi europei di ricerca e sviluppo da 90 milioni di euro, cui fa seguito un ulteriore stanziamento di mezzo miliardo fino al 2020. Segue nel 2021 la costituzione dell’European Defense Fund (EDF) con circa otto miliardi di euro in sette anni. Questa decisione ha fatto accettare grazie all’incentivo economico il nuovo attore anche agli Stati membri più riottosi e gelosi delle proprie competenze.
In quel momento quasi tutti i paesi lesinavano sugli investimenti per la difesa per ragioni politiche e per scarsa sensibilità su difesa e sicurezza in generale, ma anche per la difficile situazione economica, poi aggravata dalla pandemia. Tanto è vero che l’impegno condiviso in sede Nato ed Ue nel 2014 di arrivare nel 2024 al 2% del PIL per le spese di difesa era rimasto disatteso da molti stati europei con una media in Europa arrivata nel 2020 al solo 1,5% (per quanto nel 2021 si sia registrato un incremento). Il finanziamento della Commissione che, per altro, prevedeva il coinvolgimento anche degli Stati interessati ai progetti, poteva, quindi, rappresentare un prezioso contributo. Per gestire queste nuove competenze veniva, quindi, istituita nel 2021 una specifica Direzione generale per l’industria della difesa e lo spazio (DEFIS).
La strategia della Francia per la difesa
In quest’ultimo biennio il Paese più impegnato e attento in questo campo, la Francia, ha inserito sistematicamente propri ufficiali militari e funzionari civili nelle posizioni comunitarie nel settore difesa, dal livello politico a quelli tecnici. Qualcuno ipotizza che l’obiettivo sia quello di avvantaggiare le industrie francesi, ma aldilà di ciò questa presenza sembra inquadrarsi bene in una strategia di più ampio respiro che vuole tenere sotto controllo il processo di integrazione del mercato europeo della difesa in termini sia di velocità che di direzioni da prendere.
Può dare fastidio ad alcuni e sicuramente può legittimamente preoccupare altri, ma l’unico Paese con una coerente strategia nel campo della difesa europea è la Francia. Fino a sedici anni fa ha difeso strenuamente la propria sovranità e condizionato ogni iniziativa non solo della Commissione, ma anche del Consiglio. Poi ha progressivamente preso atto che da sola nemmeno Parigi poteva contare in un mondo globalizzato e sempre più destabilizzato, e ha imboccato con convinzione la strada della difesa europea, ma a condizione di vedersi riconosciuto un ruolo di guida, seppur più o meno condiviso con Berlino e, se necessario, con altri partner.
Il nuovo ruolo della Commissione
In tale contesto, ha un valore simbolico la decisione di rafforzare le capacità europee di difesa e sicurezza attraverso molteplici iniziative, presa dal vertice informale dei Capi di Stato e di Governo sull’Ucraina che si è tenuto a Versailles il 10-11 marzo proprio sotto la presidenza francese.
Va sottolineato che mai nella storia dell’Unione questo tema è stato messo al primo posto in un vertice (e sono state poche persino le volte che ha trovato un piccolo spazio nei comunicati finali) e che mai gli impegni sono stati così espliciti e diretti.
Vi è anche l’invito alla “Commissione, in coordinamento con l’EDA, a presentare entro metà maggio un’analisi delle carenze negli investimenti per la difesa e a proporre ogni ulteriore iniziativa necessaria per rafforzare la base tecnologica e industriale della difesa europea”. Lo stesso invito è stato riportato anche nella Bussola Strategica fra gli obiettivi della quarta linea guida, “investire”, ovvero “spendere di più e meglio nella difesa”.
Non è più, quindi, solo la Commissione a cercare di essere accettata come uno degli attori dell’Europa della difesa, ma sono proprio gli Stati membri – Francia in primis – a riconoscerne l’importante nuovo ruolo e a spingerla ad esercitarlo. È un cambio di approccio e di passo destinato sicuramente a pesare già nel prossimo futuro.
Per l’Italia questo comporta una riflessione strategica su come partecipare al nuovo corso tutelando al meglio i propri interessi nazionali. Anche grazie alla direttiva del 2021 sulla politica industriale il Ministero della Difesa si è data la necessaria strumentazione anche per assicurare il coinvolgimento interministeriale. Di sicuro l’Italia dovrà rafforzare la presenza e partecipazione alle attività di EDA per orientare, per quanto possibile, le iniziative della Commissione. Ma dovremo anche rafforzare e stabilizzare la nostra interlocuzione diretta con la Commissione a livello sia politico sia tecnico, eventualmente assegnando anche specifiche deleghe a quanti potrebbero assicurarvi la necessaria continuità e attenzione e potenziando le rappresentanze italiane a Bruxelles, compresa quella militare.
Nell’Europa della difesa che si sta costruendo, il livello comunitario acquista un peso crescente, e l’Italia deve aggiornare e rafforzare la propria strategia verso Bruxelles in un quadro cooperativo e costruttivo in cui gli interessi nazionali trovano realizzazione in sinergia con gli interessi comuni europei.
Foto di copertina Twitter/Lorenzo Guerini